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Contro gli appalti serve una lotta generale!

Dopo i fatti di Tavazzano, con il ferimento grave di un lavoratore licenziato Fedex durante un picchetto, e dopo l’uccisione di Adil Belakhdim al magazzino Lidl di Biandrate, si è riacceso con forza il dibattito su appalti, subappalti e contratti di fornitura nel settore della logistica. Dario Di Vico sul Corriere della Sera del 19 giugno sostiene che “dentro le fabbriche c’è uno spirito di comunità tra impresa e lavoro, fuori è il Far West”. Questa espressione, Far West, è quella più utilizzata per descrivere la situazione nella logistica. Come se il problema dello sfruttamento, delle esternalizzazioni, dei ricatti, riguardasse un solo settore e il resto del mondo del lavoro fosse un idillio.

 

Non solo logistica

Situazioni estreme come quelle che si sono create nella logistica, di ipersfruttamento e ricatto, sono solo l’anello più basso di una lunga catena, che coinvolge tutti i settori, pubblico e privato, nell’industria e nei servizi. L’appalto come strumento di esternalizzazione di servizi o interi rami d’industria viene utilizzato sostanzialmente ovunque, sono centinaia di migliaia i lavoratori impiegati in società esterne che lavorano per i grandi marchi. Nella logistica i colossi Dhl, Ups, Gls, Fedex-Tnt, Amazon, si appoggiano tutti a piccole società o cooperative più o meno finte. Parliamo di un settore con 417mila addetti complessivi che vede 900 operatori e 4400 aziende che gestiscono i magazzini (dati La Stampa 19 giugno).

Ma la questione appalti va al di là della logistica. Ikea, Mondoconvenienza, Lidl e molto del mondo della grande distribuzione ha appaltato completamente i propri servizi di magazzino e trasporto. Così come nelle telecomunicazioni, nei servizi pubblici e privati, dalle pulizie ai servizi di cura, fino all’industria propriamente detta, in cui interi rami d’azienda sono stati esternalizzati tramite appalto. Ricordiamo ad esempio le vertenze nell’industria alimentare in Emilia (vertenze Italpizza, Castelfrigo, Alcar), nella grande distribuzione (Esselunga, Lidl), e tante altre.

Qui non c’è nessuna “guerra fra poveri”, ma una guerra senza quartiere del capitale contro il lavoro. E se divisioni vi sono fra i lavoratori, è conseguenza di una politica perseguita coscientemente dal padronato e applicata dai governi di ogni colore È il risultato di un processo iniziato ormai trent’anni fa e passato attraverso tutte le controriforme del lavoro. La tendenza all’utilizzo degli appalti (e subappalti), sia nel pubblico che nel privato, è andata di pari passo con la precarizzazione e l’impoverimento dei lavoratori. Con il ricorso alle gare al massimo ribasso con le riforme dei contratti che hanno prima introdotto il lavoro interinale (Treu) e le mille tipologie di contratto precario (Legge 30 Biagi-Maroni) e poi liberalizzato le deroghe ai contratti nazionali (Sacconi), solo per citare le più nocive. Ne è risultato un ricorso all’appalto come strumento per le esternalizzazioni volte all’abbattimento del costo del lavoro dilagante, tanto nel pubblico quanto nel privato. Spesso all’appalto si aggiungono grandi quote di lavoro somministrato (interinale).

Una condizione di ricattabilità permanente, col rischio di perdere il posto di lavoro ad ogni cambio di appalto, l’applicazione di contratti peggiorativi come il Ccnl multiservizi, che per il suoi livelli salariali infimi viene spesso usato in modo alternativo e competitivo (al ribasso) rispetto ai contratti “naturali” della filiera. Fino ai cosiddetti contratti pirata e ai casi estremi in cui invece dei contratti si applicano regolamenti arbitrari, con orari senza limiti e paghe da fame.

 

Parola d’ordine: internalizzare

Il sindacato confederale, Cgil in primis, ha sostanzialmente subito questo processo, quando non è stata apertamente complice, in base al criterio burocratico che si potesse fare pressoché di tutto purché “contrattato”. Sugli appalti la burocrazia sindacale sbandiera come esempio il Codice degli appalti, approvato nel 2016, anche se nella realtà non ha funzionato molto, sia perché riguarda solo i contratti pubblici, sia perché lascia ampi margini di manovra con il ricorso al subappalto.

Il governo Draghi sta cercando di attaccare anche questi limitatissimi paletti, ma è chiaro ormai che non c’è nulla da difendere in un sistema che va invece ribaltato da cima a fondo.

In un contesto così frammentato e in cui i padroni hanno questa forza ricattatoria, serve ricomporre l’azione della classe, di tutti i lavoratori e di tutte le loro organizzazioni, tanto nella logistica quanto negli altri settori.

Anche vertenze dure, capaci in alcuni casi di conquistare miglioramenti reali, hanno scontato in questi anni il successivo isolamento. Se le lotte condotte dal SiCobas hanno in passato contribuito a squarciare il silenzio su questa realtà, hanno anch’esse pagato il prezzo a una logica settoriale che ha portato poi a una sostanziale accettazione del sistema dell’appalto, nel tentativo di difendere il rapporto con quelle aziende o cooperative che accettavano di firmare accordi locali. Una strategia di corto respiro, che ha di fatto impedito un allargamento reale del fronte operaio.

Contro la logica degli appalti serve una rivendicazione unificante, che crediamo debba essere l’internalizzazione di tutti i servizi e di tutti lavoratori nelle rispettive aziende.

Sappiamo che di per sè nessuna rivendicazione strettamente sindacale è risolutiva. L’accordo firmato dalla Cgil in Fedex-Tnt per l’assunzione diretta di 800 dipendenti ha lasciato a casa circa 300 magazzinieri, prevalentemente organizzati dal SiCobas nella sede di Piacenza, con una selezione ritorsiva evidentemente pensata e voluta dall’azienda per dividere i lavoratori in base alla sigla sindacale.

Ma un’azione unita e coordinata può dare a questa parola d’ordine il suo significato più forte: quello dell’unità. Un prodotto, un’azienda, un contratto: basta divisioni, basta scatole cinesi, basta caporali! E soprattutto è necessario lottare per il riconoscimento di una rappresentanza sindacale unitaria eletta democraticamente da tutti i lavoratori, diretti e indiretti, di qualsiasi sigla sindacale.

Passi intermedi come la rivendicazione dell’applicazione dello stesso contratto in tutta la filiera, responsabilità solidale del committente, clausola sociale stringente nei cambi d’appalto, vanno messi in questa prospettiva.

Quello che non si può fare è continuare ad accettare questa situazione, o continuare a raccontare la favola di un governo amico che per decreto ponga fine allo sfruttamento. Il capitalismo non si riforma e non si regola. Solo la lotta di classe, della classe operaia nel suo insieme, può cambiare le cose.

 

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