Il lockdown non ha protetto i lavoratori
C’è una crisi che sembra essere passata in secondo piano durante lo scorso anno: i morti sul lavoro, le cosiddette “morti bianche”.
Mentre molti incidenti e malattie sono diminuiti durante il 2020 grazie alla diffusione di pratiche igieniche e il maggior tempo passato a casa (come gli incidenti stradali calati del 30%), lo stesso non vale per la classe lavoratrice. Già discriminata durante il primo lockdown tra Confindustria ed “imprenditori furbetti” che trovavano stratagemmi per non chiudere, durante tutto l’anno non sono mai veramente rimasti a casa.
Il primo slogan che abbiamo sentito il bisogno di lanciare è stato “i lavoratori non sono carne da macello”. La classe lavoratrice ha visto questo slogan diventare realtà sulla propria pelle.
Mentre l’INAIL afferma che ci sia stato un calo del 18% su infortuni e morti, stando ai dati assicurativi e contando solo i lavoratori della sanità come infortuni covid, l’osservatorio indipendente sulle morti bianche di Bologna, contando anche i morti in itinere e tutti i focolai, registra l’agghiacciante numero di 1600 morti bianche, di cui 574 morti solo all’interno del posto di lavoro e 134 erano “morti verdi” (braccianti investiti sui campi dai trattori).
Ancora più inquietante è che questi dati siano in linea con gli anni passati, senza alcun calo o protezione da parte del lockdown e del ‘maggior tempo passato a casa’.
Con una media di 3,17 morti al giorno per la decade 2009-2019, di cui si parla troppo poco, vuol dire che c’è un’altra emergenza che non è finita. Questa emergenza è la lotta di classe.
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