Francia: l’incendio di Notre Dame – Il capitalismo distrugge il nostro patrimonio storico

Il “cambiamento” non c’è – La parola alla piazza!
17 Aprile 2019
L’illusione riformista del “Green New Deal”
24 Aprile 2019
Il “cambiamento” non c’è – La parola alla piazza!
17 Aprile 2019
L’illusione riformista del “Green New Deal”
24 Aprile 2019
Mostra tutto

Francia: l’incendio di Notre Dame – Il capitalismo distrugge il nostro patrimonio storico

L’incendio che ha parzialmente distrutto Notre Dame è una tragedia per chiunque ammiri i capolavori culturali, artistici e architettonici dell’umanità. Il capitalismo sta mettendo a rischio i capolavori del passato e quelli delle società precedenti e ciò emerge in modo molto chiaro quando si esamina più da vicino ciò che è accaduto a Parigi lunedì 15 aprile.

L’indagine sulla causa dell’incendio richiederà un po’ di tempo, forse mesi, ma sembra che la sua fonte sia collegata ai lavori in corso sulla guglia.

È chiaro, tuttavia, che l’austerità e i conseguenti tagli alla spesa pubblica hanno avuto un ruolo.

La cattedrale già da tempo avrebbe avuto bisogno urgente di un restauro. Caroline Bruzelius, una storica dell’architettura alla Duke University, quasi 40 anni fa ha avuto l’opportunità di visitare parti di Notre Dame che di solito non sono accessibili. In un’intervista alla rivista Foreign Policy ha spiegato che già allora:

“… aveva un estremo bisogno di restauro nelle parti che non vediamo quando entriamo nell’edificio e parlo in modo specifico dell’enorme struttura in legno tra le parti superiori delle volte e il tetto. Quello è legname vecchio. Per secoli, si è riscaldato in estate e congelato in inverno, ed era incredibilmente infiammabile, ed è per questo che il fuoco è stato così orribile e spettacolare. Erano di quei vecchi legni che bruciano così intensamente. Abbiamo visto il fuoco diffondersi da una sezione all’altra in rapida successione”.

Bisogna chiedersi perché ci sono voluti quasi 40 anni da quando Bruzelius ha notato lo stato del tetto, all’inizio del restauro? È chiaro che anni di tagli e incuria nella conservazione dei siti del patrimonio artistico devono essere parte dell’equazione.

L’austerità colpisce anche il nostro patrimonio culturale

Come abbiamo sottolineato in un precedente articolo del 2012:

“Gli effetti della crisi capitalista si fanno sentire a tutti i livelli della società. Come riportato in un articolo della rivista Time di aprile [2012], questo include anche la conservazione dei siti storici. Mentre gli stati europei a corto di liquidità fanno a gara per tagliare la spesa pubblica e i bilanci, i capolavori dell’umanità si sbriciolano sotto miserabili lottizzazioni per la conservazione culturale” (Conserving Culture Under Capitalism,, 27 settembre 2012).

Nel contesto di un approfondimento dell’austerità, c’è stata una crescente tendenza a tagliare i finanziamenti alle arti e ai fondi per la cultura in generale, come parte del declino generale del capitalismo. In tutti gli aspetti della vita che creano un’esistenza civilizzata vediamo tagli massicci – dall’educazione all’assistenza sanitaria, dall’abitazione all’ambiente – il tutto accompagnato da una sempre maggiore privatizzazione dove ogni cosa viene vista solo attraverso l’ottica della redditività.

La CGT, la confederazione sindacale francese, in una dichiarazione ha sottolineato che:

“Non sorprende quindi se oggi storici dell’arte, architetti e curatori non nascondono una certa rabbia per la mancanza di risorse destinate al mantenimento di monumenti e agli standard di sicurezza sui siti di conservazione del patrimonio. (…) Non conosciamo ancora le cause dell’incendio, ma una cosa è certa: il costante taglio di risorse umane e finanziarie non può che avere effetti dannosi sulla sicurezza dei monumenti, dei lavoratori e dei visitatori. Di questo passo, è certo che si verificheranno altri drammi del genere. “

La stessa dichiarazione condanna le politiche “retrograde” nel programma del governo “Azione Pubblica 2022” che afferma che i suoi obiettivi sono: “Migliorare la qualità dei servizi pubblici, fornire un ambiente di lavoro moderno per i lavoratori e promuovere tagli alla spesa pubblica”. Dei tre obiettivi, solo l’ultimo viene perseguito, il che spiega la rabbia generalizzata nei confronti del governo francese nel recente periodo.

L’ipocrisia di Macron e dei suoi amici super ricchi

Macron sta ora sfruttando la tragedia di Notre Dame e il dolore autentico espresso dai lavoratori comuni francesi e non solo, per i propri fini politici. Ha fatto riferimento all’incendio come ad un evento attorno al quale unire la nazione, aggiungendo che ora “non è il momento per la politica”. Eppure quello che sta facendo è politica del peggior tipo: sfruttare una vera tragedia, sentita da milioni di persone come una perdita, per aumentare la propria popolarità. La tragedia di Notre Dame viene utilizzata nel tentativo di “unire la nazione” attorno a questo simbolo della Francia e di interrompere la radicalizzazione degli operai e dei giovani.

Qualunque cosa faccia, tuttavia, non può nascondere il fatto che la popolarità di Macron è crollata nel recente periodo mentre ha perseguito sulla strada dell’austerità e delle privatizzazioni. Il movimento dei gilet gialli ha messo in luce quanto sia odiato. Quindi, non nutriamo alcuna simpatia per lui mentre versa lacrime di coccodrillo sulla distruzione della cattedrale.

Tuttavia la nostra opposizione ai tentativi dei reazionari di usare la tragedia per rilanciare i propri programmi, nulla toglie alla reale tragedia che l’incendio ha rappresentato. I marxisti non si rallegrano in alcun modo per la distruzione del nostro patrimonio culturale. Il nostro obiettivo è preservare tutti i capolavori del passato e di utilizzarli in futuro per la crescita dell’umanità.

È comprensibile che alcuni reagiscano contro l’ipocrisia che circonda questo evento. È comprensibile se confrontiamo il chiasso fatto su Notre Dame e le offerte immediate di grandi donazioni da capitalisti molto ricchi, alla risposta fiacca alle tragedie come la Grenfell Tower a Londra, dove 71 persone hanno perso la vita. Da quando è avvenuta la tragedia due anni fa, sono stati raccolti circa 26 milioni di sterline, ma senza significative donazioni da parte di famosi capitalisti e nel frattempo i sopravvissuti vivono ancora in prefabbricati.

Francosi-Henri Pinault, amministratore delegato di Kering, che possiede Gucci e Yves Saint Laurent, ha donato 100 milioni di euro per il restauro di Notre Dame. La famiglia Pinault ha un valore stimato di 33 miliardi di euro. Bernard Arnault, amministratore delegato di LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton – che sembra sia l’uomo più ricco d’Europa – ha donato 200 milioni di euro, ma si dice che la sua ricchezza sia di 80 miliardi di euro. L’Oreal, la società francese di cosmetici, di proprietà della famiglia Bettancourt, ha donato 200 milioni di euro, mentre Total, la compagnia petrolifera, ha donato 100 milioni di euro. Tali donazioni, anche se grandi, sono noccioline considerando la quantità effettiva di ricchezza che queste aziende possiedono.

Le enormi donazioni di singoli capitalisti per Notre Dame servono a mettere in evidenza la ricchezza detenuta da queste persone e questo non è passato inosservato in Francia e non solo. In effetti, ora vediamo l’inizio di una reazione contro i miliardari che fanno le donazioni. “C’è una crescente rabbia sui social media per l’inerzia delle grandi corporation per la miseria sociale mentre si mostrano capaci di trovare una folle quantità di denaro in una notte per Notre Dame”, ha dichiarato Ingrid Levavasseur, membro fondatore del movimento dei gilet gialli.

L’offerta immediata di centinaia di milioni da parte di singoli miliardari serve a sottolineare che non è vero che non ci sono soldi per la spesa sociale. A ieri, la cifra donata aveva raggiunto i 900 milioni di euro e oggi le ultime notizie indicano che ha superato il miliardo di euro e senza dubbio crescerà ulteriormente.

Tuttavia, ciò che non viene messo in evidenza è che le aziende francesi possono ottenere un detrazione fiscale del 60% sulle “donazioni culturali”. Ciò potrebbe spiegare l’entusiasmo di questi “filantropi” miliardari nel precipitarsi a portare soldi a Parigi, dato che sono sempre pronti a trovare convenienti scappatoie fiscali e metodi per riciclare i loro soldi, mentre contemporaneamente fanno una pubblicità enorme alle loro aziende.

Tuttavia, quando si tratta di aumentare i salari dei lavoratori, queste stesse persone sono molto spilorci. Quando si tratta di aumentare le spese per l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’alloggio, sono ugualmente riluttanti a separarsi dai loro soldi e dovremmo usare questi esempi per far emergere le contraddizioni della situazione.

Non dovremmo dover dipendere dalla generosità – o dalla sua mancanza – di questi ricchi miliardari. La loro ricchezza non viene dal “sudore della loro fronte”. Viene dallo sfruttamento delle centinaia di migliaia e milioni di persone che lavorano per loro. Quella ricchezza dovrebbe tornare alle persone che l’hanno creata, la classe lavoratrice nel suo complesso. Il modo per ottenerlo è nazionalizzando le grandi aziende e usando la loro immensa ricchezza per il bene dell’umanità, incluso la conservazione di monumenti come Notre Dame.

Il patrimonio culturale è in pericolo in tutto il mondo

Tuttavia, è anche nostro dovere ricordare che Notre Dame non è l’unica perdita di un grande monumento storico. Recentemente ne abbiamo visti diversi. Ad esempio, il museo storico e scientifico più antico e importante del Brasile è stato distrutto da un incendio lo scorso anno a settembre e gran parte dei suoi 20 milioni di oggetti di interesse storico sono stati distrutti. Era in rovina e una tragedia del genere era solo questione di tempo. L’allora presidente del Brasile, Michel Temer, aveva presieduto i tagli alla scienza e all’istruzione come parte di un programma generale di austerità. I governi successivi sono da biasimare per non aver fornito i finanziamenti necessari e per aver lasciato il museo in rovina.

Nell’aprile del 2003, abbiamo assistito alla razzia e al saccheggio del Museo iracheno a Baghdad mentre i carri armati statunitensi si riversavano in città. Quasi tutta la collezione degli antichi sigilli cilindrici è stata rubata, con oltre 15.000 oggetti preziosi scomparsi. Altrettanto tragica è stata la distruzione del Tempio di Baalshamin e di altri templi, in una delle rovine meglio conservate del sito siriano di Palmyra, così come gli antichi santuari cristiani e musulmani fatti saltare con la dinamite. In questo caso, la distruzione è stata effettuata dall’Isis. Nel 2001, le due statue di Buddha più grandi del mondo, risalenti a 1700 anni fa, sono state fatte saltare in aria dai talebani in Afghanistan.

Quando si sono verificate queste perdite, ugualmente tragiche, della nostra cultura umana condivisa nel mondo, sfortunatamente è stato fatto meno chiasso a riguardo e non ci sono stati così tanti miliardari che si sono affrettati a fare donazioni.

Notre Dame è un sito del patrimonio mondiale dell’Unesco. Ce ne sono molti altri in tutto il mondo, alcuni dei quali sono stati distrutti nei conflitti bellici e nelle guerre civili. La guerra civile in Yemen, in cui il regime saudita ha svolto un ruolo chiave, ha messo a rischio alcuni dei più preziosi manoscritti islamici del mondo. L’Unesco aveva fornito al regime saudita la posizione degli importanti siti del patrimonio culturale nello Yemen con la speranza di proteggerli, ma sembra che i sauditi abbiano effettivamente preso di mira i siti.

Un esempio è quello che è stato fatto a Sanaa nello Yemen. Macron non ha versato lacrime per Sanaa, poiché nel bombardamento sono state utilizzate armi francesi e questo ha senza dubbio prodotto buoni profitti per l’industria francese degli armamenti. Per maggiori dettagli sui danni ingenti a uno dei più grandi patrimoni culturali del mondo, leggere: “War savages ancient sites in Yemen and Iraq, destroying archaeological record. Per vedere le foto, clicca qui.

Non ci rallegriamo

Tutto ciò mette in luce la pura ipocrisia di Macron, della classe dominante francese e dei media borghesi a livello internazionale. Tuttavia, allo stesso tempo, non ci consente di sminuire la perdita di Parigi. La cattedrale di Notre Dame è un prodotto della storia umana, del lavoro di molte generazioni, è un’opera d’arte che sta a testimoniare la creatività degli esseri umani. È qualcosa che deve essere apprezzato e preservato per tutte le generazioni future. Siamo arrabbiati, non perché simboleggia la Chiesa cattolica o lo stato francese. Siamo arrabbiati perché il capitalismo non riesce a preservare ciò che è stato costruito dalle generazioni passate.

Alcuni a sinistra – seppur una minoranza marginale – si sono purtroppo rallegrati per l’incendio di Notre Dame. Questo è infantile a dir poco. Alcuni l’hanno indicato come un semplice edificio, altri hanno sottolineato il fatto che è un simbolo della Chiesa cattolica e altri hanno sottolineato il fervore nazionalista che la classe dirigente francese ha cercato di scatenare. Altri hanno cercato di usare una sorta di “anti-colonialismo”, vedendo in Notre Dame un simbolo dell’imperialismo francese.

Se dovessimo applicare questi criteri per giudicare quello che è successo, la conclusione logica sarebbe che dovremmo includere nel nostro programma la distruzione di tutti i monumenti prodotti dalle società classiche del passato; dovremmo puntare a distruggere tutto ciò che è stato creato dall’umanità da quando si è innalzata al di sopra del livello dei selvaggi primitivi. Ciò significherebbe cancellare tutto ciò che è stato conseguito con l’ascesa della civiltà stessa.

Non dobbiamo dimenticare che l’umanità si è innalzata al di sopra della sua prima condizione animale passando dal comunismo primitivo a una società basata sulle classi. È stato attraverso la schiavitù che l’umanità ha cominciato ad espandere le sue conoscenze e il proprio livello culturale. È vero che questo ha comportato un grande prezzo da pagare per quelli che stanno in basso nella scala sociale, gli schiavi, ma questo è ciò che ha creato le condizioni materiali per il salto storico dell’umanità verso la libertà autentica. I grandi filosofi, matematici e scrittori dell’antica Grecia hanno contribuito enormemente alla comprensione e alla conoscenza umana e così facendo hanno iniziato il lungo e arduo cammino verso quello che siamo attualmente.

È stato Engels nel suo magistrale lavoro, l’Anti-Duhring, a spiegare quanto segue:

“Solo la schiavitù rese possibile che la divisione del lavoro tra agricoltura ed industria raggiungesse un livello considerevole e con ciò rese possibile il fiore del mondo antico: la civiltà ellenica. Senza la schiavitù non sarebbero esistiti né lo Stato, né l’arte, né la scienza della Grecia; senza la schiavitù non ci sarebbe stato l’impero romano. Ma senza le basi della civiltà greca e dell’impero romano non ci sarebbe stata l’Europa moderna. Non dovremmo mai dimenticare che tutto il nostro sviluppo economico, politico e intellettuale ha come suo presupposto una stato di cose in cui la schiavitù era tanto necessaria quanto generalmente riconosciuta. In questo senso abbiamo il diritto di dire che senza l’antica schiavitù non ci sarebbe il moderno socialismo. .

“È molto facile inveire con frasi generali contro la schiavitù e cose simili e sfogare un elevato sdegno morale contro siffatta infamia. Disgraziatamente non si dice niente di più di ciò che ognuno sa, cioè che queste antiche istituzioni non sono più adeguate alle condizioni odierne ed ai nostri sentimenti, che da queste condizioni sono determinati. Ma così non veniamo a sapere proprio nulla intorno all’origine di queste istituzioni, alla ragione per le quali esse sussistettero e alla funzione che ebbero nella storia. E, se ci addentriamo in questo argomento, dobbiamo dire, per quanto ciò possa suonare contraddittorio ed eretico, che l’introduzione della schiavitù nelle circostanze di allora fu un grosso progresso. Ormai è un fatto che l’umanità ebbe principio dagli animali e che perciò ha avuto necessità di mezzi barbarici e quasi bestiali per trarsi fuori dalla barbarie.”

Invitiamo i nostri lettori a studiare quel lavoro se non lo hanno già fatto, e in particolare leggere la sezione IV: La Teoria della violenza (Conclusione). Dalla schiavitù al feudalesimo al capitalismo, la società umana si è elevata sempre più in alto. Ha acquisito una maggiore conoscenza e ha sviluppato una tecnica a livelli inimmaginabili. Ciò ha richiesto migliaia di anni, più di diecimila per essere precisi, ma è stata una fase ineluttabile e inevitabile dello sviluppo umano.

Crisi del capitalismo senza precedenti

Il punto che dobbiamo ora sottolineare è che il capitalismo ha sviluppato i mezzi di produzione a un livello in cui è possibile immaginare la fine della società divisa in classi. La tecnica, la scienza, le macchine hanno raggiunto un livello in cui gli esseri umani, per la prima volta nella storia, possono diventare veramente liberi. Possiamo iniziare, per la prima volta nella storia, a costruire una nuova società senza classi. La rivoluzione russa, se fosse stata seguita da rivoluzioni vittoriose in Germania e in tutta Europa, avrebbe potuto essere l’inizio di una nuova società libera da vincoli di classe. Il suo isolamento ha significato alla fine che la società è stata respinta nella palude di un sistema capitalista che aveva cessato di essere progressista e che ha condotto alla barbarie degli anni ’30 e della Seconda guerra mondiale.

Ora affrontiamo una crisi senza precedenti del capitalismo, che sta producendo ovunque turbolenze sociali e politiche. Il capitalismo ha avuto un periodo progressista in cui stava massicciamente sviluppando le forze produttive e quindi stava stabilendo le condizioni materiali per il prossimo salto nella storia umana verso una società senza classi. Il capitalismo ha perso il suo ruolo progressista molto tempo fa e ora svolge un ruolo assolutamente reazionario. Dal suo periodo ascendente entrò in quello discendente fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, che aprì un periodo senza precedenti di lotta di classe e rivoluzione. A causa della mancanza di una leadership rivoluzionaria, quel periodo si concluse con la reazione e la guerra mondiale.

Tuttavia, la storia è tornata al punto di partenza e ora ci presenta una nuova opportunità storica per cambiare la società. In questo cambiamento, non getteremo via tutta la conoscenza accumulata dell’umanità, ottenuta attraverso migliaia di anni di società di classe. Prenderemo e faremo nostri tutti i risultati delle società precedenti – l’arte, la letteratura, l’architettura, la scienza, la filosofia – prodotti dai grandi pensatori del passato.

Le prime misure coinvolgeranno l’innalzamento del livello culturale generale della società. Fino a poco tempo fa, la cultura era principalmente il patrimonio di una minoranza privilegiata. I grandi artisti, i grandi musicisti e scrittori, tendevano a venire da classi privilegiate, borghesi e piccoli borghesi, mentre la massa dei contadini e dei lavoratori industriali era analfabeta o aveva accesso solo a un’educazione molto rudimentale.

Anche i grandi marxisti provenivano da questo origine sociale. Come ha sottolineato Trotskij nel suo testo del 1923, “la cultura e l’arte proletaria”:

Marx ed Engels sono usciti dalle fila della democrazia piccolo borghese e si sono formati, naturalmente, all’interno di quella cultura, e non della cultura del proletariato. Se non ci fosse stata la classe operaia con i suoi scioperi, con la sua lotta, con le sue sofferenze e ribellioni, non ci sarebbe stato neppure, si intende, il comunismo scientifico perché non ce ne sarebbe stata l’esigenza storica. Ma la sua teoria si è basata interamente sulla base della cultura scientifica e politica borghese, anche se a questa ha dichiarato una guerra senza quartiere. Sotto i colpi della contraddizioni capitalistiche il pensiero generalizzante della democrazia borghese si è elevato, nei suoi rappresentanti più coraggiosi, onesti e chiaroveggenti, fino a una geniale autonegazione, armata di tutto l’arsenale critico della scienza borghese. Tale è l’origine del marxismo.

(L. Trotskij, la cultura e l’arte proletaria, 1923).

Da notare quello che dice. Marx ed Engels erano “armati di tutto l’arsenale critico della scienza borghese”. Hanno preso i risultati della cultura borghese e l’hanno portata ad un livello più alto, producendo quello strumento vitale nelle mani della classe operaia oggi, la filosofia marxista che ci permette di vedere il mondo così com’è e prepararci per la prossima fase dello sviluppo dell’umanità.

Il compito di costruire una società nuova

Prendendo nelle loro mani i mezzi di produzione e l’immensa ricchezza accumulata, che è oggi detenuta da una piccola minoranza di super-ricchi, la classe lavoratrice inizierà il processo di costruzione di una nuova società.

Questo creerà una “cultura proletaria”? Lenin, nelle condizioni arretrate ereditate dal vecchio regime zarista con analfabetismo diffuso e un generale basso livello culturale, non vedeva come compito immediato quello della costruzione di una nuova “cultura proletaria”. Vedeva come compito quello di aiutare le masse in primo luogo ad assimilare i risultati essenziali della cultura borghese. Una volta raggiunto ciò, la società potrebbe passare a un livello superiore. Perché ciò accadesse, era necessario un periodo di sviluppo dell’industria e dell’agricoltura.

È stato Trotskij a porre la domanda: “Il proletariato avrà abbastanza tempo per creare una cultura ‘proletaria’”? Perché Trotskij ha fatto riferimento alla quantità di tempo necessaria alla classe lavoratrice per produrre la propria cultura? Sottolineava che la rivoluzione socialista ha l’obiettivo di creare una società senza classi. Nel prendere il potere, la classe lavoratrice prende il controllo di tutti gli aspetti della società, a cominciare dall’economia. Ma nello sviluppare ulteriormente l’economia, aumentando la produttività a livelli inimmaginabili, la classe operaia si abolirebbe come classe. Come dice: “… prima che il proletariato superi il livello di apprendistato culturale, avrà cessato di essere un proletariato”. (Vedi “la cultura e l’arte proletaria” Leon Trotskij, 1923)

Così la classe operaia non arriva al potere con l’intento di imporsi sulle classi sottostanti – non ce ne sono dato che tutto il lavoro è svolto dal proletariato – ma di abolire tutte le differenze di classe. In tal modo abolisce sé stesso e la società nel suo complesso diventa senza classi. È in quelle condizioni che avremo una vera libertà e un fiorire della cultura umana a un livello inimmaginabile per le generazioni passate.

La società del futuro manterrà tutte le conquiste delle società passate e le farà proprie. Dedicherà immense risorse per preservare la cultura di migliaia di anni di civiltà umana. E si spera che i grandi monumenti del passato rimarranno intatti per le generazioni future in modo che li possano ammirare molti anni dopo che la società di classe sarà stata consegnata alla storia.

18 aprile 2019

Condividi sui social