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Il “partito mondiale della rivoluzione” – A 100 anni dalla fondazione dell’Internazionale comunista

Tra il 2 e il 6 marzo del 1919 si tenne a Mosca il congresso di fondazione dell’Internazionale comunista (Comintern) sulla base dell’appello lanciato dal Partito bolscevico e da altre correnti rivoluzionarie.

La Terza internazionale non fu affatto una costruzione artificiale, come accusavano i borghesi e i riformisti, ma nacque sulla spinta dell’ondata rivoluzionaria che ebbe luogo alla fine della Prima guerra mondiale. La rivoluzione d’ottobre in Russia non era rimasta infatti un evento isolato. In Germania nel 1918 cominciò un processo rivoluzionario che, tra avanzamenti e arretramenti, proseguì fino al 1923. In Ungheria nel 1919 si formò per alcuni mesi una vera e propria repubblica sovietica. In Italia ci fu il cosiddetto Biennio Rosso, tra il 1919 e il 1920, con l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai. Sulla spinta di questi eventi tumultuosi la rivoluzione mondiale sembrava una realtà a portata di mano e il Comintern incarnava la speranza di un mondo nuovo dopo l’incubo della guerra.

 

Il fallimento della socialdemocrazia

I partiti tradizionali del movimento operaio dell’epoca, i socialisti e socialdemocratici riuniti nella Seconda internazionale, avevano completamente fallito nel decisivo banco di prova rappresentato dalla Prima guerra mondiale. Invece di opporsi in modo intransigente alla guerra, avevano appoggiato lo sforzo bellico dei rispettivi governi, avallando politicamente il massacro di milioni di proletari in nome degli interessi imperialisti delle grandi potenze. Era quindi più che mai impellente la necessità di costruire partiti nuovi, in grado di portare avanti una politica indipendente della classe lavoratrice e di condurre al successo i processi rivoluzionari in corso.

Per queste ragioni nel giro di pochi anni l’Internazionale comunista raccolse i settori più avanzati del movimento operaio e conquistò una base di massa. Nel 1920 in Francia il congresso del partito socialista votò a maggioranza per aderire alla Terza Internazionale, dando vita al Partito comunista francese (Pcf). Nello stesso anno i socialdemocratici indipendenti dell’Uspd (una scissione a sinistra della socialdemocrazia tedesca) decisero a maggioranza di confluire nel Partito comunista tedesco (Kpd), che assunse così dimensioni di massa. Nel 1921, al congresso del Partito socialista italiano, la mozione comunista ottenne 58.000 voti e l’appoggio dell’organizzazione giovanile socialista, sancendo la nascita del Partito comunista d’Italia.

Non stupisce che la nuova Internazionale suscitasse il terrore e l’odio delle classi dominanti di tutto il mondo, attanagliate dalla crisi rivoluzionaria seguita alla guerra.

Il ruolo dei bolscevichi

I premi tempi dell’Internazionale comunista sono rivelatori di quella che fu la politica dei bolscevichi dopo la presa del potere. Per loro l’internazionalismo non era un ideale astratto, ma una questione di vita o di morte per la rivoluzione russa. Agli occhi di Lenin e Trotskij, con la vittoria della rivoluzione nella Russia zarista, la catena del capitalismo si era spezzata nel suo anello più debole, ma era impensabile poter costruire una società socialista in un paese così arretrato, se la rivoluzione non si fosse estesa anche ai paesi più avanzati dell’Europa occidentale. Nei primi anni della sua esistenza, il regime bolscevico fece quindi ogni sforzo possibile per tenere duro, resistere, guadagnare tempo in attesa che maturassero le condizioni per la vittoria della rivoluzione in almeno alcuni dei paesi occidentali.

Era l’esatto opposto di quello che sarebbe accaduto nell’epoca stalinista: se Stalin sacrificava la politica dell’Internazionale agli interessi particolari del governo di Mosca, Lenin e Trotskij erano invece pronti a subordinare l’azione dello Stato sovietico in funzione della rivoluzione internazionale. Per questo motivo l’Urss fu organizzata come una federazione di repubbliche socialiste e il Comintern adottò la rivendicazione degli Stati Uniti socialisti d’Europa. Per questo motivo l’Armata Rossa venne creata come uno strumento al servizio non di uno Stato, ma della rivoluzione mondiale – il giuramento di fedeltà dei soldati non veniva prestato nei confronti della patria, ma della classe operaia internazionale. Per questo motivo i dirigenti bolscevichi, nonostante le enormi difficoltà interne che dovevano affrontare, prestarono sempre la massima attenzione alle vicende del movimento operaio mondiale.

Questo atteggiamento da parte dei bolscevichi si rispecchiava anche nel regime interno della Terza internazionale. Nei suoi primi quattro congressi venne sempre garantita la massima democrazia nella discussione tra i delegati e si svolsero numerosi dibattiti, spesso molto accesi e con posizioni contrapposte, sulle prospettive politiche e su tutti i punti decisivi della tattica dei partiti comunisti: partecipazione alle elezioni parlamentari, lavoro nei sindacati riformisti, fronte unico del movimento operaio… Gli stessi Lenin e Trotskij, che pure godevano di un prestigio straordinario in qualità di principali leader della rivoluzione d’ottobre, non partirono mai con una maggioranza assicurata in queste discussioni e dovettero sostenere aspre battaglie politiche, accettare compromessi e stringere alleanze per far passare le loro posizioni. Quando c’era un dissenso su questioni politiche fondamentali il loro metodo non fu mai quello di ricorrere a manovre burocratiche dietro le quinte o a provvedimenti disciplinari, ma di utilizzare la discussione per far crescere il livello complessivo dell’organizzazione, educare i quadri e convincerli politicamente.

Lo stalinismo

Purtroppo l’ondata rivoluzionaria del dopoguerra venne sconfitta in un paese dopo l’altro, principalmente per il tradimento manifesto della socialdemocrazia, che agì da baluardo dell’ordine costituito e si pose risolutamente dalla parte della controrivoluzione, e in parte a causa degli errori di inesperienza dei giovani partiti comunisti. Nella Russia rimasta isolata, la vecchia guardia bolscevica, rivoluzionaria e internazionalista, venne prima soppiantata e poi sterminata da un apparato statale burocratico, conservatore e sciovinista, capeggiato da Stalin. Non a caso la prima vittima della degenerazione burocratica fu proprio l’internazionalismo proletario, sostituito dalla teoria del “socialismo in un solo paese” (1924).

In base ad essa tutto il movimento comunista mondiale doveva subordinarsi formalmente al compito primario della costruzione del “socialismo” in Urss, in realtà al mantenimento al potere della burocrazia stalinista. I vari partiti comunisti non divennero altro che pedine della politica estera di Mosca. Stalin non esitava a barattare il movimento operaio dei diversi paesi in cambio di concessioni diplomatiche da parte dei governi borghesi di cui cercava la collaborazione. Negli anni ’30, ad esempio, i partiti stalinisti lavorarono alacremente ad arginare e sabotare le rivoluzioni in Spagna e Francia per facilitare la conclusione di un’alleanza tra l’Urss e le democrazie occidentali.

L’Internazionale venne ridotta al fantasma di quella che era stata un tempo. Non era più il punto di riferimento delle avanguardie rivoluzionarie a livello mondiale, il suo apparato dirigente divenne congrega di funzionari carrieristi e servili pronti ad obbedire agli ordini del Cremlino. I dirigenti stalinisti erano capaci di ribaltare completamente la loro linea politica dalla sera alla mattina, in base all’ultima direttiva proveniente da Mosca. Addirittura dopo la firma del patto di non aggressione con la Germania nazista nel 1939 (il famigerato patto Molotov-Ribbentrop), i partiti comunisti abbandonarono per un periodo la propaganda anti-fascista, persino il Pcf clandestino nella Francia occupata dai nazisti!

Nel 1943 Stalin sciolse con un tratto di penna il Comintern, senza nemmeno una parvenza di discussione al suo interno, per compiacere gli imperialisti angloamericani con cui era alleato. Ma la morte politica della Terza Internazionale datava a dieci anni prima: quando nel 1933 il Partito comunista tedesco, seguendo la linea da Mosca, rifiutò di attuare una politica di fronte unico con i socialisti di fronte alla minaccia del nazismo, contribuendo in modo decisivo alla vittoria di Hitler, nell’Internazionale non si levò neppure una voce a criticare quella linea settaria che aveva portato a una sconfitta catastrofica il movimento operaio più forte e organizzato d’Europa.

Il lascito dello stalinismo sul movimento operaio internazionale fu particolarmente pesante. In base alla teoria del “socialismo in un solo paese”, tutti i partiti comunisti si dedicarono a cercare la propria “via nazionale” al socialismo che rapidamente sfociava verso il riformismo e l’adattamento al sistema esistente. Lo stalinismo rappresentò quindi un enorme passo indietro rispetto a quel solido legame politico e di classe che aveva unito tutti i partiti comunisti all’epoca della loro nascita.

L’internazionalismo oggi

Il mondo è profondamente cambiato rispetto a cento anni fa, ma il bisogno di un’organizzazione internazionale dei lavoratori non è venuto meno con la fine della Terza internazionale.

La crisi mondiale iniziata nel 2008 ha messo in luce tutte le contraddizioni più profonde del sistema capitalista nella nostra epoca. Le diseguaglianze sociali non sono mai state così accentuate. Tutto il peso della crisi è stato riversato sulle spalle delle classe popolari attraverso le politiche di austerità e, ciò nonostante, l’equilibrio non è stato ripristinato: l’economia sta infatti rallentando dappertutto e una nuova recessione è dietro l’angolo, probabilmente ancora più devastante di quella del 2008.

L’internazionalismo non è semplicemente una questione di generica solidarietà tra i popoli, ma è indissolubilmente legato alla prospettiva rivoluzionaria, è una necessità molto concreta. Il capitalismo è infatti un sistema economico globale, in cui le diverse economie nazionali sono profondamente intrecciate tra loro, molto più di quanto lo fossero un secolo fa. Non è dunque possibile condurre una lotta contro il capitalismo su basi meramente nazionali. Qualsiasi governo volesse portare avanti una vera rottura e condurre effettive politiche a favore della classe lavoratrice, si troverebbe sottoposto ad una pressione spietata, ad uno strangolamento economico da parte del capitale internazionale e potrebbe salvarsi solo con un’estensione della mobilitazione popolare negli altri paesi, tale da produrre una reazione a catena con l’instaurazione di una serie di governi dei lavoratori solidali tra loro.

Un approccio internazionalista è tanto più necessario dal momento che siamo entrati in una fase di lotta per l’egemonia tra diverse potenze capitaliste, come dimostra la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina – anche all’interno dell’Unione europea è sempre più acceso lo scontro tra i diversi Stati, ognuno con i propri specifici interessi. In questi scontri la classe operaia non può essere agganciata al carro delle rispettive borghesie nazionali, ma deve mantenere la propria indipendenza politica e tutelare il proprio interesse generale.

Eppure oggi nessuna delle principali forze di sinistra si sta ponendo sulla strada dell’indipendenza di classe. Esattamente come la socialdemocrazia cent’anni fa, anche i partiti di sinistra della nostra epoca hanno fallito il loro appuntamento con la storia. Di fronte alla crisi del 2008 sono stati completamente incapaci di offrire un’alternativa ai lavoratori. Le loro politiche riformiste e keynesiane, tutte interne alle compatibilità di sistema, si sono dimostrate irrealizzabili ed irrilevanti nel contesto della crisi, in cui l’unica lingua del capitalismo è stata (ed è tuttora) quella dell’austerità.

A livello europeo questo discorso vale per le forze riformiste più tradizionali, che spesso hanno la faccia tosta di contrabbandare per internazionalismo il loro “europeismo”, cioè la loro accettazione dell’Unione europea capitalista; ma vale anche per le varianti più recenti del “sovranismo di sinistra”, che di fatto propongono una sorta di riedizione del “socialismo in un solo paese” – o forse sarebbe più opportuno dire “riformismo in un solo paese”, visto che nessuna di queste correnti pone mai con chiarezza la questione della rottura col capitalismo.

Di fronte a questo scenario desolante è di vitale importanza rompere con tutte le concezioni riformiste, lasciarsi alle spalle l’eredità nefasta dello stalinismo e ritornare ad una politica di autentico internazionalismo, come quella che caratterizzò i primi congressi del Comintern. Da questo punto di vista l’Internazionale di Lenin e Trotskij può ancora essere un punto di riferimento e fornirci un inestimabile patrimonio teorico, politico ed organizzativo.

L’elaborazione dei primi quattro congressi dell’Internazionale comunista rimane una miniera d’oro per affrontare argomenti quali la questione dello Stato e del potere dei lavoratori, la questione nazionale e quella femminile, la questione sindacale e molto altro. A questo dedicheremo nel corso dell’anno pubblicazioni e iniziative, così come la scuola mondiale di formazione organizzata dalla Tendenza marxista internazionale.

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