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Cuba – Come difendere la rivoluzione?

La rivoluzione cubana è uno degli avvenimenti più importanti della storia degli sfruttati. Un esempio di come sia possibile una rivoluzione vittoriosa in quello che era considerato il cortile di casa degli Usa.

Malgrado a Cuba non ci sia mai stata un’autentica democrazia operaia, l’abolizione del capitalismo e la pianificazione economica hanno garantito una serie di conquiste sociali molte delle quali, seppur erose negli ultimi anni, rappresentano ancora oggi un patrimonio da difendere.

Tra il 1958 e il 1977 la produzione di energia elettrica è aumentata del 430%, quella di latte del 400%, quella del cemento del 360%, dei concimi del 500% e la lista potrebbe continuare a lungo. La disoccupazione è sparita così come la mortalità infantile che è tra le più basse del mondo. I cubani hanno una aspettativa di vita di 78,8 anni, più alta di quella dei settori popolari statunitensi. La sanità cubana, con 9 medici ogni 1000 abitanti, è una delle conquiste più importanti della rivoluzione, come dimostra la capacità di produrre un proprio vaccino contro il Covid. Ancora oggi, nella piccola isola caraibica, il 13% del Pil è dedicato all’istruzione (in Italia è il 4%), un cittadino ogni 15 è laureato e c’è un maestro ogni 13 alunni. Tutto questo nonostante il criminale embargo, inasprito da Trump, le cui misure sono pienamente in vigore senza che Biden ne abbia revocata neppure una.

 

Riforme di mercato

Tuttavia negli ultimi anni come effetto delle aperture al mercato la situazione è molto peggiorata. Già a partire dal congresso del Partito comunista cubano (Pcc) nel 2011, si era operato nella direzione di aprire l’economia cubana all’iniziativa privata. L’effetto in quell’anno fu la concessione di oltre 200mila licenze di “lavoro in proprio” in vari settori.

Lo sviluppo del turismo, necessario a procurare entrata in valuta forte, ha creato una doppia circolazione monetaria che, unita alle liberalizzazioni, ha fortemente aumentato le disparità sociali.

Oggi la rivoluzione è minacciata non solo dalla Cia o dalla borghesia cubana di Miami, ma anche da un pericolo più insidioso: quello di una restaurazione capitalista sul modello cinese o, per usare un termine comune a Cuba, sul modello vietnamita. Un pericolo di restaurazione che viene dall’interno e che la presidenza Obama ha sostenuto con il suo viaggio del 2016. Un processo che trova espressione anche nei vertici dello Stato, tanto che nel febbraio del 2019 ha prodotto la cancellazione del riferimento “all’impossibilità che Cuba torni al capitalismo” all’interno della nuova costituzione.

Negli ultimi mesi sono state annunciate nuove liberalizzazioni che permettono il lavoro privato in oltre 2000 professioni (in precedenza erano 127) con aziende che possono arrivare fino a 100 dipendenti. Oggi l’impresa privata occupa oltre 600mila persone, il 13% dei lavoratori cubani, il 40% dei quali è occupato nell’industria turistica e nel trasporto. Questa è la base materiale per l’aumento delle diseguaglianze sociali, un cancro che distrugge dall’interno l’economia pianificata e che oggi rappresenta la maggiore insidia per il futuro della rivoluzione.

 

La pandemia e le proteste di luglio

Nel luglio scorso l’isola è stata attraversata dalle proteste più importanti dal 1994. Parliamo di alcune migliaia di persone e non certo della “Tienanmen cubana” descritta dalla stampa borghese internazionale. È chiaro però che la crisi del turismo, i continui black out, aggravati dal Covid oltre che dalla penuria di alcuni generi alimentari, abbiano gettato benzina sul fuoco e che qualcosa di importante sta accadendo.

Pur avendo chiara la base materiale di quelle proteste, con un calo del Pil dell’11% nel 2020 che rappresenta il peggior risultato dal 1993, ci siamo schierati incondizionatamente dalla parte della rivoluzione, denunciando il carattere di quelle mobilitazioni e la strumentalizzazione delle stesse da parte dell’imperialismo.

Il 15 novembre c’è stato un ulteriore tentativo di usare la difficile condizione delle masse per una nuova offensiva controrivoluzionaria. Stavolta a convocare è stata la piattaforma Archipielago che ha concentrato l’appello alla mobilitazione attorno ai “diritti democratici”. L’utilizzo strumentale della questione Lgbt o della libertà di espressione per il mondo dell’arte e della cultura sono solo fumo negli occhi e formano parte di una nuova strategia restaurazionista.

Ma era talmente palese la longa manus di Washington e di Miami, talmente ridotto il consenso raccolto nell’isola, da indurre i promotori ad annullare precipitosamente la prevista manifestazione pochi giorni prima. Non è certo a causa della repressione che l’appello “per la democrazia a Cuba” è caduto nel vuoto, ma per l’istinto di classe e la tradizione antimperialista delle masse cubane. Subito dopo, il leader di Archipielago Yunior García ha lasciato l’isola scegliendo l’esilio dorato in Spagna, dove ha subito incontrato vari esponenti di destra, dimostrando la natura controrivoluzionario di questi personaggi.

 

I pañuelos rojos

La disfatta di queste provocazioni non risolve certo i problemi a Cuba. Ma gli eventi degli ultimi mesi hanno un enorme significato politico.

Si è aperto nell’isola un dibattito pubblico sul futuro della rivoluzione che può essere molto fecondo.

Dopo i fatti dello scorso luglio, un settore di giovani rivoluzionari ha convocato manifestazioni pubbliche contro l’Embargo e in difesa della rivoluzione. Queste iniziative, convocate fuori dai canali ufficiali del Pcc e dello Stato, hanno preso il nome di “pañuelos rojos” (fazzoletti rossi) e hanno nuovamente animato dei presìdi tra il 12 e il 14 novembre. Si è trattato di iniziative ancora minoritarie nelle quali sono state espresse diverse opinioni politiche molto eterogenee. Certamente è solo l’inizio, ma in alcuni interventi è emerso che “il modo migliore di combattere la controrivoluzione è la rivoluzione”. Slogan come “abbasso la corruzione, abbasso le diseguaglianze, abbasso il capitalismo, abbasso il machismo, abbasso l’omofobia” dimostrano come questo settore cerchi un’uscita rivoluzionaria dalla crisi che attanaglia il paese.

La nostra difesa della rivoluzione cubana e delle sue conquiste oggi si sostanzia nella lotta contro ogni forma di restaurazione capitalista, ma anche nella lotta contro la burocrazia e per il controllo dei lavoratori sulla produzione. Per usare le parole di Trotskij “il socialismo ha bisogno della democrazia operaia come il corpo umano ha bisogno dell’ossigeno”.

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