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Dopo le elezioni – La sinistra nella trappola del “Macron sloveno”

Se si prova a ricercare il nome di Robert Golob su internet, quasi ogni testata online offre al lettore una sua particolare versione della domanda che tanti, fuori dalla Slovenia si saranno posti: chi è il nuovo premier che guiderà il governo sloveno? 
Sono domande legittime per quello che è considerato un volto nuovo “outsider” della politica, anche dal momento che le elezioni slovene sono state completamente oscurate nell’attenzione pubblica internazionale da quelle francesi a cui però più di qualcuno vorrebbe compararle.

L’immagine di un nuovo “Macron sloveno”, giovane, liberal, green e argine alla marea nera del populismo di destra (orbanista, lepenista o putinista che sia) è ciò che in sedicesimi serviva alla stampa borghese per provare a rappezzare una storia che fa acqua da molte parti: quella di un’Unione europea baluardo della democrazia liberale, del progresso e dei diritti che non si farà trovare disunita alla sfida più significativa della nuova fase, ovvero il confronto con il terribile regno del terrore di Putin.
Una sfida per la quale era importante arruolare anche la piccola Slovenia non tanto per il suo peso economico, incomparabilmente più piccolo di quello della Francia, quanto più per la sua posizione geografica alle porte dei Balcani. A sentire la stampa sarà anche grazie al contributo di uomini nuovi come Robert Golob e la sua “peculiare chioma di ricci argentei” (Corriere della Sera, 25 aprile 2022), se questi ritorneranno finalmente ad europeizzarsi.
 Quanto l’europeizzazione dei Balcani precederà invece la balcanizzazione dell’Europa, sarà tutto da vedere. Ma di questo, sulle pagine dei quotidiani liberali ancora affaticati dalla sbronza presa davanti all’Eliseo, si fa fatica a parlare.

“Jansismo”…

Bisogna dire che il risultato delle elezioni parlamentari del 24 aprile è stato sorprendente e ben al di là delle previsioni che circolavano nei mesi e giorni precedenti.
Con il 34% dei voti (406.000) il partito di Robert Golob, Gibanje Svoboda (Movimento Libertà), ha battuto di buona misura il Partito Democratico della Slovenia (SDS) di Janez Jansa, premier uscente dopo 2 anni di mandato, che si è fermato al 24,5%.

Se si guardano i numeri reali però ciò che emerge è che di sconfitta del “jansismo” non si può certo parlare. 
Accusato (a buona ragione) di orbanismo, sentimenti antidemocratici e pulsioni bonapartiste, Janez Jansa e l’SDS guadagnano, rispetto al 2018, circa 50.000 voti mentre i loro ex compagni di governo, il centro-destra cattolico di Nova Slovenija 17.000. 
In termini percentuali la perdita può essere spiegata solamente con l’aumento generale dell’affluenza dal 52 al 70% che ha premiato Golob a scapito anche di una serie di formazioni politiche di centro come la Lista di Marjian Sarec (collassata dal 12 al 3%) o il Partito di Centro Moderno (sparito dai radar dopo aver preso il 9% nel 2018) e anche di centro-sinistra come i Social Democratici (che perdono però solo 10.000 voti). Sul risultato di Levica (Sinistra) torneremo più avanti.

Golob ha costruito la sua campagna e il suo risultato attorno ad un’esigenza sicuramente sentita nella società slovena, ovvero sbarazzarsi di Janez Jansa e del suo governo. Ed è così che è stata infatti dipinta a sua vittoria: un “referendum sulla democrazia” minacciata da due anni di governo di destra.

L’esperienza di governo dell’SDS, un governo di minoranza nato dopo la crisi politica del 2020 che aveva portato alle dimissioni del premier Marijan Sarec, è stata segnata da un tentativo di mettere la museruola alla stampa nazionale, attraverso il de-finanziamento dell’agenzia pubblica e attacchi frequenti a singoli giornalisti, fino ad arrivare al punto di sollevare nell’ottobre 2021 una inchiesta del Parlamento europeo. A questi metodi antidemocratici, che hanno fatto il paio con i continui tentativi di privatizzare i servizi pubblici ed una gestione padronale e autoritaria della pandemia non dissimile da tanti altri governi europei, molti hanno accostato i legami economici che il governo SDS ha provato a costruire con l’Ungheria di Orban.

In realtà Jansa non ha mai provato a rompere veramente con l’Unione Europea e l’imperialismo tedesco al quale la Slovenia è da sempre legata. Più che altro Jansa si è reso colpevole, agli occhi della tecnocrazia europea, di aver provato a giocare una partita indipendente approfittando del lungo periodo di crisi politica dell’Europa, facendo ciò che anche molti altri hanno fatto: cercare altrove investitori e investimenti su cui costruire le fortune dei propri alleati. 
Che non potesse trattarsi di un progetto organico, ma di una fase che il capitalismo sloveno ha provato a sfruttare a proprio vantaggio senza l’assillo per le credenziali democratiche dei paesi di provenienza dei capitali investiti, lo si può capire dal fatto che Jansa è sempre stato costretto a cercare un punto di equilibrio con l’Unione Europea e viceversa. La Slovenia ha tenuto la presidenza di turno della Commissione Europea nel corso del 2021, e Jansa non ha perso tempo a dimostrare la propria fedeltà al “blocco occidentale” volando a Kyev a inizio marzo dimostrando per lo meno una noncuranza del pericolo che altri più ferventi guerrafondai a distanza (tipo Boris Johnson) non si sono nemmeno sognati.

La vittoria di Robert Golob rappresenta tutt’al più la fine di una anomalia che era tempo di chiudere. La difesa della prospettiva europea per l’Ucraina chiesta e promessa da Jansa a Zelensky non era evidentemente una contropartita sufficiente al quadro generale di inaffidabilità politica ed economica offerto da Jansa all’Europa e agli interessi del capitalismo tedesco nella regione. Serviva qualcuno che li garantisse entrambi. Il proverbiale “uomo nuovo”.

…e “anti-jansismo”

Come già detto, le elezioni di domenica scorsa sono state vendute come un “referendum sulla democrazia”, ma la democrazia slovena ha un problema che le elezioni di domenica difficilmente saranno in grado di risolvere.
La Slovenia dal punto di vista politico ed elettorale è stato negli ultimi 10 anni un paese attraversato da una continua instabilità. Dal 2012 nessun governo è stato in grado di portare a termine un mandato completo, costringendo il paese ad elezioni anticipate o a seguire passivamente un rimpasto di governo dietro l’altro, dimissioni di ministri e primi ministri, governi di minoranza e alleanze improbabili.
Lo stesso Jansa non era nuovo al governo del paese e il suo ultimo governo più che rappresentare una stabilizzazione a destra del paese era il frutto di una crisi politica di un governo, quello di Marijan Cerar, nato sotto i peggiori auspici di una “grosse koalition” senza principi pur di mettere assieme i parlamentari sufficienti a governare.
 È questo il quadro politico generale in cui inserire la contesa elettorale appena chiusa e che, evidentemente la sinistra slovena non è riuscita a leggere con la giusta profondità.
 Nei suoi due anni di governo Jansa non aveva solo creato forti preoccupazioni tra le cancellerie centro-europee, ma anche le condizioni per un movimento di protesta che soprattutto a Lubiana aveva assunto caratteri di massa e aveva visto la partecipazione di settori importanti di classe lavoratrice slovena, in particolare tra i lavoratori pubblici e della sanità. 
Nell’estate 2021 inoltre un referendum aveva portato centinaia di migliaia di cittadini sloveni a schierarsi a difesa dell’acqua pubblica, con una mobilitazione che era stata in grado di bloccare i progetti di privatizzazione del Governo.

Questa è stata la situazione oggettiva con cui fino a pochi mesi fa Levica sembrava essere riuscita a connettersi, tanto che il partito era dato al 12% e la sua presenza costante e aperta alle manifestazioni sindacali e a quelle a difesa dell’ambiente l’avevano messo nelle condizioni di avere i propri spezzoni letteralmente applauditi dai manifestanti.
Oggi, con Levica al 4,3%, la perdita di 4 parlamentari e di più di 30.000 voti da 83 a 51mila), quella stagione sembra un lontano passato su cui però vale la pena riflettere.
Pur difendendo un programma che rispetto ad altre organizzazioni della sinistra europea era molto più a sinistra, Levica rimane un partito riformista di sinistra per il quale l’orizzonte della democrazia parlamentare, pur con qualche illusione in forme di cogestione e autogestione economica, rimane il limite fondamentale della propria prospettiva.

Luka Mesec, leader di Levica, al recente congresso del partito

Mancando di una presenza storica e strutturata nella classe operaia slovena Levica è stata incapace di difendere un programma di classe coerente ed indipendente, nonostante le simpatie raccolte nelle piazze anti-Jansa. Non è stata capace di spiegare il fenomeno del jansismo nel quadro più generale della crisi della democrazia borghese e del capitalismo ed è rimasta prigioniera di un atteggiamento ambiguo sui metodi per sconfiggere la destra nel paese.
 Intervistato dal Manifesto a pochi giorni dal voto Luca Mesec, candidato premier del partito, ha esordito con: “Lavoriamo tra ciò che è desiderabile e ciò che è possibile. Governare vuol dire anche trovare mediazioni, ma ci sono principi che non possono essere svenduti. La priorità è sostituire Janša, ma ogni futura coalizione dovrà tenere conto che fisco iniquo e privatizzazione dei servizi per noi non sono accettabili.” (Il Manifesto, 17 aprile 2022).
Vale a dire, “noi abbiamo un programma veramente avanzato che vi chiediamo di sostenere, ma in fondo siamo disposti a tutto pur di portare a casa l’unico risultato che conta: mandare a casa Jansa”.
Questa è la ricetta perfetta per non portare a casa nessuno dei due obiettivi: il programma avanzato diventa un miraggio irraggiungibile mentre le condizioni sociali che avevano determinato l’ascesa della destra non vengono intaccate.

Per un partito dei lavoratori, contro il capitalismo!

Golob ha già annunciato che guarderà a sinistra per formare il suo prossimo governo. Pur avendo preso un risultato significativo, i numeri in Parlamento non gli garantiscono una maggioranza indipendente. Come sostiene il New York Times: “I risultati, che mostrano che nessun singolo partito ha ottenuto una netta maggioranza, fanno presagire un periodo di contrattazione politica mentre i gruppi rivali cercano di ricucire una coalizione stabile in parlamento.” 
Ad oggi le indiscrezioni sulla formazione del nuovo governo danno per certa una coalizione larga di centro-sinistra aperta a socialdemocratici e Levica (rispettivamente 4 e 3 ministeri) con l’aggiunta di alcuni esponenti delle formazioni di centro degli ex premier Bratusek e Sarec.

Gibanje Svoboda ha già chiarito però che i ministeri fondamentali dal punto di vista della gestione dei fondi europei, Finanze, Infrastrutture e Ambiente (oltre che Salute) li terrà per sé. È pronta invece a scaricare sui socialdemocratici, la cui crisi li ha ormai relegati al ruolo di stampella politica, la responsabilità degli Affari Esteri, che con Golob ritornano ad ancorarsi saldamente alla prospettiva atlantica, ma che nel quadro della crisi politica dei Balcani occidentali rimangono un aspetto più che spinoso.
In questo quadro a Levica resterà la responsabilità di co-gestire gli effetti sociali delle politiche europee e della crisi economica che non saranno certamente lievi. Per la sinistra slovena si tratta di una trappola pericolosa nella quale però il partito di Luca Mesec si sta gettando a capofitto. È la naturale conseguenza della posizione che Levica ha tenuto durante la campagna elettorale e della sua ambiguità sui metodi per combattere la destra e che per un partito già in crisi dopo il pessimo risultato elettorale può trasformarsi in una vera e propria pietra tombale.

Al di là dell’immagine venduta a buon mercato dalla stampa europea, Golob rimane un politico liberale, ex manager di Gen-I, l’azienda a partecipazione statale che detiene le quote slovene della centrale nucleare di Krsko, e con un curriculum politico che, lungi dall’essere un foglio bianco, è una lista di esperienze di amministrazione di alto livello nella politica del paese: Segretario per l’energia al Ministero dell’ambiente nel 2000, Consigliere comunale a Nova Gorica nel 2002, Vice-presidente del Partito di Alenka Bratusek, ex premier nel 2014.
Si tratta di un rappresentante a pieno titolo degli interessi del grande capitale sloveno che ha approfittato del vuoto politico apertosi al centro e della crisi della socialdemocrazia slovena per presentarsi in breve tempo come l’unica alternativa credibile a Jansa.
Il movimento operaio non deve illudersi nemmeno per un minuto all’idea che i suoi interessi generali possano essere difesi da un governo che nasce sotto queste premesse. 
La Slovenia è il paese dell’ex Yugoslavia che mantiene le più alte quote di controllo pubblico sul welfare state, un bottino che la borghesia slovena e i capitali stranieri non vedono l’ora di spartirsi al più presto. Il previsto raddoppio della centrale di Krsko, oltre a rappresentare forti criticità dal punto di vista della sicurezza, sarà la testa d’ariete per una politica prepotente nella regione sotto le insegne di una “nuova politica energetica” in grado di far fronte in qualche modo agli effetti che l’embargo sul gas e petrolio russi avranno sui Balcani.
In una parola, la presidenza di Robert Golob sarà con ogni probabilità il volto democratico e pulito del cappio che l’Unione europea si appresta a mettere attorno al collo della classe operaia slovena e balcanica, per subordinarle alla sua politica filo-Nato, antirussa e anti-cinese.

Difendere un coerente programma di indipendenza di classe, internazionalista e rivoluzionario è il compito che i marxisti hanno oggi, fuori e dentro le fragili strutture di Levica, per connettersi con quel processo di radicalizzazione e mobilitazione che oggi esiste in Slovenia, che si è temporaneamente cristallizzato attorno alle elezioni, ma che riprenderà di forza nel prossimo periodo e andrà di pari passo a quello già in corso negli altri paesi della regione.

Ai giovani e ai lavoratori sloveni delusi dal risultato della sinistra e dalla prospettiva di governo per Levica ci rivolgiamo con le parole del sindacalista americano Joe Hill: non piangete, organizzatevi! Organizzatevi con la tendenza marxista internazionale, l’unica organizzazione rivoluzionaria che difende in Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia e Macedonia una prospettiva socialista, internazionalista e federativa per la liberazione della classe operaia dal capitalismo e dal nazionalismo!

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