24 Aprile 2020 Lucia Erpice

Covid 19 e violenza contro le donne

Cominciamo dai dati, su molti quotidiani degli ultimi giorni leggiamo numeri preoccupanti ed agghiaccianti rispetto alle richieste di aiuto per violenza domestica in Italia.

Se tra gennaio e febbraio del 2020 le richieste di aiuto subivano un lieve calo, a marzo sono state 716 mentre l’anno precedente sempre nel mese di marzo erano state 670.

Ma, dato inquietante, è che nei primi 20 giorni di aprile 2020 le chiamate di aiuto al numero 1522 (numero nazionale deciso dalla presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento per le Pari opportunità) sono state 1.039, se si aggiungono quelle delle app messe a disposizione per lo stesso servizio, le richieste sono praticamente triplicate rispetto ad aprile 2019.

Dai centri antiviolenza i dati registrati sono che le richieste di aiuto sono aumentate del 74,5 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

La pandemia ha fermato quasi tutto, ma non la violenza contro le donne, anzi l’isolamento sociale e la convivenza forzata hanno aggravato una condizione già difficile che molte donne vivono in quel luogo che ormai non può essere più considerato il più sicuro: la casa e con essa la famiglia. Per molte, moltissime donne che subiscono violenza domestica le case diventano il loro luogo di morte.

Non possiamo omettere le diverse condizioni materiali in cui queste violenze avvengono. Non è il caso ma è la differenza di classe a determinare che la maggior parte delle violenze avvengono laddove l’isolamento è vissuto in ambienti umanamente ed economicamente degradati, in abitazioni piccole, asfissianti e dove non c’è possibilità di via d’uscita, e sono invece meno frequenti dove l’alternativa può essere una seconda casa e la possibilità di allontanarsi da un partner o un familiare violento.

Le differenze economiche e sociali, la perdita del lavoro, soprattutto nelle famiglie monoreddito, accentuano conflitti latenti e di conseguenza anche la violenza domestica, non solo verso le donne ma anche verso minori o disabili.

I dati che leggiamo rispetto alle donne assassinate o alle denunce di violenza sono infatti il riflesso, forse quello più crudele e bestiale, di una società in cui la diseguaglianza fa da padrona.

Va sottolineato però che la violenza contro le donne non è solo un atto individuale, è un atto che prende origine dal patriarcato e dal capitale, ideologia fondante dei diversi Stati.

E ci fa capire, cosa forse ancora più importante, che il capitalismo si sviluppa per controllare i mezzi di produzione e tutta la forza lavoro, in particolare quella delle donne e dei loro corpi intesi come fonte principale di ricchezza, visto che riproducono la forza lavoro.

Il sistema capitalista assegna ruoli fissi al fine di garantire il mantenimento e la riproduzione di se stesso; alle donne è assegnato nel campo sociale il ruolo riproduttivo e nel campo lavorativo si sprecano dati sulle disparità salariali tra uomini e donne a parità di mansioni.

In momenti difficili come quello dell’emergenza sanitaria sono i settori che occupano il gradino più basso nell’ordine sociale quelli che pagano le conseguenze peggiori, tra questi le donne.

In una società divisa in classi, nella quale le disuguaglianze tra uomini e donne si traducono in maggiore vulnerabilità per le donne e in maggiore sfruttamento per lavoratori e lavoratrici della stessa classe oppressa, non ci sarà mai una reale uguaglianza.

La soluzione a tali ingiustizie deve essere pensata non individualmente ma collettivamente, con finanziamenti pubblici, bisogna rivendicare una rete capillare garantita e una gestione collegiale sia dei consultori che dei centri anti-violenza, che sia rappresentativa delle organizzazioni sindacali, dei movimenti delle donne e anche delle donne presenti sul territorio.

Perchè l’emancipazione delle donne e delle lavoratrici, è parte integrante della liberazione dell’umanità da uno stato di oppressione che il sistema capitalista alimenta quotidianamente.

Non c’è altro modo per eliminare l’oppressione delle donne se non quello di combattere la causa che sta alla base materiale dell’oppressione stessa, ossia lo sfruttamento capitalistico.

Solo l’eliminazione dello sfruttamento di una classe sull’altra e la sostituzione della proprietà privata dei mezzi di produzione con la proprietà sociale sono le condizioni per realizzare questo cambiamento e iniziare la costruzione di una nuova società senza sfruttamento o oppressione.

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