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I veri costi del nucleare

La pericolosità  per le generazioni future delle scorie e gli esorbitanti costi dovuti allo stoccaggio (di smaltimento non si può parlare) sono la prova fondamentale di come fra le diverse fonti energetiche il nucleare sia, di gran lunga la più costosa e pericolosa.

Sia dal punto di vista dei rischi per la salute, sia da quello del conto economico sempre che si quantifichino (e finora si è evitato di farlo) i costi derivanti dall’intera vita delle centrali fino alla loro dismissione e dalla messa in sicurezza (o presunta tale) dell’enorme quantità di rifiuti radioattivi prodotti nel corso dell’intero ciclo.

Le scorie nucleari sono derivate dal combustibile esausto originatisi all’interno del reattore nucleare, ma anche dagli scarti di lavorazione. Sono molte le categorie nelle quali vengono suddivise le scorie nucleari e sostanzialmente dipendono dal loro stato, solido, liquido o gassoso, dal potenziale di radioattività in esse contenuto e dalla durata nel tempo della loro pericolosità. Sostanzialmente i rifiuti radioattivi si dividono in tre gruppi:

* Le scorie a bassa attività costituite da carta, stracci, indumenti, guanti, soprascarpe, filtri liquidi, derivanti oltre che dalle installazioni nucleari anche dagli ospedali, dalle industrie e dai laboratori di ricerca. Un tipico reattore nucleare ne produce annualmente circa 200 metri cubi.

* Le scorie a media attività, costituite dagli scarti di lavorazione, dai rottami metallici, dai liquidi, fanghi e dalle resine esaurite, derivanti principalmente dalle centrali nucleari, dagli impianti di riprocessamento e dai centri di ricerca. Un tipico reattore nucleare ne produce circa 100 metri cubi l’anno.

* Le scorie ad alta attività, costituite dal combustibile nucleare irraggiato e dalle scorie primarie del riprocessamento, derivanti unicamente dalle centrali nucleari e dagli impianti di riprocessamento. Un tipico reattore nucleare ne produce annualmente circa 30 tonnellate che corrispondono, una volta riprocessate, a 4 metri cubi di materiale vetrificato.

Le scorie a bassa e media attività resteranno pericolose per alcune centinaia d’anni (circa 300) quelle ad alta attività, che costituiscono solo il 3% del volume totale ma rappresentano da sole il 95% della radioattività complessiva, manterranno la loro carica mortale per molte migliaia di anni (fino a 250.000).

Stiamo perciò parlando di periodi estremamente significativi. Questi dati dovrebbero bastare essi soli a darci la dimensione dell’incommensurabile grandezza del problema con il quale ci stiamo confrontando e dell’assoluta impossibilità dell’odierna tecnologia scientifica di smaltire  l’enorme carico di materiale radioattivo che anno dopo anno si sta accumulando come conseguenza dell’attività delle oltre 400 centrali nucleari disseminate sul pianeta.

Ogni anno queste centrali, presenti in 31 nazioni producono migliaia di tonnellate di scorie, ogni anno gli Stati Uniti producono 2.300 tonnellate di rifiuti radioattivi e nella sola Francia si produce una quantità di nuove scorie pari a tutte quelle presenti in Italia.

Nei paesi membri della AIEA (Agenzia internazionale energia atomica) sono attivi oltre 70 depositi definitivi per rifiuti nucleari a bassa radioattività (circa 300 anni) una dozzina sono già stati chiusi, una decina stanno per chiudere, almeno 20 sono in fase di costruzione e molti altri sono in fase di progettazione.

La maggior parte di essi (circa il 90%) sono costruiti in superficie e costituiti da trincee, tumuli, silos e sarcofaghi di calcestruzzo, volti a garantirne la conservazione in tutte le condizioni prevedibili. Il restante 10% è costituito da depositi posti in cavità sotterranee o in formazioni geologiche profonde.

I depositi “definitivi” esistenti nel mondo riguardano esclusivamente i rifiuti nucleari a bassa radioattività mentre non esistono “soluzioni” per le scorie ad alta radioattività, minori quantitativamente, ma enormemente più pericolose in quanto fonti di radiazioni per decine di migliaia di anni, fino a 250.000 anni.

Nulla e nessuno potrà mai prevedere le mutazioni di ogni genere che riguarderanno il pianeta nei prossimi 100/200 mila anni, né individuare luoghi o spazi adatti a stipare in sicurezza le scorie ad alta radioattività in un futuro tanto lontano.

Finora si è preso in considerazione la possibilità di depositare i rifiuti radioattivi dentro formazioni geologiche naturali, (in particolare miniere di sale) profonde centinaia o migliaia di metri. Tale soluzione, che potrebbe avere un senso per quanto concerne le scorie a bassa radioattività, ne diviene priva se riferita ai rifiuti altamente radioattivi, in quanto durante svariate decine di migliaia di anni anche la conformazione di grotte e caverne è per forza di cose destinata a mutare radicalmente.

In attesa di una soluzione che mai potrà essere trovata, le 440 centrali nucleari sparse per il mondo continuano ad operare a pieno regime, contribuendo ad aumentare considerevolmente ogni anno l’enorme quantitativo di scorie già presente ed i rifiuti ad alta radioattività vengono semplicemente stoccati in depositi “di fortuna” in attesa di un trasferimento definitivo che non avverrà mai.

Secondo il Dipartimento dell’energia (DOE) americano, per risolvere (in realtà porre una pezza) il problema delle scorie nucleari saranno necessari dai 70 ai 100 anni, spendendo dai 200 ai 1000 miliardi di dollari. Il suo programma prevede di decontaminare le 10 principali aree inquinate del paese e di raccogliere il materiale radioattivo più pericoloso, disperso in svariati siti, per poi trasportarlo in due grandi depositi sotterranei adatti ad una sistemazione definitiva.

Il progetto dovrà superare difficoltà quanto mai ostiche, quali la decontaminazione di aree vastissime (grandi addirittura la metà della Valle D’Aosta) trovare un sistema di trasporto sicuro che consenta di trasferire per migliaia di chilometri le scorie più pericolose e individuare una sistemazione che possa restare sicura per molte decine di migliaia di anni.

Uno dei depositi sotterranei è stato identificato nel 2002 nel Nevada meridionale, circa 160 km a nord ovest di Las Vegas, sotto il monte Yucca. Il costo e la complessità dell’operazione sono enormi. Solo per gli studi preliminari del terreno e il progetto sono stati spesi circa 7 miliardi di dollari e per la costruzione del deposito è previsto un esborso di almeno 58 miliardi di dollari.

Nei suoi tunnel è prevista la conservazione di 77.000 tonnellate di scorie radioattive, stipate in oltre 12.000 contenitori. A circa 300 metri di profondità verrà scavata una rete di tunnel sotterranei a spina di pesce della lunghezza di 80 km.

Il materiale radioattivo, attualmente conservato in 131 depositi sotterranei distribuiti in 39 stati, verrà trasportato attraverso 4.600 fra treni ed autocarri che dovranno attraversare 44 stati.

Studi scientifici effettuati da commissioni non governative hanno dimostrato che sarà impossibile nel lungo termine impedire le infiltrazioni delle acque sotterranee nel deposito.

L’attuale stato di conservazione delle scorie nei vari paesi è spesso estremamente precario ed anche le più elementari norme di sicurezza non sono neppure prese in considerazione, costituendo la potenziale occasione per incidenti di gravità anche superiore a quello di Cernobyl. Questo non avviene solo nei paesi meno sviluppati e nell’est europeo, ma anche in paesi come gli Stati Uniti o la Germania.

La realtà è che da almeno 30 anni i numero di centrali non aumenta in modo significativo in primo luogo per i costi spropositati. Negli Usa ci sono decine di “permessi” per l’inizio della costruzione… ma non si trovano i capitali! Idem per l’unico reattore previsto per il Canada. In Finlandia il reattore che la Francia doveva finire per il 2009, forse sarà operativo nel 2015, con costi più che duplicati. Il crollo in Borsa nella scorsa settimana delle azioni delle compagni legate al nucleare come produttrici di impianti, come fornitrici di uranio o infine come compagnie di assicurazione sta a dimostrare quali sono i costi di questa energia. E parliamo di costi economici, non di conseguenze sulla vita delle persone, sull’uso del territorio. Questi per noi non hanno prezzo e dovrebbero essere ridotti al minimo…

Non può essere un caso che nei prossimi 10 anni andranno in chiusura almeno un terzo degli attuali impianti nucleari mentre si costruiranno nel miglior dei casi non più di qualche decina… Solo i “talebani” del nucleare possono ignorare la spettacolare riduzione dei costi e l’aumento dell’efficienza del fotovoltaico… negli ultimi 5 anni (quando veramente si è cominciato a entrare nella tappa industriale del suo uso) mentre i miglioramenti di efficienza e sicurezza nel nucleare sono quasi inesistenti da 30 anni…

L’Italia e il nucleare

Se andiamo in Italia la situazione è ancora peggiore. Solo il blocco dell’energia nucleare ottenuto con un 80% di No nel referendum del 1987 ha permesso di ridurre la quantità di residui radiotattivi. Ma ancora oggi la maggior parte dei residui delle centrali chiuse allora si trova “depositata” nelle stesse centrali… Persino l’uranio usato da Enrico Fermi nel 1942 è ancora in attesa di una sistemazione “finale”.

Risulta dunque evidente come la questione delle scorie radioattive rappresenti un problema enorme, sia dal punto di vista gestionale sia da quello economico, per tutti coloro che hanno “sposato” il nucleare sia per l’uso civile che per quello militare. In Italia da metà dell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una campagna estenuante tentando di “dimostrare” che il nucleare sia un’ energia a buon mercato oltre ad essere la più indicata per rispondere al riscaldamento globale provocato dalla produzione di “gas serra”.

Negli ultimi anni il governo Berlusconi, assieme a quello cinese (che pure in questi giorni ha detto che prenderà una pausa di riflessione) è stato l’unico che ha deciso un piano di costruzione di nuove centrali. In modo approssimativo, senza un’analisi seria di siti, costi e implicazioni il “governo del fare” ha sbandierato che il nucleare avrebbe portato energia elettrica a buon mercato per l’Italia.

In Italia tutto ciò che oggi riguarda il nucleare fa capo alla Società Gestione Impianti Nucleari s.p.a. (Sogin) istituita nel 1999, che ha incorporato tutte le strutture e le competenze che prima appartenevano all’Enel nell’ambito del nucleare. Presidente della Sogin è il generale Carlo Jean che nel febbraio 2003 ha quantificato i rifiuti radioattivi presenti in Italia in:

* circa 50.000 m³ di scorie radioattive a bassa e media radioattività, – circa 8.000 m³ di scorie radioattive ad alta radioattività,
* 62 tonnellate di combustibile irraggiato che si trovano ancora oggi in Francia,
* diversi “cask” di combustibile riprocessato che attualmente sono in Gran Bretagna (Sellafield),
* oltre ad ospedali, acciaierie, impianti petrolchimici e così via che producono circa 500 tonnellate di rifiuti radioattivi ogni anno.

Dal 1989 in poi il cittadino italiano ha iniziato a pagare, attraverso un’addizionale sulle bollette Enel, i cosiddetti “oneri nucleari” destinati in un primo tempo a compensare l’Enel e le altre società collegate per le perdite conseguenti alla dismissione delle centrali. Dal 2001 in poi e fino al 2021 gli oneri saranno destinati alla Sogin e finalizzati alla messa in sicurezza degli 80.000 m³ di scorie radioattive frutto dell’attività nucleare. Alla data del 2021 i cittadini avranno pagato attraverso addizionali sulla bolletta Enel la cifra astronomica di 11 miliardi di euro, pressappoco la metà dell’ultima manovra finanziaria.

Il 13 novembre 2003 il Consiglio dei Ministri approva un decreto nel quale individua a Scanzano Jonico, in Basilicata, il sito nazionale nel quale accumulare le scorie derivanti dalla dismissione delle centrali nucleari. Il costo dell’operazione, comprensivo degli studi necessari per valutare l’idoneità del sito e degli oneri conseguenti al trasporto dei materiali pericolosi, arriva nelle previsioni a sfiorare i 2 miliardi di euro.

La conseguenza di questa decisione è lo scatenarsi di una vera e propria rivolta da parte degli abitanti e delle autorità di Scanzano e dell’intera Basilicata. Proteste, cortei e blocchi stradali si susseguono praticamente senza soluzione di continuità e il 27 novembre il governo si vede costretto a modificare il decreto, togliendo il nome di Scanzano ed impegnandosi ad identificare entro 18 mesi un nuovo sito nazionale che dovrà essere completato entro e non oltre il 31 dicembre 2008.
Di anni (non di mesi) da allora sono passati 8 ed il 65% dei rifiuti radioattivi italiani continua ad essere conservato in una conca alluvionale in riva alla Dora Baltea, in un luogo giudicato “indifendibile” dagli stessi servizi segreti italiani, nella cittadina di Saluggia (Vercelli).
Già durante l’alluvione del 2000 l’acqua del fiume arrivò a lambire le scorie e il premio Nobel Carlo Rubbia dichiarò che se il livello del fiume fosse stato solo di pochi centimetri più alto, avremmo assistito all’inquinamento della Dora, del Po e del Mare Adriatico.

18 marzo 2011

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