Famiglia, diritti, libertà: la prospettiva socialista

Lo scontro sulle unioni civili ha una volta di più riportato al centro la questione della famiglia e del suo ruolo nella società. È quindi importante per chi come noi marxisti ritiene necessario che il movimento operaio si batta contro ogni forma di discriminazione e oppressione, analizzare lo scontro attuale in relazione alla nostra lotta contro il sistema capitalista.

La borghesia chiama “naturale” l’attuale famiglia, per lo stesso motivo per cui considera “naturali” tutte le caratteristiche del capitalismo che essa ha sviluppato all’estremo: la proprietà privata in primo luogo, e al suo seguito l’avidità, la diseguaglianza, la competizione egoistica, ecc.

Ogni classe dominante, al fine difendere il proprio dominio politico e sociale, tende sempre a raffigurare le istituzioni del proprio ordine sociale come qualcosa che affonda le proprie radici fuori dalla storia, in un campo, cioè, intangibile per l’uomo comune. Per secoli la giustificazione del potere aristocratico o monarchico, in società anche molto diverse tra loro, fu sempre stata la volontà divina. La borghesia in ascesa, non potendo appellarsi allo stesso motivo, anzi dovendolo scardinare per prendere il potere, ha dovuto trovare un altro riferimento, e questa è stata la natura. Una natura che però è sempre stata caratterizzata come qualcosa al di fuori della storia, qualcosa di dato e immodificabile. Allora la famiglia monogamica diventa “naturale” appunto nel senso che non è opera dell’uomo e quindi non si può cambiare; nello stesso senso la proprietà privata diventa un diritto naturale inalienabile.

Lo scopo di queste costruzioni ideologiche è quello di mettere al sicuro le istituzioni che garantiscono lo status quo. Una volta che queste appaiono agli occhi dei più come qualcosa di intoccabile, perchè appunto poste al di fuori del campo di azione dell’uomo, allora non solo non ha senso modificarle ma chiunque si ponga questo obiettivo diventa un utopista, un Don Chisciotte che combatte i mulini a vento.

Nel suo classico libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato del 1884, Friedrich Engels mise a fuoco per la prima volta in modo organico quella che definì “la sconfitta storica del genere femminile”.

Facendo piazza pulita delle interpretazioni della famiglia fondate sulla religione o su pretese leggi naturali eterne ed immutabili, Engels prese le mosse dagli studi di Morgan, che con il suo Ancient Society stava di fatto fondando l’antropologia moderna, e mostrò come il passaggio dal matriarcato al patriarcato e l’evoluzione dei legami familiari fino alla famiglia monogamica odierna fosse strettamente legato allo sviluppo delle forze produttive e alla divisione in classi della società.

Lo sviluppo dell’allevamento e dell’agricoltura, successivamente anche della schiavitù, pongono le basi per l’emergere della proprietà (impossibile in società più primitive che non producevano sostanzialmente alcun surplus); la nuova divisione sociale del lavoro relega le donne nel lavoro riproduttivo e di cura. Mentre l’uomo può cominciare ad accumulare delle ricchezze, diventa anche necessario poterle tramandare, e serve quindi una discendenza certa maschile. Dalla necessità di tramandare una eredità nasce la famiglia monogamica, e con essa il patriarcato.

Ovviamente, è stato un processo molto di più complesso, e non lineare di come qui accennato ed Engels, sulla base degli studi disponibili nel suo tempo, ne fa una buona ricostruzione. Questi in generale però sono i risultati più importanti, confermati poi dagli studi e dalle ricerche fatte nel secolo successivo.

La famiglia monogamica borghese, benedetta o meno dalla Chiesa, è il compimento di questo lungo processo storico, ma è anche la sua ultima tappa. Il capitalismo, con il sua enorme sviluppo della produttività e della divisione del lavoro, con l’entrata sempre più massiccia delle donne nel mercato del lavoro, porta all’estremo le tendenze disgregatrici della famiglia e getta le basi potenziali per il suo superamento. Tuttavia il capitalismo non può fare a meno della famiglia che affonda le sue radici nelle stesse basi economiche del sistema

In una società socialista, la socializzazione integrale del lavoro di riproduzione e cura dei figli, la piena liberazione della donna dalla schiavitù domestica e familiare, possono essere compiuti solo attraverso l’eliminazione della famiglia monogamica nella sua qualità di unità economica della società.

Lo scontro odierno sulle unioni civili è quindi una che da sostenere incondizionatamente contro la discriminazione, il cui fine tuttavia non è e non può essere quello di portarci “oltre” l’attuale famiglia, ma di rimuovere una ingiustizia e di rendere così pienamente palese la necessità di una rivoluzione socialista contro i vincoli economici e sociali che impediscono una vera liberazione nelle relazioni personali, sessuali e familiari.

Una liberazione che farà piazza pulita della meschinità e dell’ipocrisia che ancora dominano la sfera “privata” di milioni di persone; che supererà l’ossessione per la discendenza biologica e la “proprietà” dei figli; che spazzerà via non solo l’oppressione aperta e dichiarata (la violenza domestica contro le donne e i figli, il maschilismo, l’oscurantismo, l’omofobia, ecc.), ma anche tutte le costrizioni economiche che, sotto il capitalismo rendono in gran parte vuota e ipocrita anche la migliore delle leggi.

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