“I miserabili” di Ladj Ly – Un appello al conflitto
I miserabili è un film del 2019 Ladj Ly, un regista nero nato in un quartiere popolare di una città del nord della Francia. Il film non parla del romanzo di Victor Hugo, pur citandolo, ma bensì di una vicenda ambientata nella periferia di Parigi. Ha vinto il premio della giuria al festival di Cannes nel 2019, ed è stato candidato ad altri premi come l’Oscar e il Golden Globe.
La storia parte con un momento di euforia collettiva ovvero quello della vittoria della Francia ai mondiali del 2018 dove sembra sparire tutta la suddivisone in classi e fra etnie, ma si passa subito dopo a una storia amara, narrata dal punto di vista di un poliziotto appena trasferitosi nella brigata anti-crimine del quartiere. Stephane qui fa conoscenza con gli altri due poliziotti, Chris e Gwanda, che si fanno pochi problemi a maltrattare le persone, soprattutto il primo. Dopo che un ragazzino di nome Issa ruba un leoncino a un circo gestito da una famiglia Rom, e il proprietario minaccia la polizia e il cosiddetto “sindaco”, un uomo che si impegna per il quartiere.
Qui incominciano una serie di inseguimenti, con una regia di grande livello, che porteranno Gwanda a sparare con una flash-ball al ragazzino ferendolo in faccia. Il tutto però viene filmato e siccome oggi nulla è accaduto se non è accaduto in video i poliziotti cercheranno di distruggere le prove per salvarsi. Ma il giorno dopo si scatena la rabbia dei ragazzini del quartiere, che scoppia in una vera e propria rivolta contro tutti, contro la polizia ma anche contro il “sindaco” e i fratelli musulmani, e contro gli adulti che li hanno traditi e ingannati. Si arriva ad incastrare i poliziotti in un palazzo, ed è qui che il regista genialmente lascia il finale aperto, il cui esito, del film e della rivolta, rimane sospeso.
Questo film tratta tematiche molto importanti: la prima è quella della repressione poliziesca, alla luce della nuova legge di Macron che vieta di filmare la polizia; i poliziotti sin dalle prime scene del film commettono violenze gratuite verso le persone del quartiere senza farsi problemi, e quando scoprono che una loro azione criminale è stata ripresa fanno di tutto per distruggere le prove, cercando di ricattare e minacciare personalmente le persone senza porsi nessuna domanda sulla violenza che esercitano, inevitabile per il loro modo di pensare, e che vedono come unica soluzione per pacificare, o meglio gestire il quartiere; di azioni di questo tipo se ne verificano continuamente nel mondo.
Altra tematica abbastanza calda è quello dell’islam che dà una falsa prospettiva, illudendo i credenti, e che li sfrutta per propri scopi, ovvero imporre il proprio dominio. Un vicolo cieco che porta al vero tema del film, i quale magistralmente in un poco di più di un’ora e mezza riesce a mettere in scena un importante concetto del materialismo storico, la trasformazione da quantità a qualità. Le continue violenze, delle istituzioni e della malavita, la povertà e la mancanza di prospettive, ogni tanto illuse dall’islam; portano questa generazione ad accumulazione di rabbia, che inevitabilmente esploderà e travolgerà il mondo adulto, il mondo di chi si è adattato alle violenze e alle ingiustizie o le pratica e giustifica.
Questo film non è una semplice rimando al romanzo di V. Hugo, a cui invece si rifanno molti altri film precedenti. Non c’è alcuna redenzione né per gli abitanti, né per la polizia. E qui sta la bellezza e il valore del film, perché non c’è un lieto fine per la società borghese e il conflitto non sembra abbia intenzione di pacificarsi, i rivoltosi non sono sconfitti ma i poliziotti invece (qualsiasi sia la fine del film che ci possiamo immaginare), faranno una brutta fine. Niente si risolve in una pace o con degli abbracci, l’unica strada è quella del conflitto, inevitabile e dirompente e sta a chi ne è cosciente il dovere di prepararsi e organizzarsi.
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