Il libero mercato alla canna del gas
L’Unione Europea si trova stretta nella morsa di una crisi energetica senza precedenti. Il prezzo del gas è andato completamente fuori controllo, passando dai 27 euro per megawattora di un anno fa ad oltre 330 euro durante l’estate. Questo mostruoso rincaro sta avendo e avrà conseguenze devastanti. Tutti i governi europei stanno studiando piani per il razionamento del gas in vista dell’inverno. In Italia si parla di ridurre il periodo di accensione dei termosifoni, diminuire la temperatura del riscaldamento, tagliare le forniture alle imprese, chiudere anticipatamente negozi e uffici pubblici, limitare l’illuminazione pubblica e persino di accorciare la settimana scolastica facendo ricorso alla didattica a distanza, che già tanti sfaceli ha fatto durante il lockdown.
La situazione è talmente grave che tutto questo potrebbe non bastare e rivelarsi solo un palliativo. Soprattutto, con i costi dell’energia così alti, per molte aziende continuare a produrre non è più profittevole. Sono sempre più le imprese nei settori più svariati (siderurgia, ceramica, industria della carta, ecc.) che mettono i loro dipendenti in cassa integrazione (oppure in ferie forzate) o producono a ritmi ridotti. Molte di più saranno quelle che dovranno chiudere i battenti nel prossimo periodo, con un numero crescente di lavoratori che perderanno il loro impiego.
Le cause della crisi del gas…
Questa catastrofe è in primo luogo il frutto amaro dello scontro imperialista in atto tra l’Occidente e la Russia. Allineandosi alla politica di Washington, i paesi europei hanno applicato le sanzioni economiche che – ci assicuravano – avrebbero messo in ginocchio il regime di Putin nel giro di breve tempo. Ma il bello di una guerra economica è che si è in due a combatterla: per ritorsione Mosca ha tagliato le forniture di gas e così ora è l’Unione Europea ad essere in ginocchio.
Il governo Draghi aveva strombazzato i suoi successi in giro per il mondo – Algeria, Egitto, Qatar, Azerbaijan… – nell’assicurarsi fonti di approvvigionamento alternative a quelle russe. Peccato che gli accordi siglati con questi paesi avranno effetti solo a lungo termine, non sono comunque sufficienti e soprattutto prevedono costi più elevati rispetto a quelli del gas russo a buon mercato.
Non si tratta, però, solo del conflitto con la Russia. A livello internazionale si fa sempre più accanita la competizione per accaparrarsi le risorse energetiche disponibili, una contrapposizione che vede da una parte l’Unione Europea e dall’altra una serie di paesi asiatici come Giappone, Cina e Corea del Sud. A favorire la spirale verso l’alto del prezzo del gas è stata infatti anche la concorrenza senza esclusione di colpi tra i paesi europei e i mercati asiatici, che hanno giocato al rialzo per soffiarsi a vicenda il gas naturale liquido in circolazione, con le aziende energetiche che hanno dirottato le navi metaniere di volta in volta verso i porti del miglior offerente.
C’è anche un altro elemento che ha contribuito alla crisi del gas: la speculazione finanziaria. In questi giorni in molti stanno puntando il dito contro il TTF (Title Trasfer Facility) di Amsterdam, il principale mercato di riferimento per lo scambio del gas in Europa. è un dato di fatto che i grandi fondi di investimento internazionali, “scommettendo” sulle transazioni anche di piccoli quantitativi di gas sul mercato di Amsterdam, hanno contribuito a far schizzare verso l’alto il prezzo dell’energia, con conseguenze tragiche per la vita di milioni di persone.
Ciò detto, non siamo certo in presenza di una novità. Nel sistema capitalista il gas e le altre fonti di energia non sono risorse pubbliche, gestite secondo un’attenta pianificazione e in base alle esigenze della collettività. Sono una merce come un’altra, venduta e acquistata sui mercati finanziari con lo scopo di ottenere un profitto e la speculazione non rappresenta altro che una scorciatoia per massimizzare i profitti. Proprio per questo non è possibile trovare una soluzione alla crisi del gas all’interno del tanto decantato sistema di libero mercato.
… e le soluzioni in campo
Non è un caso che tutte le soluzioni proposte vanno inevitabilmente ad urtare contro i limiti dell’economia di mercato. Da più parti si invoca l’introduzione nella UE di un “tetto” al prezzo del gas. Si tratterebbe nient’altro di un calmiere dei prezzi, una vera e propria bestemmia per i principi del liberismo, secondo i quali i prezzi dovrebbero fluttuare liberamente in base alla legge della domanda e dell’offerta. L’approvazione di una misura di questo tipo non sarà semplice, soprattutto per l’opposizione di quei paesi che da questa situazione ci stanno guadagnando, in primis l’Olanda. Al di là di questo il dibattito sul “tetto europeo” pone una questione centrale: se viene ritenuto non solo legittimo, ma addirittura necessario, imporre un calmiere al prezzo del gas, perché non si dovrebbe introdurre un calmiere dei prezzi anche per i generi alimentari o gli affitti?
Stesso discorso per quanto riguarda la tassazione degli “extra-profitti” delle aziende energetiche, che finora si sono rifiutate di pagare quanto dovuto facendo partire ricorsi legali. Tralasciamo il fatto che non si capisce fino a che limite i profitti possono essere considerati leciti e sopra quale soglia diventano invece “extra”. L’aspetto chiave anche in questo caso è che viene messo in discussione un principio cardine del capitalismo: ci hanno sempre raccontato che lo stimolo del profitto è il motore dello sviluppo economico e invece oggi, per colpa della sete di profitto, le industrie rischiano di rimanere ferme. E anche qui ci si chiede: se è giusto mettere le mani su una parte dei profitti, perché non si può mettere le mani sugli altri profitti per aumentare i salari, per finanziare la sanità e la scuola?
La verità è che la situazione è talmente drammatica che non è più il tempo di mezze misure. In tutta Europa la classe lavoratrice si trova di fronte all’allarmante prospettiva di un rigido inverno fatto di bollette alle stelle, disoccupazione, cassa integrazione, disagi, razionamenti e conti che non tornano alle fine del mese. Per scongiurare questo scenario, non basta chiedere un obolo alle multinazionali dell’energia, bisogna espropriarle e nazionalizzarle sotto il controllo dei lavoratori. Se il capitalismo non riesce a garantire più nemmeno il riscaldamento nelle case e l’illuminazione pubblica, è ora di sbarazzarsene per lasciare il posto ad un sistema più avanzato e razionale di pianificazione socialista democratica.
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