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Corea del Sud: crisi di regime e rivolta di massa

La stabilità non è più di casa, nemmeno in Corea del Sud. Da più di sei settimane, nel paese s’è sviluppata una intensa mobilitazione politica che ha travolto la presidentessa della repubblica Park Chung-hee, proprio oggi travolta dall’impeachment da parte del parlamento. Milioni di persone sono scese in piazza contro Park, accusata di aver affidato la gestione delle scelte strategiche del paese alla sua confidente spirituale, Choi Soi-sil. Choi è la figlia del guru di una setta sciamanica il quale a sua volta era stato consigliere del padre di Park, dittatore della Corea del Sud negli anni ‘70. Choi è stato il perno di un diffuso sistema di corruzione.

Choi è ora agli arresti con l’accusa di abuso di potere e di frode. Park è corsa ai ripari licenziando il primo ministro, il ministro delle finanze e quello degli interni. Il tutto, però, è stato vano. L’inchiesta si è allargata e le piazze hanno continuato a riempirsi.

Oltre a rivelare la visione magica ed oscurantista del mondo propria di Park, lo sviluppo dell’inchiesta sulla rete di Choi ha portato a due perquisizioni nella sede della Samsung. Tutti i chaebol (multinazionali costruite su base familiare) sud-coreani, compresa la Hyundai, sono immersi in un giro di tangenti a Choi per ottenere favori dal governo.

A fine novembre, la protesta ha guadagnato impeto: a Seul sono scese in piazza più di 1,5 milioni di persone. Nella mobilitazione svolge un ruolo di direzione la Confederazione coreana dei sindacati (KCTU), l’organizzazione operaia di massa più radicale del paese, in coalizione con numerose associazioni e movimenti sociali.

Questa crisi di regime ha radici profonde. La Corea del Sud sta risentendo del rallentamento dell’economia mondiale e della crescita del protezionismo. Ben il 41% del prodotto interno lordo (PIL) sud-coreano, infatti, proviene dall’export, quest’ultimo orientato per un quinto verso la Cina, la cui economia è in netta frenata. Questa situazione, e le nubi ancor più nere all’orizzonte, hanno spinto la classe dominante ad attaccare con durezza le conquiste sociali e democratiche dei lavoratori. Negli ultimi due anni il conflitto tra il governo e la KCTU era già salito in occasione delle lotte contro una riforma del lavoro che ha reso più facile il licenziamento dei lavoratori. Il governo di Park, inoltre, non ha esitato ad usare la polizia per perquisire sedi sindacali, a mettere fuorilegge il sindacato più combattivo della scuola e persino ad arrestare i leader della KCTU, incluso il suo segretario che è stato anche condannato in primo grado a 5 anni di reclusione. Ciliegina sulla torta, Park ha anche imposto un manuale unico di storia per le scuole, nel quale sono cancellati i crimini della dittatura del padre.

Quest’orgia di reazione ha raggiunto i suoi limiti. La risposta di massa della gioventù e dei lavoratori ha mutato il rapporto di forza tra le classi. Le grandi tradizioni di lotta degli anni ‘80 e ‘90 sono riemerse. Il compito dell’ora, anche in Corea del Sud, è dotarsi di uno strumento politico all’altezza della situazione.

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