Ecuador: abbasso Moreno e il Fondo Monetario – Tutto il potere all’Assemblea Popolare!

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Ecuador: abbasso Moreno e il Fondo Monetario – Tutto il potere all’Assemblea Popolare!

ULTIM’ORA – Il presidente Lenin Moreno ha annunciato ieri notte, ora italiana, in un discorso alla Tv la revoca del Decreto 883, che aboliva i sussidi ai carburanti. É una prima grande vittoria per il movimento delle masse ecuadoregne. Ora è necessario rovesciare il governo e i giovani e i lavoratori hanno dimostrato che è possibile, come spiega in questo articolo Jorge Martin, da marxist.com.

Quella che è iniziata come una protesta contro il pacchetto del FMI imposto dal presidente Lenin Moreno è diventata un’insurrezione nazionale che solleva la questione di chi governa il paese. L’enorme mobilitazione di massa ha costretto il governo a fuggire dalla capitale Quito, a chiudere l’assemblea nazionale e ha iniziato a creare rotture tra le forze armate. Per andare avanti, il movimento deve sollevare la questione del potere.

Questa settimana, la seconda dell’insurrezione operaio-contadina, ha provocato (almeno) 5 morti, centinaia di feriti e detenuti e una brutale repressione – come si è visto in Ecuador per decenni – che non è riuscita a fermare il movimento. Non ci sono riusciti né lo stato di emergenza, né il coprifuoco, né le bugie dei media, né le false offerte di negoziazione, né l’esercito per le strade. Il governo di Lenin Moreno, con il sostegno dell’intera oligarchia capitalista, dell’imperialismo USA, di tutti i governi reazionari della regione, non è stato in grado di schiacciare il movimento determinato di contadini, indigeni, lavoratori e studenti.

Mercoledì 9, un potente sciopero generale ha paralizzato il paese. A Quito, la capitale abbandonata dal governo, un corteo enorme tra 50 e 100.000 manifestanti si è diretta nuovamente a Palazzo Carondelet, abbandonato in fretta il giorno prima. Per alcuni istanti il ​movimento ha preso il controllo anche dell’Assemblea Nazionale, anch’essa abbandonata, con l’intenzione di insidiare al suo posto l’Assemblea Popolare.

A Guayaquil, l’oligarchia guidata dal sindaco Viteri e dal suo mentore Nebot, ha incitato una piccola folla razzista proveniente dai quartieri borghesi contro gli “indios”. “Lasciateli nella foresta”, ha gridato l’uomo d’affari e banchiere Nebot, un dirigente del Partito social-cristiano, scuotendo lo spettro del “sequestro della capitale” da parte del movimento indigeno: “non meritano di mettere piede a Guayaquil, vengono a distruggere”. Ma la loro capacità di mobilitazione è stata molto piccola, solo poche migliaia di persone. E’ stato necessario impiegare un gran numero di personale di polizia e dell’esercito, oltre a camion di lavori pubblici, per chiudere il Ponte dell’Unità Nazionale che collega il popoloso sobborgo di Durán con Guayaquil per impedire il passaggio di migliaia di manifestanti contro il governo.

Anche all’interno della stessa città di Guayaquil ci sono state manifestazioni contro il pacchetto di riforme, messe a tacere dai media complici. Ed è stato proprio lì che si è verificato un incidente molto significativo. Un gruppo di poliziotti motorizzati è arrivato sul viale 9 ottobre con l’intenzione di attaccare un piccolo gruppo di manifestanti antigovernativi. Un gruppo di soldati ha sbarrato la strada ai manifestanti, ma di fronte all’assalto dei motorizzati, i militari li hanno protetti picchiando i poliziotti.

Un piccolo incidente, ma che si somma ad altri piccoli incidenti che indicano che l’insurrezione popolare da un lato e la brutale repressione dello stato stanno cominciando a creare una spaccatura tra i soldati semplici, che provengono anche da famiglie povere, operaie e contadine.

Lo stesso 9 ottobre, a Quito, l’esercito e la polizia sono stati impiegati in maniera molto aggressiva contro l’enorme marcia pacifica che attraversava la capitale. Gas lacrimogeni, spari, blindati lanciati sulla folla. La repressione è stata utilizzata indiscriminatamente contro tutti, donne e bambini inclusi. Alla fine della giornata la polizia ha lanciato gas lacrimogeni nel campus di due università di Quito dove dormono gli indigeni che si sono trasferiti nella capitale a decine di migliaia di persone. È stato riferito di un attacco all’Agorà della Casa della Cultura, il centro logistico e gestionale del movimento.

Il saldo finale: 5 morti. Uno di questi, Inocencio Tucumbí, leader indigeno di Cotopaxi, a causa dell’impatto diretto di un lacrimogeno sulla testa. Tre giovani sono stati uccisi dopo essere caduti da un ponte a San Roque durante scontri corpo a corpo con la polizia. Testimoni oculari affermano che la polizia li ha spinti.

Il governo, e in realtà l’intera classe dominante che si è riunita dietro il pacchetto di riforme e contro l’insurrezione, ha combinato la repressione più brutale con false informazioni su un presunto negoziato, mediato dalle Nazioni Unite e dalla Chiesa cattolica. In realtà, stanno parlando con sindacati e “leader” indigeni di organizzazioni che non rappresentano nessuno e non sono quelle che dirigono il movimento. Il governo intende comprare il movimento con poche briciole per lo “sviluppo”, con una parte dei soldi risparmiata con l’abolizione del sussidio per il carburante (1,3 miliardi di dollari). Ancora una volta la CONAIE ha negato l’esistenza di tali negoziati.

Il 10 ottobre, l’ottavo giorno dell’insurrezione, è stato di rabbia e lutto. I media e il governo hanno continuato a mentire, a disinformare, presentando i manifestanti come violenti. Sempre più, immagini condivise sui social network hanno fornito un resoconto della brutalità della polizia del giorno precedente. Poliziotti motorizzati che colpiscono due donne indigene che erano pacificamente in un angolo, un giovane che era già a terra, ecc.

Migliaia di persone si sono riunite in un’assemblea straordinaria nell’Agorà della Casa della Cultura di Quito per deliberare e prendere decisioni sui passi da compiere. Sul podio otto poliziotti che pattugliavano l’esterno dell’edificio e furono disarmati dal movimento. I leader locali del movimento, uno dopo l’altro, si sono rivolti all’assemblea riunita. È stato annunciato che il giorno dello sciopero nazionale vi erano due morti certi e che le autorità dovevano consegnare i loro corpi.

Il movimento non solo sviluppa rivendicazioni, ma inizia a prendere decisioni. I media presenti sono stati incaricati di trasmettere l’assemblea in diretta in tutto il paese, cosa che hanno fatto (parzialmente). Sono stati mantenuti due minuti di silenzio per i caduti e la polizia è stata costretta a togliersi caschi e giubbotti antiproiettile in segno di rispetto.

A un certo punto, si vociferava che la polizia stesse preparando l’assalto all’Agorà con gas lacrimogeni. I leader che presiedevano l’assemblea hanno costretto la polizia a chiamare i propri superiori all’esterno e assicurarsi che non entrassero. Così è stato.

Alcuni hanno proposto di marciare all’Assemblea nazionale per occuparla, con la polizia di fronte, disarmata, “in modo che sappiano cos’è la repressione”. L’atmosfera era di rabbia e molta indignazione. Lo slogan “Via Moreno” era in ogni bocca e ripetuto dall’assemblea all’unisono. La leadership nazionale della CONAIE, che è un passo indietro rispetto all’ambiente generale della base, non l’ha ancora avallata ufficialmente, non appare in nessuno dei comunicati.

Un altro degli assi centrali di quasi tutti gli interventi era l’appello alle forze armate di disobbedire agli ordini del governo. Un chiaro appello al rovesciamento del regime. Fu anche annunciato che altri tre governatorati provinciali erano passati nelle mani del popolo nella regione amazzonica. Da lì, altre colonne di migliaia di indigeni sono arrivate a Quito per rafforzare il movimento.

Alla fine, dopo aver portato la bara (sulle spalle della polizia e dei leader indigeni) di Inocencio Tucumbi in un corteo funebre in suo onore e aver tenuto una cerimonia ufficiale in sua memoria, il movimento ha marciato attraverso la capitale per consegnare gli agenti di polizia detenuti (arrivati ormai a 10) alle Nazioni Unite.

Il giorno successivo, l’11 ottobre, l’insurrezione operaio-contadina marciava verso l’Assemblea Nazionale con l’obiettivo di prenderne possesso. La marcia, di decine di migliaia persone, è stata pacifica e ha raggiunto la parte anteriore dell’edificio, pesantemente sorvegliata da polizia e militari. Dopo un po’ di tempo di attesa, alcuni militari sono indietreggiati dalle loro posizioni. Il movimento si è preso una pausa. Si è organizzato un pasto collettivo, ed è stato offerto anche alle forze dell’ordine. Esiste una politica chiara e corretta di utilizzare tutte le opportunità per fraternizzare con la base delle forze dell’ordine.

A tradimento e senza preavviso la polizia ha usato questa tregua per raggruppare le forze e lanciare una nuova ondata di repressione con gas lacrimogeni e pallottole di gomma contro la folla pacifica e disarmata che stava mangiando nel Parco dell’Arbolito. La folla ha resistito, evacuando i feriti, formando un corridoio per trasferire i più vulnerabili, costruendo barricate. Uno scenario di autentica guerra civile, di guerra di classe.

 

 

Nel frattempo, il cinico Moreno è apparso in televisione offrendo “dialogo”, che è stato nuovamente categoricamente respinto dal CONAIE in una dura dichiarazione. Le condizioni del movimento sono: abrogazione del decreto sul carburante, dimissioni del ministro dell’interno e del ministro della difesa, responsabili della repressione, prima che vi sia alcun negoziato.

Ma anche questo non basta ormai. Ciò a cui punta il movimento ora è di rovesciare Moreno. “Chiunque lascia Quito perde la sua poltrona” gridano per le strade. Anche l’idea di fare pressioni sull’Assemblea Nazionale affinché dichiari nuove elezioni contraddice le azioni pratiche del movimento che cerca di prendere l’edificio dell’Assemblea per insediare l’Assemblea Popolare, ovvero un governo alternativo. Si pone in maniera chiara la questione di chi governa il paese. I ricchi o i poveri, l’oligarchia e il FMI o i lavoratori, i capitalisti e i banchieri o i lavoratori e i contadini.

In pratica, l’insurrezione ecuadoriana controlla già gran parte della capitale (ad eccezione degli edifici ufficiali abbandonati) e diverse province dell’interno. Comincia a organizzarsi, ha una propria Guardia Indigena e prende decisioni in assemblea che vengono poi messe in pratica.

La situazione è insostenibile dal punto di vista della borghesia e dell’imperialismo. Il loro potere è appeso a un filo. Da qui lo sforzo di impedire l’ingresso dei manifestanti all’Assemblea Nazionale. Non è semplicemente un edificio vuoto si parla già di spostare il parlamento a Guayaquil), ma un simbolo di potere.

La rivolta ha a suo favore il coraggio, la decisione e la voglia di lottare di migliaia, decine di migliaia di giovani, lavoratori, contadini, donne che hanno combattuto nelle strade contro Moreno e il FMI. Manca ancora una chiara comprensione dei compiti che deve affrontare e di come portarli a termine.

È urgente proclamare l’Assemblea del Popolo come un potere legittimo e diffonderlo a tutto il paese. È necessario svilupparlo come un vero organismo democratico di direzione del movimento, con i delegati scelti nelle barricate, nei quartieri popolari, nelle fabbriche e nelle università, nelle comunità indigene. Gli elementi di autodifesa già esistenti devono essere coordinati e sviluppati. La Guardia Indigena deve estendere e organizzare migliaia di persone nelle proprie fila. Di fronte alla brutale repressione della polizia e dell’esercito, la difesa deve essere organizzata. Ciò deve essere combinato con l’approfondimento del lavoro di fraternizzazione con i soldati che stanno già iniziando a dare risultati.
Il momento è decisivo. La questione della lotta per il potere è stata posta, ma non è stata ancora risolta. Se il movimento non avanza compiendo passi decisivi, c’è il rischio che la stanchezza e la mancanza di prospettive inizino a creare problemi. In queste condizioni il governo può utilizzare la repressione selettiva con concessioni cosmetiche per indebolirla ulteriormente.

Se si compiono questi passi avanti assumendo decisioni e obiettivi chiari, il rovesciamento del governo è del tutto possibile. Si può lanciare l’assalto il cielo. Adesso è l’ora.

12 ottobre 2019

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