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Dopo lo sciopero del 14 marzo – TIM: No ai ricatti, proseguire la mobilitazione

Martedì 14 marzo Milano e Roma sono state attraversate da due lunghi cortei dei lavoratori Tim in sciopero. Accorsi da tutta la penisola i cortei rumorosi e dominati dal rosso delle divise di lavoro e delle bandiere dell’Slc-Cgil e alcuni sindacati di base, hanno ancora una volta lanciato un chiaro messaggio ai manager aziendali. I lavoratori e le lavoratrici Tim non sono disposti a sottomettersi alla loro arroganza.

Con lo sciopero del 14 marzo sono in totale oltre trenta le ore di astensione dal lavoro dallo scorso autunno, tre scioperi nazionali, svariati scioperi a sorpresa, una lunga serie di manifestazioni e presidi il sabato (oltre a un’incursione al festival di San Remo a febbraio). Una dimostrazione di resistenza e determinazione di tutto rispetto considerando anche che i salari dei lavoratori Tim sono già da sei anni provati dai contratti di solidarietà, un ammortizzatore che decurta gli stipendi di oltre mille euro all’anno.

Sono in lotta da cinque mesi contro la disdetta unilaterale del contratto aziendale, disdetta a cui ha fatto seguito a febbraio un nuovo regolamento interno che prevede significativi peggioramenti; controlli a distanza, demansionamenti, riduzione delle ferie, dei permessi, trasferte, oltre al mancato pagamento del premio di produzione del 2015. A questo va aggiunto che Tim vuole trasferire 256 lavoratori tra Milano e Torino a Roma, i soliti licenziamenti mascherati. Il tutto mentre l’azienda raggiunge nel 2016 la migliore performance di redditività degli ultimi dieci anni, fa 6,7 miliardi di utili e distribuisce 55 milioni di euro in bonus ai manager.

Il corteo di Milano

Che il consiglio d’amministrazione di Tim non si aspettasse tanta resistenza lo dimostra il continuo cambiamento di strategia che ha messo in campo per fermare la lotta. In autunno hanno ignorato gli scioperi sicuri che presto o tardi i lavoratori si sarebbero stancati. A febbraio hanno diviso il fronte sindacale sospendendo temporaneamente l’applicazione del regolamento interno e aprendo un interlocuzione con Cisl, Uil e Ugl. Infine, a ridosso dello sciopero per farlo naufragare, hanno comunicato ai lavoratori che l’azienda avrebbe gentilmente concesso una una-tantum per il lavoro svolto nel 2016 e sospeso i contratti di solidarietà in alcuni reparti. Tentativi decisamente falliti vista l’alta partecipazione allo sciopero.

Si pone ora il problema concreto di come proseguire, anche perché a breve il regolamento imposto da Tim diventerà attuativo. Per questo, nel solco della risolutezza e determinazione che in lavoratori della Tim hanno dimostrato in questi mesi, serve ora un salto di qualità nella lotta.

È utile ricordare che il principale azionista di Tim è Vivendi il cui proprietario, il famoso Bolloré, da mesi tenta di dare l’assalto a Mediaset in modo spregiudicato. Le sorti di Tim quindi sono legate alle decisioni di speculatori che si sbranano a vicenda in nome del profitto decidendo nei loro lussuosi grattacieli sulla vita dei lavoratori e delle loro famiglie. È utile ricordare anche che, grazie alle varie speculazioni dei vari capitani coraggiosi dell’alta finanza che si sono succeduti in questi anni, Telecom ha un indebitamento di oltre 34 miliardi di euro. A questo va aggiunto che il piano triennale avanzato da Tim prevede 11 miliardi di euro di investimenti nella rete ultra broadband, cioè offrire ai clienti le tecnologie più all’avanguardia, che ha l’obbiettivo di far salire i ricavi e il margine operativo (cioè i profitti), Flavio Cattaneo (amministratore delegato) ha esplicitamente spiegato all’assemblea dei soci lo scorso maggio e ai sindacati successivamente, che parte dei soldi necessari all’investimento devono essere rastrellati riducendo diritti e salari.

Azionisti d’assalto, debito societario e ambiziosi piani per il futuro più che una opportunità rischiano in modo evidente di diventare, per i lavoratori Tim, un nuovo e pesante calvario. Come ci ha insegnato proprio l’esperienza Telecom in questi decenni, anche i migliori piani aziendali sulla carta sono ispirati dall’obbiettivo di aumentare gli utili, non certo per rendere un servizio di utilità sociale al paese, e così come vengono pensati poi possono sempre essere rimangiati, provocando nuove ristrutturazioni ed esuberi. Lo conferma per esempio la vicenda Tim in questi anni scorporata e poi riassorbita, dove i costi li hanno pagati sempre i lavoratori. Il fatto che l’amministratore delegato dichiari che il piano industriale 2017-2019 non prevede esuberi non da nessuna garanzia per il futuro.

Un’altra immagine del corteo di Milano

Gli investimenti devono essere fatti senza farli pagare ai lavoratori. I piani industriali di manager senza scrupoli sono solo pezzi di carta pronti ad essere stracciati a secondo delle necessità e gli interessi dei principali azionisti. Tim è una grande azienda che svolge un’importantissima funzione sociale nel paese, i suoi dipendenti hanno una professionalità d’eccellenza, fu un gravissimo errore privatizzarla alla fine degli anni ’90, oggi è di importanza vitale che torni a essere pubblica.

Si tratta allora oggi, dopo la grande mobilitazione dell’altro giorno di capire come la lotta deve proseguire in modo ancora più efficace di quanto è stato fino ad oggi. Questa battaglia può essere vinta dai lavoratori se si riuscirà ad estendere la partecipazione in modo ancora più cospicuo di quanto fatto fino ad ora, sviluppando una strategia che non si accontenti di convocare uno sciopero generale ogni sei settimane, magari inframmezzato da qualche sciopero a sorpresa, ma con una consapevole pianificazione della lotta per, come ha detto un delegato di Firenze il 14 marzo, resistere un minuto in più del padrone. Le piccole concessioni che Cattaneo ha fatto in questi giorni non sono il frutto delle conquiste dei sindacati che “interloquiscono” col padrone senza un mandato dei lavoratori, ma una dimostrazione che Cattaneo è in difficoltà nel piegare la resistenza dei lavoratori.

Serve istituire un comitato di sciopero che affianchi e discuta in ogni dettaglio, con i delegati sindacali, i prossimi passi della mobilitazione. Un comitato eletto dai lavoratori, che coi lavoratori si relazioni quotidianamente, che abbia un rappresentante per ogni reparto, dai tecnici al call center agli amministrativi in tutte le città. Oggi con le tecnologie di cui disponiamo tutto ciò è decisamente a portata di mano.

Un comitato che sviluppi con i delegati il piano adeguato per portare a casa il risultato che non può che essere quello del ritiro del regolamento interno, l’applicazione dell’attuale accordo aziendale, il pagamento del premio di produzione arretrato e il ritiro dei 256 trasferimenti a Roma.

Comitato che sia espressione capillare e diretta di tutti i lavoratori e che abbia tra i suoi principali compiti quello di allargare il sostegno, prevenire le incursioni e le minacce dell’azienda, che insomma tenga uniti i lavoratori e ne aiuti ad aumentare la consapevolezza della portata dello scontro. Saranno poi i lavoratori a decidere quando sarà più efficace uno sciopero a sorpresa in un dato momento e quando rilanciare uno sciopero generale di tutte le sedi.

A tutto ciò va aggiunta la impellente necessità che la Cgil promuova questa vertenza in tutto il settore perché in gioco c’è anche il contratto nazionale, una vittoria oggi in Tim è l’unico modo per conquistare un contratto nazionale dignitoso ed evitare che il regolamento Tim venga esteso a tutti i lavoratori. Bisogna costringere i dirigenti sindacali ad andare oltre alle dichiarazioni roboanti nei comizi e pretendere un impegno concreto e quotidiano del principale sindacato in azienda, nel settore e nel paese, che metta a disposizione l’organizzazione e le risorse di cui dispone.

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