Fred Hampton, il rivoluzionario nero – Recensione del film “Judas and the Black Messiah”

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Fred Hampton, il rivoluzionario nero – Recensione del film “Judas and the Black Messiah”

Non combatteremo il capitalismo con il capitalismo nero, combatteremo il capitalismo con il socialismo”. Nelle immagini all’inizio del film “Judas and the Black Messiah” è Fred Hampton ad esclamare questa parola d’ordine, un grido di lotta che fa tremare il Paese capitalistico più potente al mondo: gli Stati Uniti d’America.

Il film, diretto da Shaka King, ripercorre alcuni episodi della vita di Fred Hampton (the Black Messiah) – uno dei leader più importanti e carismatici del Partito delle Pantere Nere – e dell’uomo che lo vendette all’FBI, William O’Neal (Judas). La pellicola è già un caso mediatico: ha vinto due premi Oscar ed altri importanti riconoscimenti, è stata premiata soprattutto l’interpretazione di Daniel Kaluuya (Fred Hampton). Pochi anni fa, un film di questo tipo sarebbe stato impensabile: le proteste di massa di Black Lives Matter hanno scosso a tal punto la società statunitense, che persino l’industria cinematografica di Hollywood non può sottrarsi dal produrre un film che mostra chiaramente la reale natura dello Stato – un manipolo di assassini al servizio della classe dominante – e che evidenzia la necessità di una rivoluzione per cambiare il sistema. Non è il solito film pietista sulla condizione degli afroamericani, si tratta, invece, di un film politico dove emergono con chiarezza due mondi contrapposti: da un lato, la lotta delle Black Panthers contro un sistema razzista e ingiusto; dall’altro il lato, il governo degli Stati Uniti deciso a reprimere ogni forma di dissenso e a perpetuare lo stato di sfruttamento ed oppressione nei confronti degli afroamericani e della classe operaia.

La Chicago del 1968 fa da scenario a questo scontro: movimenti contro la guerra in Vietnam, i militanti di sinistra e le organizzazioni delle minoranze affollano le strade e subiscono la violenta repressione dello Stato. J. Edgar Hoover (interpretato da Martin Sheen), direttore dell’FBI, sostiene che bisogna assolutamente arrestare quest’ondata di rivolte ed evitare che questi movimenti si uniscano sotto la guida delle Black Panthers, “la più grande minaccia alla sicurezza interna degli Stati Uniti”. William O’Neal è l’uomo giusto per l’FBI: è un giovane di 17 anni che per sopravvivere commette piccoli furti. Per evitare la galera, O’Neal accetta di lavorare sotto copertura per l’FBI, con lo scopo di consegnargli Fred Hampton, quindi viene infiltrato tra le Pantere Nere.

Nel film si ripercorrono alcuni metodi che caratterizzavano il Partito delle Pantere Nere e la personalità e le idee di Fred Hampton (sul programma delle Pantere Nere rimandiamo ad un altro articolo).

Nella seconda metà degli anni ’60, molti giovani afroamericani avevano abbondonato la strada della non-violenza, tracciata dal Movimento per i Diritti Civili, in favore di una lotta che doveva essere condotta armi in mano. Diverse organizzazioni radicali nascono nel solco che viene creato dalle lotte rivoluzionarie degli anni ’60, che esplodono a livello mondiale, e dalla morte di Malcom X, nel 1965. La lotta guerrigliera cubana e le lotte anticoloniali sono, per i giovani afroamericani, delle esperienze non solo da difendere, ma da emulare: “le comunità dei neri sono come colonie e la polizia è un esercito di occupazione”1. Il Partito delle Pantere Nere per l’Autodifesa (Black Panther Party for Self-Defense) nasce con queste concezioni ed eredita i sistemi organizzativi della guerriglia. Come emerge chiaramente nella narrazione cinematografica, i militanti delle Pantere Nere si sottopongono ad una disciplina para-militare, rivendicano il diritto di pattugliare i ghetti armati e difenderli dalla polizia. Questo rappresenta, a nostro avviso, uno dei limiti principali del Partito delle Pantere Nere: la disciplina militare non deve sostituirsi alla dialettica interna del partito e l’azione diretta di un gruppo di militanti armati, anche se guidata da rivendicazioni corrette, non può sostituirsi ad una lotta più generale che deve condursi su basi di classe.

Nel film, sono altrettanto evidenti i programmi di sostegno sociale, che le Pantere nere organizzavano per la comunità afroamericana: servono colazione gratis per i bambini poveri e costruiscono una clinica per fornire supporto sanitario alle famiglie.

Sono però le scene con Fred Hampton a catturare di più l’attenzione. Hampton, a soli 21 anni, è già Presidente della sezione dell’Illinois del partito e tra i massimi esponenti a livello nazionale. È un leader carismatico, capace di esaltare le folle ed interagire con loro e fargli urlare all’unisono “Sono un rivoluzionario!”. Nei suoi discorsi, sottolinea chiaramente come il razzismo sia un prodotto del sistema capitalistico, il quale, attraverso la sua politica del divide et impera, impone il suo modello basato sullo sfruttamento; inoltre, Hampton sostiene che l’unico modo per mettere fine a questa barbarie non è un capitalismo più inclusivo o un “capitalismo nero”, ma ci vuole il socialismo, da costruirsi attraverso un’unione di tutti i gruppi etnici oppressi e una rivoluzione del proletariato. Hampton va al di là dei discorsi, infatti, si adopera in prima persona per costruire la “Coalizione Arcobaleno” un movimento che unisce neri, bianchi (Young Patriots Organization) e latino americani (Young Lords). La sezione di Chicago delle Black Panthers diventa un afflusso continuo di nuovi membri, a cui Fred Hampton fa continua formazione politica.

Un video dell’epoca con alcuni discorsi di Fred Hampton

Le gesta di Fred Hampton lo mettono nel mirino dell’FBI. Il cosiddetto governo democratico degli Stati Uniti adopera l’intero apparato poliziesco per reprimere le Pantere Nere, scatenando una vera e propria caccia all’uomo nei confronti dei militanti del partito. I ghetti vengono militarizzati e pattugliati giorno e notte dalla polizia; le sedi del Partito vengono assediate e spesso bruciate. L’FBI stabilisce un programma di controspionaggio, il COINTELPRO, O’Neal è una pedina all’interno di questo programma. L’obiettivo esplicito del COINTELPRO è quello di evitare l’ascesa di un messia nero e di preservare lo stile di vita americano e la democrazia (leggasi “preservare il sistema capitalistico”).

Per coloro che conoscono la storia, sanno bene che Fred Hampton è stato una vittima di questo programma, ucciso da un raid della polizia in piena notte, insieme ad un suo compagno, Mark Clark. “Judas and the Black Messiah” ha portato sul grande schermo un pezzo di storia degli Stati Uniti e da cui, coloro che vogliono cambiare lo stato di cose, devono apprendere delle lezioni: sul ruolo dello Stato e della polizia e su come costruire un’organizzazione rivoluzionaria. Quello che sta accadendo oggi negli Stati Uniti, ci fa capire che la situazione non è cambiata molto (anche con Biden): il 29 Marzo, proprio a Chicago, è stato ammazzato dalla polizia un giovane latino americano di 13 anni. Lo stato americano, oggi, come nel 1969, è sempre lo stesso: un’organizzazione di burocrati, assassini e razzisti che sfrutta la fame e la disperazione, per permettere ai capitalisti di dominare indisturbati. Ed oggi, come nel 1969, l’unico modo per mettere fine a questa barbarie ed alla carneficina della polizia nei confronti delle minoranze, è quello di organizzare una lotta rivoluzionaria ed anti-capitalista, riprendere le rivendicazioni più avanzate delle Pantere Nere, e seguire l’esempio di Fred Hampton, un rivoluzionario che per quella lotta ha dato la vita.

 

1)J. Bloom, W. E. Martin; Black against Empire: The History and Politics of the Black Panther Party; University of California Press; Berkley and Los Angeles, California; 2013

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