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Covid-19 – Strage al carcere di Modena e ipocrisia dell’unità nazionale

I detenuti sono immuni dal Covid-19 ?

L’insicurezza sanitaria in carcere davanti all’accelerazione del contagio del Covid-19, assieme alla sospensione dei colloqui coi familiari in assenza di qualsiasi misura alternativa di contatto, hanno acceso un’ondata di rivolte carcerarie cui non si assisteva, in Italia, almeno dagli anni ‘70 del XX secolo. Al momento, si registrano 13 morti tra i detenuti, 9 dei quali a Modena. Oltre ai morti, tra i detenuti del carcere modenese si contano anche 6 ricoverati in terapia intensiva.

Data l’inagibilità di gran parte della struttura, molti detenuti sono stati trasferiti: alcuni loro parenti, intervistati il 12 marzo dal sito di contro-informazione SenzaQuartiere, deploravano che molte famiglie non avessero ancora ricevuto informazioni adeguate sulla situazione dei propri cari. Informare le famiglie dei detenuti, del resto, è parsa essere una delle preoccupazioni minori delle istituzioni.

Nel complesso, al carcere di Modena è avvenuta una strage. Ma non è stata una fatalità.

Sulle pagine de Il Manifesto del 14 marzo è pubblicato un appello nazionale per la costituzione di un Comitato per la verità e la giustizia, firmato, tra gli altri, dal medico ed ex parlamentare Vittorio Agnoletto. Non dubitiamo che di verità e giustizia, anche in questo caso, ci sia molto bisogno. E che non le si otterranno senza una mobilitazione conseguente.

Il sindaco ed il PD locali si sono attestati sulla posizione della solidarietà alla polizia. L’informazione locale, per parte sua, ha gareggiato nel mostrarsi il più zelante possibile verso le veline della Questura. Nessuna domanda scomoda al “manovratore”, per carità. Anche sui 9 detenuti morti, la versione ufficiale sui decessi per uso di metadone è stata assunta automaticamente, senza nemmeno chiedere, ad esempio, cosa sarebbe successo ai 4 detenuti deceduti durante il trasferimento in altre città se fossero, invece, rimasti all’interno di una struttura ospedaliera.

Ampio spazio, e nessun contraddittorio, è stato riservato a Francesco Campobasso, segretario nazionale del SAPPE, sindacato della Polizia Penitenziaria, che ha indicato “la sorveglianza dinamica ed il regime penitenziario aperto” (Gazzetta di Modena, 11-3-2020) tra le cause principali della rivolta. Curiosamente non abbiamo trovato, in quell’intervista, richieste su come garantire maggiormente le condizioni sanitarie dei cosiddetti secondini. Ha, invece, sollevato questioni degne di attenzione la Camera Penale di Modena, non certo un baluardo del progressismo.

I penalisti modenesi, ricevendo peraltro un modesto spazio sulla rete informativa provinciale, hanno scritto che “Già nei primi giorni di diffusione del Coronavirus, gli avvocati avevano denunciato il rischio di una situazione non gestita, avvertendo come le carceri fossero vere e proprie polveriere e come l’unica soluzione per evitare il peggio fosse quella, quantomeno, di applicare misure cautelari fuori da quelle mura e misure alternative alla detenzione per chi avesse dato buona prova durante l’espiazione della pena” (Camera Penale di Modena Carl’Alberto Perroux, “Comunicato stampa: rivolta nel carcere di Sant’Anna”, 11 marzo 2020).

Proseguendo nella sua nota, la Camera Penale precisa che “Le uniche informazioni che abbiamo ottenuto su quei fatti sono quelle fornite dalla Polizia Penitenziaria, giacché l’Autorità Giudiziaria (requirente e di Sorveglianza) non ha inteso divulgare notizie di dettaglio sullo svolgersi degli accertamenti” (ibidem), commentando, infine, con queste parole, l’operato del Ministro della Giustizia: “Sorprende il silenzio imbarazzante serbato dal Ministro della Giustizia per molte ore (in realtà per giorni) sulle rivolte in corso, così come stupisce che nessun parlamentare eletto nel modenese – neppure se componente della Commissione Giustizia… – abbia sentito il dovere di compiere alcuna visita ispettiva per comprendere la esatta dinamica dei fatti e le conseguenze di quanto avvenuto. Una grave mancanza, che denuncia ancora una volta come le politiche punitive siano abbandonate a loro stesse, senza alcun reale governo del fenomeno” (ibidem).

Le condizioni nelle carceri italiane, in effetti, sono spaventose. Nonostante la disgustosa campagna portata avanti da anni dalla propaganda reazionaria sui carceri presentati come “hotel a 5 stelle”, le più recenti statistiche, di fine febbraio 2020, indicano che i carcerati sonoo 61.230 a fronte di una capienza di 50.931 posti. L’affollamento medio, dunque, è del 120,2%. L’associazione “Antigone”, che si batte per i diritti dei detenuti, precisa che in istituti come Larino, Taranto, Como e Brescia l’affollamento supera il 190%. In pratica, ciò significa che spesso in celle di 12 metri quadri convivono tre detenuti. Tra i molti elementi da aggiungere, è degno di particolare attenzione che “in quasi la metà dei 95 istituti che Antigone ha visitato nel 2019 c’erano celle senza acqua calda, mentre in più della metà c’erano celle senza doccia” (A. Scandurra, “Domiciliari per chi è in regime di semi-libertà, altrimenti si rischia strage”, Il Riformista, 12-3-2020).

Si aggiunga che 5.221 detenuti hanno più di 60 anni ed il 67% del totale ha almeno una patologia pregressa. C’è qualcuno che pensa che in queste condizioni materiali si possano rispettare le prescrizioni sanitarie attualmente in vigore per contrastare il Covid-19 ?

Data l’inazione del governo, sembrerebbe di sì. Nella prima conferenza stampa dopo lo scoppio della rivolta, il premier Conte ha risposto al quesito sulla situazione nelle carceri soltanto dopo essere stato sollecitato una seconda volta dal giornalista. Il disprezzo mostrato per l’integrità fisica dei detenuti da parte del Ministro della Giustizia, il mediocre Alfonso Bonafede, è senza freni. Avrà pensato, nel suo giustizialismo che non va mai contro ricchi e potenti, che mostrare umanità verso i detenuti – ma anche intelligenza nel prevenire la formazione di focolai di contagio – gli avrebbe fatto perdere voti ? Non lo sappiamo, ma in ogni caso è certo che alle prossime elezioni per il M5S acchiappare voti sarà, meritatamente, un’impresa molto ardua…

In generale, non si capisce perché è vietato fermarsi a parlare con un amico in un parco ma invece è possibile stare ammassati in un carcere (o anche in una fabbrica o un magazzino della logistica).

L’associazione “Antigone” ha formulato alcune rivendicazioni elementari per garantire diritti e sicurezza anche ai detenuti: 20 minuti di telefonata o video-telefonata giornalieri per ogni ognuno, affidamento in prova o detenzione domiciliare per chi abbia condizioni di salute già precarie passibili di aggravamento a causa del Covid-19, detenzione domiciliare per chi beneficia del regime di semi-libertà, estensione dei domiciliari a chi sta scontando pene, anche residue, inferiori ai 36 mesi. Da parte del governo, invece, un silenzio assordante.

La logica politica sottesa all’assenza di provvedimenti governativi per l’igiene e la sanificazione delle carceri, oltre alla cessazione immediata del loro sovraffollamento, è che i detenuti non devono lamentarsi se, oltre alla pena carceraria, subiscono anche un rischio elevato di contagio da Covid-19. È inaccettabile!

Lo Stato deve mettere a disposizione medici e risorse adeguate per la tutela della salute di tutta la popolazione, anche dei detenuti. E l’unica misura per fare cessare il sovraffollamento, assieme alle misure proposte da “Antigone”, è l’applicazione di misure alternative al carcere e un indulto generale per tutti i reati minori.

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