Francia – Quali lezioni dal movimento contro la riforma del lavoro?
Dopo quattro mesi di mobilitazione, 11 giornate d’azione nazionale e alcuni movimenti parziali di sciopero a oltranza (raffinerie, camionisti, rifiuti ecc.) la lotta contro la riforma del mercato del lavoro sembra sul punto di spegnersi. Il governo non ha risparmiato nulla per imporsi: utilizzo dell’articolo 49.3 della Costituzione per evitare il voto parlamentare, polizia contro picchetti operai e assemblee studentesche, lacrimogeni e persino il tentativo di vietare il corteo sindacale del 23 giugno di Parigi, evenienza non registrata sin dal 1962. Il padronato ha diretto e spalleggiato il governo. Gattaz, presidente del Medef (la Confindustria francese), ha addirittura accostato, con maldestri distinguo, la minaccia del terrorismo fondamentalista dell’ISIS e l’azione di sciopero della Cgt; la risposta specifica degli elettrici del sindacato è stata quella di staccare il contatore dalla residenza di vacanza di Gattaz e mostrarlo come “trofeo” in un’assemblea locale!
In realtà, durante la lotta la Cgt è emersa come l’alternativa, possente, al campo governativo e padronale. Anzi un vero e proprio antagonista di Hollande e Valls. L’azione di alcuni suoi settori d’avanguardia con influenza di massa ha certamente rafforzato tale sentimento. Lo stesso movimento Nuit Debout, capace di coinvolgere settori giovanili alla prima politicizzazione, non si è separato dalla mobilitazione operaia ma ha cercato, al contrario, di infondervi ulteriore energia. La traiettoria di Nuit Debout può comprendersi anche osservando quanto le critiche isteriche della grande stampa ad uno dei suoi promotori, l’economista di sinistra F. Lordon, siano state in breve tempo oscurate dalle colate di inchiostro contro la Cgt.
Ora il progetto di legge è tornato al parlamento, dopo l’esame del senato, e si avvia alla sua approvazione estiva finale. Alla vigilia della dodicesima giornata d’azione nazionale, il 5 luglio, il segretario di Force Ouvrière (Fo) si desolidarizza dal corteo parigino e quello della Cfdt (la seconda confederazione sindacale francese), da marzo schierato a favore della legge, ingiunge al governo di tirare dritto e non modificare nulla di sostanziale. Il segretario della Cgt afferma invece che la questione si deciderà “nelle piazze” ma, purtroppo, è stato proprio il gruppo dirigente nazionale della Cgt a non aver messo in campo una strategia di generalizzazione dello sciopero quando questa potenzialità era implicita nella situazione, a fine maggio-inizio giugno.
Chi sperava in una mediazione del conflitto esce sconfitto. Stiamo parlando, quindi, della “fronda” parlamentare del partito socialista ma anche di ampi settori dei vertici sindacali, a partire da Fo. Il governo ed il presidente Hollande hanno tenuto duro e chiarito che sull’articolo 2, quello che attribuisce il primato agli accordi di impresa, non ci sono modifiche possibili. Il Medef ha intimato che la legge non deve essere vuotata del suo contenuto. Le modifiche all’articolo 13, ancora ipotetiche, potranno al massimo limare il principio affermato al punto 2. Gli incontri del governo con la Cgt si sono rivelati, dunque, una tattica temporeggiatrice a favore della classe dominante ed uno specchietto per le allodole contro i lavoratori.
Se la mobilitazione operaia uscirà sconfitta da questo primo scontro campale, e ciò è ovviamente negativo, questo non significa che la Cgt sia isolata nella società o che le forze dei giovani e dei lavoratori siano indebolite. Il movimento contro la riforma del lavoro, infatti, ha determinato un risveglio politico importante: la gioventù non si era impegnata così massicciamente nella lotta dalla vittoria del 2006 contro il salario di inserimento (CPE), gli operai erano generalmente in stallo dalle mobiltazioni del 2010 contro la riforma delle pensioni.
Il clima politico e sociale in Francia è oggi interamente cambiato. È la prima volta a livello internazionale, dall’inizio della crisi del 2008, che in una mobilitazione di così grande portata e durata gli scioperi di massa hanno avuto un ruolo centrale. Una radicalizzazione politica a sinistra sta prendendo forma e spazio a livello di massa, sebbene sia presto per identificarne le conseguenze sul terreno organizzativo. Le intenzioni di voto a Melenchon alle presidenziali del 2017 esprimono soltanto parzialmente ciò che si agita nella società. Possiamo intanto affermare che l’analisi proposta dopo l’ascesa elettorale del Fronte nazionale da giornalisti superficiali o da disillusi su una Francia che va irrimediabilmente a destra è stata fatta a pezzi dalla realtà.
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