Di femminismo in tailleur e lustrini non sappiamo che farcene
Per qualcuno quest’anno l’8 marzo si caratterizzerà per essere il primo in Italia con una premier donna, cosa che ha mandato in totale confusione i salotti della sinistra per bene. C’è chi ha avuto il coraggio di dichiarare candidamente di accontentarsi, perché la Meloni “normalizza” il concetto di una donna al potere agli occhi delle bambine a prescindere dalle idee che rappresenta e dalle politiche che porta avanti.
Ci tocca andare a rispolverare l’elenco delle porcate della giunta marchigiana a guida FdI per ostacolare in ogni modo il diritto di aborto, la scelta della Roccella come ministro a difesa della famiglia tradizionale, dell’ultra-bigotto Fontana come terza carica dello Stato, e che dall’inizio della legislatura sono stati depositati quattro disegni di legge (uno non era sufficiente!) per il riconoscimento giuridico del concepito. Il governo è nato con una chiara dichiarazione di intenti, il fatto che in questo momento non abbia messo questi aspetti del programma al centro delle sue politiche non lo rende meno nemico delle donne e dei loro diritti.
Nemiche di classe
Come per Margareth Thatcher, Angela Merkel, Ursula von der Leyen, il fatto che Giorgia Meloni sia una donna non cambia di una virgola il contenuto di classe del suo operato. Tutto quello che ha fatto finora e che farà in futuro lo farà per difendere gli interessi della classe dominante attaccando quelli della classe lavoratrice e questo per le donne è un problema, non un avanzamento.
Sempre per i salotti della sinistra per bene è uno smacco vedere come quelle che ce la fanno ad arrivare in alto spesso sono di destra, e così le vedi sgomitare per rivendicare più spazi che contano nei loro partiti. Per loro i riferimenti sono altri da quelli succitati, Hillary Clinton, Kamala Harris… donne che hanno strumentalizzato il proprio sesso (e nel secondo caso anche il colore della propria pelle) per rendere più digeribili gli stessi programmi di attacchi alla classe lavoratrice.
È fortemente significativo che in Perù il volto della reazione e della repressione violenta contro le masse che si difendono dal colpo di Stato sia quello di una donna indio, Dina Boluarte, proveniente dallo stesso partito di sinistra del presidente deposto Castillo.
Il fattore decisivo, sempre, non è se sei uomo o donna, bianca o nera, ma da che parte stai, chi scegli di rappresentare: i capitasti e le capitaliste o i lavoratori e le lavoratrici?
Empowerment chi?
A chi ci obietta che la lotta culturale contro sessismo e pregiudizi è trasversale alle classi, rispondiamo: no! Questa è un’illusione ottica, perché difendere il sistema capitalista vuol dire preservare le radici dell’oppressione di genere, che sono nella divisione in classi della società. Fin quando si continuerà a produrre per il profitto di una minoranza, tenere le donne sotto il giogo dell’oppressione sarà una necessità del sistema per dividere la classe che lo può rovesciare.
Una donna borghese non metterà mai in discussione la sua posizione sociale per lottare contro i pregiudizi e le discriminazioni, anche perché quella stessa posizione sociale è ciò che le permette di aggirare tutti gli ostacoli che le donne lavoratrici incontrano in quanto donne della classe lavoratrice. Una donna borghese può pagare asili, babysitter, cliniche, studi di qualità, ecc. Grazie alle sue risorse non solo può “pensarsi libera” ma, guarda un po’, può anche esserlo. Le battaglie culturali che dicono di portare avanti sono solo ipocrite cortine fumogene per lasciare tutto così com’è. Empowerment lo chiamano, l’idea che con un po’ di determinazione, autostima e faccia tosta in più si possano superare le insicurezze psicologiche che inibiscono la scalata sociale delle donne… peccato che per le donne della classe operaia le insicurezze più che stare nella testa sono nelle condizioni di vita materiali.
Potremmo citare volumi interi di statistiche, ma qualsiasi donna della classe lavoratrice sa bene com’è fatta la sua vita: tripli salti mortali per incastrare un lavoro malpagato – spesso precario e dove magari è costretta a subire molestie, vessazioni, ricatti – con tutte quelle funzioni sociali che lo Stato scarica sulle donne: la cura dei figli, degli anziani, il lavoro domestico… Tutte funzioni che dovrebbero essere socializzate in strutture pubbliche, gratuite e di qualità.
La lotta è nelle piazze
Troviamo quindi quanto meno irritante sentir parlare di sensi di colpa nei confronti dei figli quando si va a lavorare, da parte di chi guadagna 200 volte il reddito di una lavoratrice; ancora più irritante se da quello che per noi è l’iperuranio dell’extra-lusso ci si erge a paladine della battaglia contro sessismo e discriminazioni indossando “vestiti manifesto” che valgono ciascuno quanto qualche mese di un salario operaio. E sì, troviamo surreale che alla vigilia dell’8 marzo il dibattito sui diritti delle donne in Italia ruoti attorno a cosa dice e indossa la Ferragni al festival di Sanremo!
Attenzione però ad addossare la responsabilità di questo alle lavoratrici e alle giovani, che negli ultimi anni in più di un’occasione hanno dimostrato di non essere affatto rassegnate e anzi di voler lottare. La responsabilità è da un lato di chi ha guidato quelle lotte: Non una di meno ha prosciugato il movimento, mettendo al centro il piano linguistico e simbolico in iniziative autoreferenziali e cacciando chiunque non aderisse alla “teoria queer”. Dall’altro lato la CGIL non si pone neanche l’obiettivo di essere uno strumento di discussione e di organizzazione delle lavoratrici per migliorare la propria condizione lottando insieme ai lavoratori.
La combattività che le donne, soprattutto giovani donne, hanno messo in campo in altri paesi, con le proteste in Iran, in Perù, gli scioperi in Gran Bretagna, è la stessa che potrebbero esprimere le lavoratrici e le giovani italiane se motivate da un programma di rivendicazioni che metta la liberazione dall’oppressione in un’ottica di classe – i nostri diritti contro i vostri profitti – e che lo persegua sul terreno della lotta di tutta la classe lavoratrice unita contro ogni forma di oppressione e contro il sistema capitalista che la genera.
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