Francia: no alla El Khomri, è solo l’inizio!
Lo scorso 9 marzo, giorno in cui era prevista la discussione in parlamento del progetto di legge El Khomri (il ministro del lavoro), mezzo milione di giovani e di lavoratori sono scesi in piazza in tutta la Francia contro la riforma. Poco dopo l’annuncio di questa da parte del governo, è stata lanciata una petizione on line per il ritiro immediato della riforma, che nel giro di poco meno di quindici giorni ha raccolto più di un milione e mezzo di firme di lavoratori, precari, studenti, disoccupati e attivisti sindacali.
Il governo non si aspettava una reazione così radicale e per questo ha dovuto rinviare la discussione e fingere di apportare parziali modifiche al testo, senza cambiarne la sostanza. Si tratta di un attacco senza precedenti nella storia della Quinta repubblica, molto simile al Jobs Act di Matteo Renzi. L’obiettivo dei governi dell’austerity è quello di far pagare la crisi ai lavoratori, garantendo margini di profitto più alti alle imprese in cambio di meno diritti, salari più bassi e precarietà. Il progetto di legge prevede infatti lo sfondamento definitivo del tetto delle 35 ore settimanali (in realtà già ampiamente superato in diversi settori). Attraverso un accordo aziendale sarà possibile arrivare a 12 ore giornaliere e a 46 settimanali, in media. Anche per i contratti part-time il limite delle 24 ore settimanali viene superato. Il padronato aumenta notevolmente la sua forza contrattuale, un provvedimento potrà essere imposto in azienda tramite referendum anche contro la volontà del 70% dei sindacati, il che significa che un imprenditore potrà far leva sull’appoggio dei sindacati filopadronali anche quando questi rappresentano una minoranza dei lavoratori. Non sarà più necessaria una motivazione economica per porre in essere piani di ristrutturazione, inoltre il lavoratore che rifiuterà, per ragioni economiche, una decurtazione del suo salario potrà essere licenziato per ragioni personali e per tanto non avere diritto a beneficiare dell’indennità di disoccupazione.
Vista la portata dell’attacco, la risposta delle masse, soprattutto dei giovani è stata radicale e immediata. Il 9 e poi il 17 marzo migliaia di studenti universitari e liceali sono scesi in piazza. Una nuova generazione di giovani, fatta anche da precari e da disoccupati comincia ad organizzarsi, alcuni lo fanno per la prima volta nella propria vita. Nelle principali sedi universitarie cominciano a strutturarsi le AG (assemblee generali), in cui centinaia di giovani discutono su come portare avanti le istanze del movimento. Uno spettro si aggira tra le stanze dell’Eliseo, terrorizzando i vari Valls, Hollande e El Khomri, lo spettro del movimento contro il CPE del 2006, che ottenne una vittoria importante, quella di costringere il governo a battere momentaneamente in ritirata. Le burocrazie sindacali giocano un ruolo deleterio, questo lo si è visto già il 9 marzo quando non tutte le categorie della CGT hanno fatto appello allo sciopero, riproponendo la logica di una mobilitazione generica (le giornate d’azione) e senza quindi dare ai lavoratori gli strumenti necessari per organizzarsi nei propri luoghi di lavoro. Per il prossimo 31 marzo, sotto la pressione della base del sindacato, è stato convocato un nuovo sciopero intercategoriale, nella stessa giornata in cui verrà portato in aula il progetto di legge. Ciò che manca è una direzione sindacale all’altezza dello scontro e una sinistra di classe in grado di portare questo scontro sul terreno politico generale. Questa esigenza esiste nelle coscienze di migliaia di giovani e presto o tardi prenderà forma.
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