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Donne, pandemia e crisi economica – Più colpite, ma anche più combattive

Factory woman worker or technician with hygienic mask stand with confident action with her co-worker as background. (Factory woman worker or technician with hygienic mask stand with confident action with her co-worker as background., ASCII, 117 comp

I dati della attuale crisi economica in relazione all’occupazione sono impietosi. Rispetto al periodo pre-Covid si stima a 10 milioni il calo di occupati in Europa, con una previsione di 12 milioni entro la fine dell’anno (dati Ilo). E questo senza considerare 19 milioni di cassintegrati. Dati a cui l’Italia contribuisce con 841mila posti di lavoro persi su base annua, nonostante il blocco dei licenziamenti.

Ma all’interno di questo dato sta emergendo nelle ultime settimane un’ulteriore carneficina. E cioè che questa crisi sta pesantemente facendo regredire in particolare la condizione delle lavoratrici.

Il dato dell’occupazione femminile, che già prima dell’emergenza sanitaria posizionava il nostro paese tra i fanalini di coda delle classifiche europee (nel 2017 l’Italia era penultima, davanti solo alla Grecia con il 52,5%), è ulteriormente calato al 48,4%.

E la situazione peggiora velocemente: se a giugno l’Istat stimava che ad aprile 2020 si contavano su base annua 497mila occupati in meno di cui la maggioranza donne (286mila, il 57,5%), ad ottobre, sempre prendendo a riferimento il secondo trimestre del 2019, questo dato era salito a 470mila.

Quando il 4 maggio è cominciata la fase 2 dopo il lockdown di marzo-aprile, il 72% di chi è rientrato al lavoro erano uomini.

Le donne insomma sono state le prime e le più colpite dagli effetti della crisi sull’occupazione. Ma non solo. Non si può infatti dimenticare che cosa ha significato il lockdown rispetto alle condizioni di vita. Da un’indagine del progetto Counting Women’s Work è emerso che “nel periodo i lockdown il tempo medio giornaliero dedicato al lavoro domestico è passato da poco più di due ore a poco meno di quattro per il campione delle donne, mentre l’aumento è stato di circa un’ora per il campione degli uomini”. Quantificazioni veritiere che però solo in parte esprimono la pressione che si è scaricata sulle donne durante il periodo in cui sono state costrette a continuare a lavorare, nella “migliore” delle ipotesi senza rischiare la salute sul posto di lavoro, ma dovendo contemporaneamente curare i figli a casa da scuola, magari dividendo lo stesso computer tra smart working e didattica a distanza.

Non stupisce quindi, che per uno studio condotto dall’Università Cattolica all’inizio di questa seconda ondata, il 52,5% delle donne ha denunciato un netto peggioramento della propria vita quotidiana, contro il 54,2% degli uomini. E dallo stesso studio emerge come tra le donne si accumuli più malcontento: mentre il 58% degli uomini dà un voto positivo all’operato del governo, tra le donne la maggioranza lo boccia (il dato si ferma al 43%). Inoltre è una minoranza (47,7%) la quota di donne che considera adeguate le misure del governo per far fronte alla crisi economica.

Insomma, le donne non sono solo il settore più colpito ma anche quello in cui la radicalizzazione che si sviluppa tra settori sempre più ampi della società è destinata ad avere il carattere più acuto.

Ultimamente i dati relativi alla condizione femminile hanno trovato una certa risonanza mediatica. Si è fatto un gran parlare di come le donne siano diventate una netta maggioranza di chi ricorre alla Caritas, o di come si debba contrastare il calo dell’occupazione femminile attraverso i fondi (quando arriveranno) del Recovery fund. Ecco, anche se si stanziasse tutto il pacchetto a favore dell’occupazione femminile, le cose non cambierebbero. Intanto perché sappiamo già che le condizioni che si dovranno rispettare per accedere ai fondi (rigore nei conti pubblici, e quindi tagli al pubblico, privatizzazioni, ecc.) vanno sempre a colpire quel po’ di stato sociale già martoriato a cui sono le lavoratrici che devono supplire per far fronte alla carenza di servizi sociali, sanitari, educativi decenti. In secondo luogo, l’attuale crisi economica, che altrove abbiamo spiegato si stava preparando da tempo e la pandemia ha contribuito a rendere ancora più pesante, ha mostrato molto chiaramente come funziona il capitalismo rispetto al ruolo che le donne dovrebbero assumere in questo sistema economico. Un sistema che ti fa entrare nel mercato del lavoro, meno pagata e più precaria della media degli uomini, sfrutta questa tua condizione come arma di ricatto nei confronti dei compagni di lavoro uomini per schiacciare verso il basso anche le loro condizioni, ma quando c’è maggior bisogno della funzione sociale della cura di bambini e anziani (e cosa meglio di un’emergenza sanitaria fa emergere drammaticamente questa esigenza!), scarica su di te tutto il peso dell’emergenza.

C’è un ma. è vero che è il capitalismo che funziona così e continuerà a farlo fino a quando esisterà. Ma è proprio in questo meccanismo che contribuisce a far sviluppare qualcosa che gli si rivolgerà contro. I dati qui riportati rappresentano un oggettivo arretramento nella condizione delle donne ma non possiamo pensare che a questo corrisponda un ritorno agli anni ’50, che le donne accetteranno zitte zitte un presunto ruolo di coesione sociale. Noi pensiamo che sarà il contrario. I dati sull’istruzione, con un 64,5% di donne con almeno un diploma contro il 59,8% degli uomini, o 22,4% con la laurea contro il 16,8% (dati Istat 2019) restituiscono uno spaccato di come le donne siano diventate una componente fondamentale della classe lavoratrice che non si potrà ricacciare tanto pacificamente tra le mura domestiche. E ricordiamoci come le donne sia una componente significativa proprio nei settori essenziali durante l’emergenza sanitaria, come la sanità e la grande distribuzione.

Sorridiamo di fronte alle illusioni del giornalista ultracattolico che su Avvenire titola: “La crisi del Covid e le donne. Più colpite, ma anche più forti” e poi commenta: “Più colpite dalla pandemia, le donne paiono anche più resilienti e capaci di mettersi in gioco per ripartire”. Eh no, le donne sapranno farsi carico di molte cose, ma questo non vuol dire che sono disposte a subire. Anzi. Sia che la crisi le respinga tra le mura domestiche o in prima linea sul luogo di lavoro in un’ospedale o in un supermercato, gli attacchi che le donne della classe lavoratrice stanno subendo renderanno chiara ogni giorno di più la necessità di rispondere con la lotta e di minare le basi di questo stesso sistema che è all’origine di ogni oppressione.

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