Emilia-Romagna al voto – Non è con Bonaccini che si fermerà la destra
Le elezioni in Emilia-Romagna stanno assumendo un’importanza nazionale. Il loro risultato avrà conseguenze immediate sul futuro, già traballante, del governo. Non c’è da stupirsi che Salvini e la Lega si siano gettati sulla regione per una campagna elettorale in grande stile: conquistare la (ex) regione rossa per eccellenza avrebbe un valore simbolico enorme.
La competizione è infatti polarizzata fra due candidati, Bonaccini e Borgonzoni. Il M5S, che qui dieci anni fa aveva ottenuto i suoi primi successi, si trova totalmente alle corde e qualunque sia la sua collocazione in questa disputa, la batosta che riceverà dalla urne sarà sicuramente sonora.
L’ascesa della Lega in Emilia-Romagna non può stupire in nessun modo. La disaffezione di tanti giovani e lavoratori viene da lontano. L’astensione record delle ultime elezioni regionali (si recò alle urne poco più del 37% degli elettori) e il sorpasso della Lega nei confronti del Pd alle ultime europee avrebbero dovuto far squillare un campanello d’allarme nelle stanze del Partito democratico. Invece nei cinque anni di governo a guida Bonaccini, le politiche filopadronali hanno subito un’ulteriore accelerazione, all’insegna dell’autonomia differenziata, naturalmente definita “solidale”, di cui l’attuale giunta è sponsor principale. Il modello Emilia-Romagna non esiste più.
Sanità sempre più privata
Uno dei campi in cui la Regione ha competenze specifiche è la sanità. Qui l’apertura alle aziende private è stata senza freni. Secondo l’Associazione di settore (Aiop) il 96% dei ricoveri nelle strutture private in Emilia-Romagna è finanziato dal Servizio sanitario nazionale, tali strutture coprono il 70% dei ricoveri nel settore della riabilitazione. Se confrontiamo questi dati con la perdita, negli ultimi cinque anni, di 242 posti letto nei soli ospedali della provincia di Bologna, le conclusioni da trarre sono semplici. Per garantire i livelli minimi di servizio, la Regione fa sempre più ricorso alle strutture private, strutture che Bonaccini ha sempre premiato: prima con una legge regionale del 2018 che autorizzava il finanziamento diretto (unica regione assieme alla Lombardia), e poche settimane fa annunciando un aumento delle risorse destinati ai privati, con cui “abbiamo un rapporto molto positivo”.
Un’apertura ai privati che si è fatta strada anche nel trasporto pubblico, dove sono sempre di più le corse appaltate e che ha visto negli ultimi 18 mesi una raffica di aumenti dei biglietti, da Parma a Rimini, passando per Bologna.
Sulle tematiche del lavoro, i vertici di Cgil, Cisl e Uil si dicono soddisfatti per il “patto per il lavoro” siglato con la regione “in discontinuità” con il livello nazionale. Ma oltre al tavolo di trattativa, la discontinuità non si è vista. L’Emilia-Romagna è il regno delle false cooperative che portano vero sfruttamento: i casi Italpizza o Castelfrigo a Modena sono solo degli esempi emblematici. Quando la Regione è intervenuta, è stata per mettere gli ammortizzatori sociali ai lavoratori delle fabbriche che i padroni vogliono chiudere, vedi l’esempio delle vertenze Saeco e La Perla. Lo scorso 21 novembre la Regione ha firmato un patto con le multinazionali per attrarre investimenti esteri. Il presidente della Philip Morris Italia ha ribadito “il nostro interesse a difendere e proteggere questo sistema emiliano-romagnolo”.
Il peggioramento generalizzato dei servizi non è solo una sensazione, lo si può verificare dai bilanci: tra il 2015 e il 2018 la “spending review” ha portato a 445 milioni di euro di risparmi.
Il “volano del turismo”, tanto decantato dalla Giunta, è servito solo ad aumentare a dismisura il precariato, la speculazione privata delle grandi opere (vedi Fico a Bologna, il parco del cibo più grande del mondo, costruito su terreni pubblici ceduti gratis) e a rendere impossibile, soprattutto nelle città d’arte come il capoluogo, trovare una casa in affitto per studenti e famiglie lavoratrici a causa anche della totale deregolamentazione attuata dal centrosinistra.
Un’Emilia Romagna “un passo avanti”… nel favorire gli interessi dei soliti noti, per parafrasare i manifesti di Bonaccini che giganteggiano lungo la Via Emilia. E non è un caso che gli industriali si spellino le mani ad applaudire il presidente uscente.
Le liste a sinistra
Bonaccini e Borgonzoni non sono la stessa cosa, ci mancherebbe. Ma le politiche di Bonaccini e soci hanno spianato la strada alla Lega. Se le mobilitazioni di piazza delle “sardine” portassero un settore di astenuti a recarsi alle urne per la paura della destra e Bonaccini alla fine la spuntasse, cambierebbe ben poco per i lavoratori.
Manca totalmente un partito che difenda gli interessi della classe lavoratrice. Anche l’offerta elettorale a sinistra è ben lontana dalle necessità. Oltre al Pd, a Italia Viva e liste varie del Presidente sarà presente una lista di sinistra, denominata “Coraggiosa” a sostegno di Bonaccini. Composta sostanzialmente dalla forze progressiste che appoggiano il governo nazionale, si nutre dell’eterna illusione di condizionare a sinistra il Pd.
Costituita da ciò che rimane di Rifondazione e da altre forze, sulla scheda elettorale dovremmo trovare anche la lista “L’altra Emilia-Romagna”. La strada è terribilmente in salita per superare lo sbarramento del 5%; quando si afferma che “il vero nemico da battere” è la Borgonzoni, si certifica la propria inutilità di fronte all’elettorato e la subalternità di fatto al centrosinistra, al di là della collocazione formalmente esterna alla coalizione.
Limiti programmatici che non escono da una logica riformista e che pesano anche su altre liste, come Potere al popolo (lo slogan “Sleghiamo l’Emilia-Romagna” si commenta da solo) e il Partito comunista, che tenteranno raccogliere le firme per poter competere nella corsa del 26 gennaio.
Nella nostra regione non c’è più spazio per il riformismo ed è rimasto ben poco da difendere del sistema di servizi che le precedenti generazioni avevano ottenuto con le lotte. Solo riportando al centro di ogni ragionamento il conflitto di classe e un programma che esca dalle compatibilità del sistema capitalista potremo riprenderci quello che abbiamo perso. Sinistra classe rivoluzione lavora a questa prospettiva.
Articoli correlati
“Decreto dignità” – La montagna e il topolino
Il vicepremier, ministro del lavoro, dello sviluppo economico e delle politiche sociali nonché leader del primo partito italiano Luigi Di Maio ha promesso dignità. Dignità per i lavoratori, i disoccupati, i precari, poveri che in questi dieci anni hanno pagato il prezzo maggiore della crisi del capitalismo. Vediamo ora quale topolino ha partorito questa montagna.
NO alla guerra, NO ai sacrifici
La guerra in Ucraina prosegue, si fa sempre più crudele e soprattutto non se ne vede la fine. Una soluzione del conflitto sembra allontanarsi tanto sul piano militare che su quello diplomatico. La Russia non appare in grado di ottenere un successo militare risolutivo in tempi brevi e in questo hanno giocato un ruolo decisivo le armi inviate all’esercito ucraino dagli Stati Uniti e dagli altri paesi NATO.
I fantastici numeri di Expo
• 1,3 miliardi (inizialmente 1,6) di euro investiti da Expo Spa, azienda compartecipata di enti pubblici, che organizza l’evento; • 900 milioni che comuni, province e regioni investiranno in infrastrutture
Il “cambiamento” non c’è – La parola alla piazza!
Nella situazione politica italiana c’è un prima e un dopo il 15 marzo. Quella giornata, dove centinaia di migliaia di giovani sono scesi in piazza contro i cambiamenti climatici, ha espresso tutta la rabbia di un’intera generazione che covava sotto la superficie. L’azione collettiva ha superato l’isolamento e la rassegnazione che sembrava regnare incontrastata.
Decreto Minniti-Orlando: la logica reazionaria del Pd contro i migranti
Il Partito Democratico non smentisce il suo orientamento reazionario che, come in molte altre materie, si conferma nell’ambito delle politiche migratorie. Il Decreto Minniti-Orlando aggiunge infatti un ulteriore tassello alle misure di repressione delle migrazioni che hanno avuto inizio venti anni fa proprio con un altra legge targata centro-sinistra: la Turco-Napolitano.
È saltato il tappo
Dopo il 4 dicembre il tappo è saltato. Quel tappo di un’apparente invincibilità di Renzi e del Partito democratico che rendeva ardua l’idea nella mente di migliaia di attivisti, di lavoratori e di giovani che fosse possibile resistere e rispondere agli attacchi di governo e padronato. La crisi politica italiana entra dunque in una nuova fase, turbolenta, ma lo fa a un livello superiore. La classe operaia italiana ha compiuto il primo passo.