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Il messaggio di Trump al mondo

Il 19 settembre il Presidente Trump ha tenuto il suo primo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per illustrare la sua visione del mondo, dell’universo e della vita in generale.

Trump, veniamo a sapere dalla versione reale e imparziale esposta dalla Trump Organization “è la definizione stessa della storia di successo americana, ha stabilito costantemente standard di eccellenza nell’espansione dei suoi interessi nel settore immobiliare, nello sport e nel divertimento. È l’archetipo dell’uomo d’affari – senza paragoni in questo settore“.

Con un simile curriculum vitae, come potrebbe l’Assemblea Generale, formata di semplici mortali, a non essere colpita dal suo Messaggio al mondo? Impressionati lo erano indubbiamente, anche se non necessariamente nel modo previsto dall’illustre oratore.

Per semplificare le sue idee in modo che anche il pubblico delle Nazioni Unite le potesse capire, Trump ha saggiamente deciso di metterle in forma di favola. In questa visione trumpiana del mondo, tutto è ben diviso nel Bene, nel Vero Bene (ovvero gli Stati Uniti sotto la guida ispirata e generosa di Trump), nel Male e nel Veramente Male.

Come in tutte le favole, le forze del bene sono sempre impegnate in una lotta manichea con le forze del male. Queste forze, che hanno trasformato un mondo di Pace, Abbondanza e di Democrazia, in un fungo atomico radioattivo, sono guidate dal malvagio (e clinicamente malato di mente) Dittatore del Solitario Regno della Corea del Nord, talvolta menzionato con il suo pseudonimo, Kim Jong Un, il cui vero nome, ora lo possiamo rivelare, è Rocket man (il razzo umano, ndt).

Poi nell’elenco degli Imperi del Male (noti anche come “Stati Canaglia”) è entrato il Malevolo Impero Persiano, a volte erroneamente descritto come Iran. Questo secondo Impero del Male ha infatti rappresentato una grave minaccia alla civiltà cristiana occidentale, quando ancora il primo Impero del Male neanche esisteva. Sotto i malvagi Dario e Serse hanno dato il meglio per distruggere e seppellire la civiltà greca. Non sono riusciti a raggiungere questo obiettivo, che è stato raggiunto con successo molti anni dopo da Angela Merkel.

A proposito, per quelli di voi che se lo chiedono, la parola manicheana deriva, in ultima istanza, dall’antica religione persiana che ha scisso ogni cosa in Tenebre e Luce, Bene o Male. Significa anche vedere le cose in bianco e nero. Quindi Trump condivide molto con gli antichi Persiani – anche se purtroppo non molto altro, dato che in realtà era un popolo piuttosto civilizzato.

Sugli Stati canaglia e come affrontarli

Forse il Presidente è stato un po’ scortese ad andare a pronunciare parole tanto forti alle Nazioni Unite, dopo che il Consiglio Generale aveva generosamente servito i suoi interessi approvando nuove sanzioni contro la Corea del Nord. Trump poteva mostrare almeno un po’ di gratitudine, dato che tutte le sue minacce di fare fuoco e fiamme sulla Corea del Nord nella pratica si sono rivelate meno di niente. Senza dubbio a breve tornerà a chiedere l’assistenza dell’ONU, per uscire dal buco in cui si è messo in modo così magistrale.

Ma Trump non conosce né paura né gratitudine. L’uomo della Casa Bianca ha parlato chiaro. Ha annunciato al suo pubblico stupito (e forse terrorizzato) che il Razzo Umano di Pyongyang (sì, sembra proprio il titolo di un film horror di serie B) si è infilato in una “missione suicida”, aggiungendo minacciosamente che, se l’America (o ai suoi alleati) fosse costretta a difendersi: “non avremo altra scelta se non radere al suolo la Corea del Nord”.

Nelle parole di Trump abbiamo veramente un classico d’altri tempi. È la nuova diplomazia di Washington, quella che mira a stabilire la pace mondiale minacciando di usare il suo arsenale nucleare ogni cinque minuti. Trump ha descritto i leader nordcoreani come una “banda di criminali” che mettono in pericolo il mondo occupandosi di armi nucleari e missili balistici. Il fatto ben noto che gli Stati Uniti dispongono di un arsenale nucleare che eclissa l’armamento nucleare di tutto il resto del mondo messo assieme, non è naturalmente considerato una minaccia per nessuno, ma al contrario una manifestazione delle tendenze pacifiche dell’imperialismo americano.

Ora, proprio come Trump, non siamo grandi ammiratori di Kim Jong Un o del suo regime stalinista. Ma è necessario sottolineare che la Corea del Nord è una piccola e povera nazione asiatica, mentre gli Stati Uniti sono lo stato militare più potente che il mondo abbia mai visto. Lo spettacolo del gigante che affronta il nano come se fossero alla pari è così straordinario da sfiorare il surreale.

Il conflitto con la Corea del Nord ha mostrato con chiarezza i limiti dell’imperialismo americano. Trump fa fuoco e fiamme, ma tutte le sue minacce non hanno avuto alcun effetto a Pyongyang, se non quello di aumentare le grida bellicose e aggiungere al crescente numero di test nucleari, i missili che volano sopra al Giappone.

Comunemente si dice che Kim Jong Un sia un pazzo e che è impossibile capire le sue motivazioni. In effetti, non è affatto da escludere. Recentemente il governo di Pyongyang ha dichiarato il suo interesse, che è piuttosto facile da capire: mira a raggiungere la parità nucleare con gli Stati Uniti. Quello, naturalmente, non deve essere preso alla lettera. È impossibile per la Corea del Nord uguagliare il vasto arsenale nucleare degli Stati Uniti o anche solo avvicinarsi. Quello che può fare (e sembra che nulla possa fermarlo) è quello di acquisire il possesso di tecnologie sufficientemente avanzate per essere in grado di minacciare gli Stati Uniti con attacchi nucleari che partano dal proprio territorio.

Il ragionamento alla base è piuttosto semplice. Ricordiamo che Saddam Hussein è stato accusato dagli americani di possedere armi di distruzione di massa. Ma Saddam Hussein non le possedeva affatto. Per questo è stato rovesciato e ucciso dagli americani. Quindi la Corea del Nord, che si sente minacciata dagli Stati uniti (che la descrivono come uno stato canaglia guidato da banditi malati di mente) deve entrare in possesso di armi di distruzione di massa il più velocemente possibile.

La conclusione può essere sgradevole. Ma la logica alla base è inoppugnabile. Nessuna spacconata di Washington o storiella raccontata da un presidente americano all’ONU farà la minima differenza.

Iran: trattare o non trattare?

Dopo aver sfogato la propria rabbia sulla Corea del Nord, il presidente ha quindi rivolto la sua attenzione all’altro ben noto stato Canaglia dell’Impero del Male, l’Iran. Ha gettato una secchiata di escrementi sull’accordo che aveva raggiunto con l’Iran il suo predecessore Barack Obama, insieme ad altre potenze mondiali, dopo dodici anni di lunghi e difficili negoziati.

Lo scopo dichiarato di tale accordo era quello di bloccare il programma nucleare iraniano e in cambio ammorbidire le sanzioni internazionali. Non veniva fatta menzione riguardo al regime interno iraniano o della sua politica estera. Tale omissione non era accidentale, dato che avrebbe reso impossibile l’accordo sulla questione centrale – il programma nucleare iraniano. Ci sono voluti molti anni di dure contrattazioni per raggiungere l’accordo, che alla fine c’è stato. Con giubilo nelle strade di Teheran, allarme in Arabia Saudita, rabbia in Israele mentre nel Partito Repubblicano statunitense si digrignavano i denti.

Recentemente nei circoli politici americani di destra si sono intensificati violenti attacchi contro l’Iran. Questa è solamente una reazione impulsiva di panico al fatto che l’Iran abbia notevolmente aumentato il suo potere e l’influenza nel Medio Oriente. In realtà gli americani devono solo incolpare sé stessi per questa rapida espansione iraniana. La spiegazione dei successi iraniani non è di Obama e del suo accordo, ma la stupidità del suo predecessore repubblicano, George Bush.

Gli imperialisti americani, ignoranti e incompetenti, sono entrati in Iraq e hanno distrutto il paese, sfasciando il suo esercito e destabilizzando così l’intero Medio Oriente. Tutti i crimini successivi e la barbarie sono dovuti, in ultima analisi, a questo mostruoso crimine dell’imperialismo. Distruggendo l’esercito iracheno, gli americani hanno rimosso l’unico contrappeso effettivo all’Iran, che è oggi uno dei poteri dominanti della regione.

Condannando fragorosamente ciò che chiama il sostegno iraniano ai “gruppi terroristici” all’estero e alla repressione politica, Donald ha chiesto che il mondo affronti il regime “assassino” di Teheran. Ha annunciato drammaticamente che l’accordo sul nucleare era “una cosa imbarazzante per gli Stati Uniti” e il mondo “ne sentirà ancora parlare”, mentre il rappresentante iraniano, con un sorriso sereno, continuava a giocare con il suo smartphone.

Al contrario del suo collega iraniano, Bibi Netanyahu è saltato su e giù dalla sedia per esprimere il proprio entusiasmo per Trump. Ciò che solitamente si dimentica (perché non se ne parla fra persone educate) è che Israele possiede già delle armi nucleari. Fin dagli anni ’50, Israele ruba segreti nucleari e costruisce bombe di nascosto. I governi occidentali, specialmente gli Stati Uniti, chiudono un occhio. Israele possiede un intero arsenale nucleare sotterraneo, ora stimato a 80 testate, paragonabile a quello dell’India e del Pakistan. Ha anche testato una bomba quasi mezzo secolo fa. Questo test non ha causato proteste internazionali, non è stato pubblicizzato, non ha portato a un voto di censura nel Consiglio Generale, a nessuna sanzione e a nessun appello a un cambiamento di regime.

Possiamo perdonare le persone in Medio Oriente se si chiedono perché Israele sia autorizzato a possedere armi nucleari, mentre quando l’Iran segue il suo esempio, è considerato come una minaccia per la pace nel mondo. Pensiamoci, come mai l’programma nucleare embrionale della Corea del Nord è presentato come una minaccia per il mondo, mentre il gigantesco arsenale nucleare statunitense non lo è? Ovviamente la risposta a queste irragionevoli domande è perfettamente chiara a tutti gli esseri umani ragionevoli. Tutto è spiegato nella fiaba di Trump, o detto in maniera semplice: loro sono i cattivi e noi siamo i buoni.

Sfortunatamente nel mondo reale, che su alcune cose differisce in modo piuttosto importante da una favola, talvolta è terribilmente difficile distinguere tra i buoni e i cattivi. La Siria ne è un eccellente esempio. In Siria, gli americani e i loro amici sauditi e israeliani hanno sostenuto per anni i gruppi terroristici islamici più reazionari. Le rivelazioni di WikiLeaks sui rapporti segreti dell’intelligence statunitense hanno dimostrato in modo definitivo che i sauditi stavano armando e finanziando l’ISIS, mentre gli americani e gli israeliani sostenevano altri gangster legati ad Al Qaeda.

Il loro scopo era quello di rovesciare il regime di Assad (e sostituirlo con qualcosa di infinitamente peggio) ma sono stati spazzati via senza pietà e la loro sconfitta è dovuta in larga parte alla partecipazione nel conflitto siriano di forze iraniane e dei loro alleati militari sciiti, in particolare gli Hezbollah. Di conseguenza, gli iraniani hanno ora il controllo su grandi parti dell’Iraq e della Siria, così come del Libano attraverso gli Hezbollah e ormai sono diventati una formidabile forza militare.

Trump afferma che l’accordo con l’Iran è stato eccezionalmente brutto per l’America, ma in realtà mentre l’Iran ha rispettato le condizioni dell’accordo, l’America non l’ha fatto. Né i servizi statunitensi né quelli britannici credono che Teheran abbia deciso di costruire una bomba nucleare e i progetti nucleari iraniani sono sotto costante monitoraggio internazionale. Ma già sotto Obama gli Stati Uniti avevano fatto passare una serie di leggi che imponevano nuove sanzioni contro l’Iran, rompendo sia quanto era stato scritto che lo spirito dell’accordo.

Ora sembra probabile che l’”affarista senza rivali” annulli tutto l’accordo con l’Iran, anche se i più pacati della sua amministrazione cercheranno di convincerlo a non farlo. Se lo fa, qual è il risultato? Teheran seguirà l’esempio della Corea del Nord, accelerando il suo programma nucleare, e come con la Corea del Nord, non c’è molto gli americani possano fare per impedirlo.

Gli israeliani possono essere tentati di impedirlo. Ma la loro capacità di azione militare è limitata e si fermerebbe ai bombardamenti aerei. Sarebbero però inefficace, poiché gli iraniani sono ben preparati e le loro installazioni nucleari saranno protette in bunker sotterranei con cemento armato che può sopportare attacchi pesanti, a parte un attacco diretto con potenti esplosivi. Nella migliore delle ipotesi, il bombardamento servirebbe solo a posticipare il programma nucleare iraniano, ma non gli impedirebbe di arrivare a termine. Porterebbe tutta la popolazione dietro al governo, senza impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare.

Cosa piace e cosa non piace a Trump

Come Nick Bottom il tessitore in “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, Trump può ruggire “dolcemente come un usignolo”. Per non spaventare le signore, ruggirà “dolcemente come una tenera colomba”. Ma il giorno dopo tutta la stampa ha riportato nei titoli che quelle erano una serie di bellicose minacce a tutti gli imperi del male che osano minacciare l’America o disturbare il sonno tranquillo dei suoi cittadini. Il tono generale improntato a un violento nazionalismo era solo leggermente avvolto da un sottile velo di gergo diplomatico sui “paesi responsabili e orgogliosi di sovranità” che lavorano insieme in modo armonioso per isolare i “regimi canaglia” (Corea del Nord e Iran) nel contesto della venerabile e sacra causa dell’autodifesa e della pace mondiale. L’essenza del suo messaggio si è rivelata forte e chiara: “America first” (prima l’America, ndt).

Trump ha cantato un inno più toccante (ma estremamente lungo) di lode al nazionalismo (o il patriottismo come preferisce chiamarlo) e all’economia di libero mercato (cioè il capitalismo). Ha invitato altri paesi a seguire il suo brillante esempio, sollevare il ponte levatoio e costruire le proprie forti economie nazionali. Ha dichiarato il suo impegno irremovibile a quelle cose che hanno reso l’America grande: l’iniziativa personale, la libera impresa, la religione e la famiglia, che, come tutti sappiamo, sono il vero fondamento di ogni società sana. (Per qualche ragione ha dimenticato di menzionare “Motherhood and Apple pie”, i valori fondamentali dell’America).

Questa è la summa della visione filosofica del mondo di Trump. Questo è ciò per cui si batte. Ma contro cosa combatte? Non ha perso il tempo a enumerare i nemici: innanzitutto il socialismo, il cui solo pensiero è sufficiente per mandare il presidente in eccessi di rabbia che gli causano gravi problemi di pressione. Poi ci ha informati che la sua seconda bestia nera sono le burocrazie globali.

Ora un uomo con tali eccezionali qualità intellettuali come Trump non poteva non sapere che le stesse Nazioni Unite sono di per sé la burocrazia globale per eccellenza. Questa omissione è tutt’altro che il risultato di una dimenticanza. Come i monarchi borbonici, ai quali assomiglia in tanti aspetti, Trump non ha imparato nulla e non dimentica niente. Il suo brusco marchio di nazionalismo, che è solo l’espressione del desiderio dell’imperialismo statunitense di mettere tutto il globo terrestre sotto il suo tallone, è solo l’altra faccia della medaglia. Altra faccia che è una profonda sfiducia negli alleati che non gli leccano i piedi con abbastanza piacere, unito a un profondo odio e disprezzo per organizzazioni come l’ONU.

L’ONU è stata fondata dopo la Seconda guerra mondiale, presumibilmente per prevenire future guerre e conflitti. Lo stesso vale per la Lega delle Nazioni, fondata dopo la Prima guerra mondiale con obiettivi simili. Lenin descrisse la Lega delle Nazioni come una “cucina ladri”. Questa descrizione si adegua perfettamente al suo successore. I precedenti delle Nazioni Unite per prevenire guerre e conflitti non sono affatto meglio di quelli della vecchia Lega. L’ONU non ha mai impedito alcuna guerra, sebbene ne sia stata coinvolta più volte.

I fondatori dell’ONU credevano realmente che avrebbero potuto formare le basi per un governo mondiale. Ma l’idea di un governo mondiale sotto il capitalismo è una contraddizione nei termini. Il capitalismo si basa sullo stato nazionale e l’atto costitutivo dell’organizzazione enfatizza la sovranità di ciascun stato membro. Lo stesso atto costitutivo invita i membri a guardare e promuovere “i diritti e i valori umani universali”. Poi come possano governi come l’Arabia Saudita mettere il proprio nome in una dichiarazione simile, senza esplodere in una risata, è impossibile da dire.

Trump ha detto che “stiamo chiedendo un grande risveglio delle nazioni”, senza fare il minimo riferimento alle Nazioni Unite. Dice che l’America non prevede che “i diversi paesi condividano le stesse culture, tradizioni o addirittura gli stessi sistemi di governo”. Ma ha lodato quei paesi “responsabili” che combattono il terrorismo e le varie altre minacce. Quale di questi “paesi responsabili” ha scelto di menzionare? Solo l’Arabia Saudita.

L’Arabia Saudita

L’accusa di Trump sul fatto che l’Iran sponsorizzi le organizzazioni terroristiche e minacci nazioni amanti della pace come l’Arabia Saudita è stata musica per le orecchie del Ministro degli Esteri Saudita Adel al-Jubeir, la cui fisionomia e presenza fisica sono simili al rinomato attore Vincent Price nel ruolo di Dracula. Il signor al-Jubeir è quasi arrossito a questa lode. Tranne che, come Dracula, è incapace di padroneggiare l’arte di arrossire.

La versione fiabesca di Trump è sfortunatamente l’esatto contrario. Se tracciamo tutti i fili che legano le diverse bande terroristiche jihadiste alla loro sorgente ultima, troveremo che la maggior parte, se non tutte, non portano a Teheran, ma a Riyadh. La maggior parte degli esecutori dell’attacco terroristico dell’11 settembre alle Torri Gemelle erano Sauditi. C’erano anche dei giordani, ma non un singolo iracheno. Eppure è stato invaso l’Iraq, non l’Arabia Saudita o la Giordania. Il giorno dopo l’11 settembre il presidente Bush ha ordinato a tutti i veivoli nel territorio degli Stati Uniti rimanessero a terra, con una sola eccezione: gli aerei che trasportavano cittadini sauditi fuori dagli Stati Uniti – compresi i parenti di Osama bin Laden.

Non è un segreto che l’Arabia Saudita, insieme ad Israele, sia ora il centro della controrivoluzione in Medio Oriente. La banda reazionaria a Riyadh, da dove esporta, a parte il petrolio, il velenoso fanatismo wahabita, ha eccellenti rapporti con gli imperialisti occidentali e con Israele (hanno appena creato un collegamento aereo diretto). Avendo a disposizione una grande quantità di denaro, acquistano i servizi di agenti che diffondano la loro perversa ideologia attraverso migliaia di organizzazioni di facciata: dalle madrasse in Pakistan e le “carità” nel Nord Africa fino ai movimenti jihadisti armati in Iraq, Siria e Libia.

I successi dell’Iran in Siria e in Iraq hanno fatto suonare un campanello di allarme a Washington, Gerusalemme e soprattutto a Riyadh. In un disperato tentativo di fermare la diffusione dell’influenza iraniana/sciita, il principe ereditario Muhammad Bin Salman, il vero governatore dell’Arabia Saudita, ha deciso di lanciare un’altra avventura in Yemen, dove Teheran supporta i ribelli Houthi.

La coalizione militare a guida saudita è impegnata in una guerra omicida, bombardando obiettivi civili, scuole, ospedali, negozi di alimentari, rifornimenti idrici, strade e porti, nel tentativo di sottomettere la popolazione affamandola. Naturalmente l’Occidente è rimasto in silenzio per queste atrocità, proprio come rimane silenzioso per le barbarie che il mostruoso regime saudita da decenni perpetra contro il proprio popolo.

L’Occidente “democratico”, che ha fatto un gran baccano riguardo ai crimini di guerra reali o presunti in Siria, non solo mantiene un silenzio complice nei confronti dei crimini sauditi contro l’umanità, ma li sostiene attivamente. Il governo britannico ha occultato un rapporto riguardante i finanziatori dei movimenti reazionari jihadisti in Gran Bretagna. Sappiamo che la risposta è l’Arabia Saudita, ma lo nascondono deliberatamente.

La monarchia saudita è il regime più crudele, corrotto e degradato che si possa immaginare. Tra le meravigliose abitudini di questo paradiso wahabita troviamo la fustigazione, il taglio degli arti, la lapidazione a morte, le decapitazioni e la crocifissione. Ma il gentile e cortese Trump non crede che i suoi amici sauditi “condividano le stesse culture, le tradizioni o anche i sistemi di governo”, che significa che non c’è bisogno di democrazia in Arabia Saudita: si prega di continuare a tagliare le teste, le mani e i piedi, a crocifiggere quante più persone possibile, fintantoché non mi pestano i piedi.

Ma queste avventure militari sono costate care ai sauditi. Si sono bruciati le dita in Siria, dove insieme ai loro alleati hanno preso un pugno sul naso. Ora sono di fronte alla sconfitta nello Yemen.

Venezuela

Guardando la sala con i suoi occhietti pungenti, come un avvoltoio in cerca di una cena facile, Trump ha fissato accuratamente lo sguardo sul Venezuela, che vede come esempio di tutto ciò che c’è di male nel “socialismo”, che ha attaccato come una “ideologia fallita”. Questo doveva chiaramente essere il punto forte del suo più drammatico intervento all’ONU.

Ha dichiarato che “L’America sta dalla parte di tutte le persone che vivono sotto un regime brutale” e che “Il nostro rispetto per la sovranità è anche un invito all’azione. Tutte le persone meritano un governo che si preoccupi della loro sicurezza, dei loro interessi e del loro benessere, inclusa la loro prosperità”. La cosa non quadra con la sua precedente affermazione per cui non si aspetta che tutti i paesi “condividano le stesse culture, tradizioni o addirittura i sistemi di governo”.

Molti anni fa, Henry Ford disse ai suoi clienti che avrebbero potuto avere un’auto del colore che gli piacesse, purché fosse nera. Ora Trump informa il mondo intero, che si può avere qualsiasi sistema, purché sia ​​il capitalismo. Per chiarire il punto, ha lanciato un lungo anatema contro il socialismo e tutto quello che ha fatto:

“Dall’Unione Sovietica, a Cuba, al Venezuela, ovunque sia stato adottato il socialismo o il comunismo, questo ha provocato angoscia, devastazione e fallimento. Coloro che predicavano i principi di queste ideologie screditate contribuiscono solo alla sofferenza continua delle persone che vivono in questi sistemi crudeli : l’America sta con tutte le persone che vivono sotto ad un regime brutale”.

“Il problema del Venezuela non è che il socialismo sia stato attuato male, ma che il socialismo è stato attuato fedelmente” ha tuonato Trump. Quella era l’apice per farli cadere ai suoi piedi: un vero e proprio tour de force scaturito dal genio dello sceneggiatore. Un attimo di attesa, il Presidente con la mascella sporgente di parecchi centimetri e gli occhi fissi a mezza distanza, in attesa del fragoroso applauso che avrebbe sicuramente salutato questa ispirata orazione.

Ha aspettato, ancora e ancora. È passato un secondo, apparentemente un’eternità, poi un’altro e un’altro ancora. Ma non ci sono stati applausi. Sulla sala dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York è sceso un silenzio terribilmente imbarazzato, interrotto da alcune risate sparse, poiché alcuni dei presenti hanno cominciato a rendersi conto del dilemma del Presidente. Alla fine – dopo che Trump aveva disperatamente aspettato per un momento interminabile – alcune anime gentili hanno cominciato ad applaudire tiepidamente. Ma la debolezza degli applausi è stata una testimonianza sufficiente del suo fallimento.

Gli applausi che provenivano probabilmente dalle postazioni di Israele, Arabia Saudita, Egitto e Filippine, con Theresa May e Boris Johnson ad applaudirlo nella speranza che il loro capo dell’altra parte dell’Oceano li sentisse e si rallegrasse che i Rapporti Speciali con il Regno Unito – cioè il rapporto tra un barboncino e il suo padrone – siano vivi e vegeti.

Sebbene sembra essere sfuggito all’attenzione di Trump, il sistema che ha fallito in modo significativo tra la razza umana non è il socialismo ma il capitalismo. È la cosiddetta economia di libero mercato da lui tanto amata a non aver fornito nient’altro che disperazione, devastazione e fallimento in tutto il mondo, soprattutto perché l’economia di mercato è crollata in modo così spettacolare dieci anni fa e i problemi del Venezuela non sono causati da troppo socialismo ma, al contrario, da troppo poco socialismo.

La rivoluzione bolivariana ha ottenuto molto in termini di riforme dell’educazione, dell’alloggio e della salute (che negli USA è in condizioni barbare, indegna di un paese ricco e avanzato e che sotto Trump sta per avere un grosso peggioramento). Ma purtroppo non è giunta alla conclusione più logica: la totale eliminazione della proprietà privata dei terreni, delle banche e delle industrie più importanti.

Il risultato è l’attuale situazione caotica in cui l’anarchia capitalista unita al sabotaggio deliberato della borghesia controrivoluzionaria, aiutata dall’imperialismo statunitense, minaccia di distruggere la rivoluzione e di far tornare la società venezuelana al medioevo. Per dimostrare il suo fervore in appoggio a questa meritevole causa, Trump ha chiesto l’imposizione di sanzioni contro il Venezuela, in modo da sottolineare il messaggio che “il socialismo” porterà invariabilmente con sé “la continua sofferenza del popolo”, insieme ad “disperazione, devastazione e fallimento” e se non fallisce abbastanza rapidamente, Washington gli darà una bella spinta per farlo fallire più velocemente.

Prima l’America

L’Economist pensava che fosse “un discorso sconcertante e sconvolgente da ascoltare da parte di un presidente americano”. Ma perché? È stato un discorso che ha rivelato l’essenza interiore dell’imperialismo americano. Ha mostrato il suo vero volto, brutale, avido, egoista e rapace. Ha messo a nudo tutta il lato oscuro della sua anima. La sua moralità è quella del brigante che è disposto a commettere qualsiasi crimine, non importa quanto vile, a condizione che sia il principale obiettivo della vita, che è quello di crescere ricchi a scapito degli altri. Ed è proprio questo il significato di “prima l’America”.

L’ideale dichiarato da Trump è quello dei pionieri americani, duri e autosufficienti che costruivano le capanne di tronchi con le proprie mani e non ricevevano mai un centesimo dallo stato per il welfare. Dimentica di fare riferimento al piccolo dettaglio che hanno liberato il deserto, non solo da cactus e bufali, ma anche dalle sfortunate persone che l’avevano occupato centinaia di anni prima che si fosse anche solo sentito il nome di Colombo.

In realtà queste frasi ben calibrate riguardo alla fiducia in sé stessi non si devono al desiderio di una vita che ora si trova in un passato semi-dimenticato che appartiene ai libri di storia e si ricorda attraverso l’odore del sentimentalismo colorato di rosa. È una riflessione dello spirito molto moderno dell’egocentrismo, dell’avidità e dell’egoismo che motiva uomini come Trump. La ristretta mentalità nazionale si nasconde dietro al patriottismo, che ricordiamolo, è l’ultimo rifugio di una canaglia.

Una fredda indifferenza verso la sofferenza umana cela il suo volto ripugnante dietro la richiesta che i poveri, i malati e gli anziani debbano fare da sé, affidarsi solo sui propri mezzi, anche se non possiedono alcun mezzo su cui fare affidamento. Questa è la filosofia del libero mercato che consente agli ammalati di morire nella spazzatura invece di offrire loro assistenza medica. Il giuramento di Ippocrate, che dichiara che la vita umana è sacra, viene sostituito dal portafoglio e dal conto in banca.

Il programma sanitario di Obama ha fatto ben poco per cambiare questo atroce stato di cose. Ma anche questo è troppo per Trump, che calcia la stampella di un invalido e gli dice di stare in piedi da solo. I borghesi liberali trovano tutto questo “sconcertante e sconvolgente”. Questo perché a loro non piace che venga mostrato pubblicamente il vero volto del sistema che difendono. Vorrebbero che fosse permanentemente nascosto dietro una falsa facciata di moderazione e dolcezza. Questo era il significato di figure come Hilary Clinton e Barack Obama, che offrono essenzialmente la stessa medicina di Trump ma cercano di nascondere il suo sapore amaro aggiungendo una buona dose di zucchero.

Essendo così sincero sulla vera natura, gli scopi e i metodi del capitalismo, Trump ha fatto un vero servizio al mondo, sebbene lo abbia fatto in modo inconsapevole. Per quanto riguarda la favola, in genere si suole scrivere che “alla fine vissero tutti felici e contenti”. Ma a riguardo manteniamo un ragionevole dubbio…

Londra, 21 settembre 2017

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