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Contratto Merci e logistica – I padroni rompono la trattativa

Verso lo sciopero nazionale del settore merci e logistica del 29 marzo prossimo, abbiamo intervistato Antonio Forlano, membro del direttivo nazionale Filt Cgil e Rsu di Ups Italia.

Trasporti e logistica sono una categoria essenziale in grande crescita in questa fase, eppure il contratto nazionale, scaduto a dicembre 2019, non si rinnova.

Sicuramente la pandemia ha fatto crescere enormemente il settore della logistica, con una divaricazione però tra imprese che hanno boccheggiato e altre che hanno visto un’esplosione di profitti. Parlo qui soprattutto delle grandi multinazionali, che controllano quasi l’80 per cento del settore.

La trattativa si è rotta perché diverse associazioni padronali hanno iniziato a tirare la corda avanzando pretese non nuove, ma che sono cadute come una vera e propria provocazione.

Per esempio?

Vorrebbero rivedere al ribasso tutto l’articolato sugli appalti, che nel settore sono enormemente diffusi. In particolare le cooperative di solito si sfilano quando è in corso una contrattazione nazionale, per poi contrattare ulteriori ribassi a loro vantaggio al momento di rientrare. Questo settore del padronato ha tirato la corda pretendendo maggiore impiego degli appalti, riduzione delle clausole sociali, ampliamento di contratti ad ora inesistenti come lo staff leasing. Questo per esempio riguarda Amazon, che per la metà circa impiega dipendenti diretti, ma copre tutto il resto e i “picchi” utilizzando lavoro interinale.

Vorrebbero anche una regolamentazione del diritto di sciopero con la scusa che si tratta di un settore essenziale.

Si vuole soprattutto attaccare il personale fisso: uffici e magazzini, considerato che gli autisti vivono già una enorme flessibilità di orario di lavoro. Hanno anche preteso la decurtazione del trattamento di malattia.

Come hanno vissuto i lavoratori i 4 anni del contratto precedente?

Si sarebbe dovuto avviare un’azione di “sanificazione” sulle flessibilità concesse nel contratto precedente. Il lavoro su 6 giorni ormai è una prateria e si sconfina spesso sulle domeniche, in particolare sotto la pressione del modello Amazon. Gli autisti hanno un orario di 44 ore, lo abbiamo in parte compensato con accordi aziendali per maggiori riposi, ma la tendenza è ad allungare.

Tutti riconoscono che sull’orario c’è una falla da chiudere.

E sul piano economico?

Andrebbe abolito del tutto il 6° livello, che noi come Rsu abbiamo contestato già dal 2011, che è il terreno di assunzioni che non portano il lavoratore ai 1000 euro. Le trasformazioni tecnologiche richiederebbero poi un aggiornamento del mansionario. La professionalità è cresciuta, ma non viene riconosciuta. Non esiste più il magazziniere che “sposta il pacco”.

Il sindacato come ha reagito alla rottura?

Io vedo confusione. Un comunicato duro, d’accordo, ma senza alcuna azione successiva. Questo crea ancora più disorientamento. E non ci si parli del problema sanitario: se possiamo lavorare, possiamo anche contrattare e, se serve, scioperare.

Come giudichi la piattaforma sindacale?

Nel giugno 2019 abbiamo dato un appoggio critico a una piattaforma molto generica, avanzando però proposte precise per renderla più incisiva sui problemi detti sopra. Oggi però una piattaforma vecchia di quasi due anni e scritta prima della pandemia andrebbe rivista con un vero coinvolgimento dei lavoratori, la situazione è completamente cambiata anche per la rottura padronale.

Ma i lavoratori possono incidere? Che strumenti hanno?

Se ci fermiamo per tre giorni, l’Italia è a terra.

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