De Magistris tra città ribelli e ambizione nazionale
La rielezione di De Magistris a sindaco di Napoli ha suscitato l’interesse di chi cerca un’alternativa a sinistra nell’asfittico panorama politico italiano. Il sindaco di Napoli, che nella campagna elettorale non ha risparmiato toni duri contro il governo, dichiara apertamente l’alternatività del proprio operato al modello renziano, con un profilo più marcatamente di sinistra rispetto ai 5 stelle.
Lo scontro con Renzi
Il conflitto tra il sindaco di Napoli e il governo continua. Tra le vicende principali c’è quella relativa al futuro di Bagnoli, l’ex area industriale della città che attende, dopo decenni di speculazioni, la bonifica e la riqualificazione, che Renzi ha commissariato. Il sindaco ha dichiarato il proprio sostegno alla manifestazione dei comitati bagnolesi a Roma il 23 settembre contro il commissariamento e ha denunciato la militarizzazione della città avvenuta con la presenza di Renzi al San Carlo il 12 settembre, quando i manifestanti arrivati per contestarlo sono stati brutalmente caricati.
Ma la collocazione anti-renziana non basta certo a incidere fino in fondo sui problemi della città. Non può bastare il boom dei turisti in città e ancor meno i grandi eventi a colmare il vuoto amministrativo nelle periferie. Il secondo mandato è cominciato all’insegna delle polemiche rispetto ai tagli al welfare, che ha prodotto la mobilitazione degli operatori sociali contro il mancato finanziamento per l’assistenza agli studenti disabili, e soprattutto con lo scontro tra il sindaco e l’ABC, l’azienda speciale che gestisce l’acqua pubblica. Il sindaco ha rimosso il Presidente e il Consiglio di Amministrazione (sostenuto dai movimenti per l’acqua pubblica) a causa del mancato assorbimento in ABC del Consorzio San Giovanni che si occupa della depurazione. Per il Presidente revocato il Comune non ha garantito la copertura economica per il passaggio dei lavoratori, né il finanziamento necessario per la messa a norma degli impianti. In che direzione andrà il sindaco si vedrà, per ora resta il fatto che si tratta di uno smacco per una battaglia simbolo della giunta napoletana.
Esiste un modello Napoli da esportare?
De Magistris e suoi sostenitori più entusiasti ripetono in ogni dove l’esistenza dell’anomalia napoletana, rappresentata da una giunta contro le politiche liberiste e che lavora per un nuovo modello di gestione della città. In realtà non c’è un modello compiutamente alternativo, né amministrativo né politico, che vada al di là delle enunciazioni. Certo, ci sono state prese di posizioni e alcune battaglie simboliche che sono in controtendenza con il quadro nazionale e le altre amministrazioni locali, ma tutta la retorica sull’autonomia e l’autogoverno della città si scontra con le politiche di austerità imposte a livello nazionale ed europeo, che per un comune indebitato come quello napoletano significa il venir meno di qualsiasi margine di manovra. Solo una vera rottura con questo quadro e quindi del patto di stabilità segnerebbe un salto di qualità della giunta De Magistris e l’avvio di un percorso realmente inedito.
L’esportazione del “modello Napoli” non è un’ambizione esclusiva del primo cittadino napoletano. I due centri sociali più appiattiti su De Magistris, Insurgencia (disobbedienti) ed Ex Opg, sono promotori di iniziative a livello nazionale con il sindaco, al fine di proporre una strategia generale che parta dall’esperienza napoletana.
Se i disobbedienti propagandano l’autogoverno e il meridionalismo, l’Ex Opg promuove il controllo popolare come forma di pressione dal basso sul sindaco, organizzando ad esempio i rappresentanti di lista durante le elezioni o le ispezioni nei centri di accoglienza per i migranti. È difficile immaginare come tutto questo, specie se non si può incidere sul potere economico, possa dar vita al “potere popolare”, e non limitarsi a pratiche già in uso tra gli attivisti del Pci o di semplice attivismo civico.
Con il secondo mandato si è aperta la discussione sul ruolo che le assemblee popolari potrebbero giocare, partita su cui il sindaco si dice disposto ad investire. Al di là di dove le diverse strutture di movimento pongano l’accento, si prospetta un modello di democrazia partecipata o se si preferisce, di democrazia radicale. Il punto di convergenza con il sindaco è nella definizione della Napoli come città ribelle, che è in gran parte un’autorappresentazione, dove si sovrappone un settore di attivisti, che al di là della vitalità e del protagonismo è pur sempre una piccola parte della città, con l’insieme del “popolo” che si interfaccia con l’amministrazione e si autorganizza per risolvere i problemi della città. Un aggiornamento in chiave populista delle tesi altermondialiste (orizzontalità, cittadinanza attiva, pratiche dal basso, ecc.), che si porta dietro le stesse illusioni di una proposta redistributiva e riformista.
La “rete delle città ribelli”
Secondo questa visione, nella più grande crisi capitalistica le “città ribelli” (Napoli, Barcellona, ecc.) sarebbero i luoghi per la resistenza all’austerità e la loro messa in rete uno strumento di contropotere e di pressione nei confronti dei governi nazionali e dell’Europa. Al centro del neo-municipalismo ci sono i movimenti sociali urbani e i percorsi che le amministrazioni progressiste possono mettere in campo. Da qui discende l’illusione di superare gli orrori della società divisa in classi attraverso pratiche orizzontali e democratizzanti con cui riappropriarsi del “diritti alla città”. A guardarla bene questa tesi non fa altro che riproporre l’idea di governare senza mettere in discussione il potere nella società, se non per qualche singolo ambito sottratto alle logiche del mercato. Si aggira il punto decisivo: il problema del governo generale dei processi economici e politici, indispensabile per una proposta anticapitalista che rompa con l’Europa dell’austerità.
La necessità di una sinistra di classe
Al netto degli aspetti più propriamente populistici, le posizioni generali che De Magistris esprime sono in realtà simili a quelle della sinistra riformista, la cui inefficacia si è palesata miseramente nella parabola di Tsipras, che a differenza di De Magistris aveva alle spalle un partito organizzato e imponenti mobilitazioni di massa. Se il sindaco di Napoli vuole dar vita ad un movimento politico nazionale, la “Podemos italiana”, come lui l’ha definita, conterà quello che concretamente riuscirà a fare sul terreno amministrativo nel mandato appena rinnovato, ma anche ciò che avverrà nel resto d’Europa, rispetto a cui non basta una fraseologia genericamente di sinistra sulla necessità di un’alternativa all’Europa della finanza e dei banchieri.
In Italia manca una sinistra di classe che abbia al centro un programma di rottura con le compatibilità che il capitalismo impone. Il modo in cui questo problema si risolverà non dipenderà semplicemente dalla volontà dei singoli ma avrà a che fare con l’acuirsi dello scontro di classe che inevitabilmente vedremo nei prossimi anni di crisi.
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