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Perdendo al primo turno delle comunali più della metà dei voti, rispetto alle elezioni del 2016 (211.936 oggi, 461.190 allora), Virginia Raggi lascia la carica di sindaco di Roma.

I cinque stelle avevano conquistato il Campidoglio cinque anni fa sull’onda di una rabbia montante nei confronti del PD a guida renziana, talmente spostato a destra da far fuori un sindaco dello stesso partito come Marino, seppur egli fosse a suo agio dentro quella linea, tanto da esprimersi per l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Il crollo dei Cinque Stelle e la fine della giunta Raggi

Stendendo un velo pietoso sulla consiliatura precedente a quella di Marino, i cinque anni di Alemanno, il peggior sindaco della storia di Roma, i cittadini romani recatisi al voto nel 2016 hanno sicuramente cercato un’alternativa rispetto ai partiti tradizionali, pensando di individuarla nella Raggi e nei cinque stelle.

Tra le grandi metropoli di questo Paese, Roma è senza dubbio la città che ha fatto registrare il crollo più marcato nel livello dei servizi se guardiamo gli ultimi trent’anni, prendendo quindi a riferimento il periodo che ha visto l’inizio dell’elezione diretta dei sindaci non è casuale che la Capitale sia al 32esimo posto come vivibilità tra le città italiane

Roma è una città semplicemente sfigurata, coi rifiuti per strada in tutti i quartieri (senza differenza tra centro e periferia) con gli autobus che, o non passano oppure vanno in fiamme, le strade piene di buche, i parchi (nella città più verde d’Europa con le ville di maggior pregio) completamente abbandonati a se stessi.

Il frutto di tre decenni di speculazione edilizia spinta che ha creato quartieri dormitorio fuori dal raccordo anulare (molto fuori) in cui, in anni di tagli continui ai trasporti e a tutti i servizi per via del debito che anche i comuni hanno accumulato, è stato semplicemente impossibile portare i servizi basilari di una città.

Stravolta da questa crescita basata solo sugli interessi dei costruttori, coi tagli che hanno interessato tutti i quartieri, cercando affannosamente di coprire alla bell’e meglio una estensione della città cresciuta esageratamente, la vita è peggiorata tanto in periferia quanto al centro.

Che i cinque stelle potessero solo intaccare questa situazione era semplicemente impossibile. Niente faceva pensare che un movimento interclassista potesse scontrarsi contro i poteri che hanno sfregiato Roma: i costruttori, il Vaticano e le banche che lucrano sugli interessi maturati dal debito pubblico.

Niente faceva pensare che i grillini migliorassero di un millimetro la situazione determinata dal crollo dei servizi nella capitale e infatti non l’hanno fatto.

Solo l’USB e alcuni settori dei centri sociali hanno maturato per parecchio tempo la tragica illusione di poter condizionare a sinistra la giunta dei cinque stelle, puntando su Paolo Berdini (candidato di Rifondazione alle comunali di quest’anno che ha raccolto lo 0,4%) come assessore all’urbanistica, incarico da cui è stato presto cacciato dalla sindaca che, in un colpo solo, ha fatto fuori lui e il terribile malinteso che attorno alla sua figura si era creato.

Ma la fine dell’esperienza di Berdini all’interno della giunta Raggi non ha scoraggiato l’USB dal continuare a partecipare ai tavoli di trattativa con la sindaca, che si sono tenuti fino all’ultimo, sperando di portare a casa non si sa bene cose, da un’esperienza che si è segnalata realmente solo per aver provato a costruire il nuovo stadio della Roma, circondato da grattacieli d’ufficio nella maggior opera di speculazione dalle olimpiadi del ’60, affogata nella corruzione e in ultima analisi nell’irrealizzabilità.

Come sono andate le liste a sinistra del PD?

C’erano cinque partiti alla sinistra del PD a questa tornata elettorale. Nessuno si è avvicinato all’uno per cento, nemmeno nei quartieri più popolari, nonostante, ad esempio, il partito comunista di Rizzo, si sia giocato la carta di Micaela Quintavalle come candidata a sindaco, l’esponente più in vista di un sindacato (CambiaMenti) inizialmente legato ai cinque stelle, in passato molto combattivo in un settore come quello dei trasporti, dove i confederali sono storicamente molto screditati. La candidata di Rizzo da raccolto 3.781 voti mentre alle scorse comunali il candidato del PC ne aveva raccolti oltre 10371.

Non è andata meglio a Potere al Popolo che è passata dai 19.953 voti raccolti nel comune di Roma alle regionali del 2018 a 6090 di questa tornata elettorale (non si possono fare raffronti con le Comunali del 2016 perché non erano presenti).

Considerando i voti che erano andati a liste alla sinistra del PD nel 2016 e coi risultati delle elezioni di quest’anno si passa da 68.869 voti a 18.874. Un crollo.

L’astensione

Ma il dato di gran lunga più significativo di queste elezioni è l’astensione.

Al primo turno, considerando il voto in tutta la città, è stata superiore al 50%, arrivando al 60 nei quartieri più periferici come per esempio nel Municipio delle Torri, estrema periferia est della città, nel quale ci sono il 40% delle case popolari della capitale, che detiene il record di astensione.

Ancora più evidente la assoluta sfiducia dei giovani e dei settori proletari (particolarmente delle periferie) se guardiamo ai dati del ballottaggio dove è il dato definitivo di tutta la città ad essere del 60%, arrivando quasi al 70% a Tor Bella Monaca, nell’unico municipio dove ha vinto il centrodestra.

La maggioranza dei giovani e dei lavoratori della capitale, con tutta evidenza, non nutriva alcuna fiducia che, con queste elezioni, si potesse cambiare alcunché.

Vince Gualtieri ma il PD ha poco da festeggiare

Al ballottaggio del 17-18 ottobre ha vinto il candidato del PD, Gualtieri (ex ministro dell’economia con il secondo governo Conte), l’uomo che ha passato metà della sua vita a contatto coi tecnocrati UE che strangolavano coi loro piani le popolazioni di mezza Europa a partire dalla Grecia, contro Michetti (un signor nessuno che da anni blatera in una radio che ha sposato tutte le battaglie più reazionari e anti-scientifiche che c’erano da fare): 60 a 40 e 14 municipi a 1.

La lista del PD però è passata dai 204.637 voti del 2016 ai 166.194. Una perdita secca di quasi 40mila voti. Tutt’altro che il trionfo proclamato da Letta.

Ora, il prossimo sindaco del PD, in una città dove i maggiori disastri e le peggiori politiche anti-popolari, sono stati portati avanti dal centrosinistra, dovrà per forza fare qualcosa. Sono troppi i soldi che arriveranno su Roma (un miliardo mezzo di euro solo per il Giubileo del 2025) per rimanere immobili come, in un modo o nell’altro, ha potuto fare la Raggi segnalatasi, oltre che per lo stadio di cui abbiamo già parlato, solo per i dilanianti scontri interni e per un numero di cambi di assessori di cui si è perso subito il conto.

E la prima partita che il neo-sindaco si troverà gestire sarà la gestione delle municipalizzate dove c’è un progetto che la dice tutta sull’aria che tira: la fusione tra la partecipata dell’ambiente (AMA) e la ex municipalizzata dell’acqua e dell’elettricità (ACEA) dove la maggior parte del capitale è in mano al più noto costruttore e affarista romano, Caltagirone, e ad un’azienda francese. Un progetto di fusione che non tarderà ad arrivare visto che Acea deve mettere i soldi per gli impianti del sistema di raccolta e smaltimento, a pagare questo processo saranno i lavoratori del settore, già fortemente penalizzati dallo scorso contratto (che infatti a Roma fu bocciato).

Si tratta di un progetto sul quale la CGIL ha già svolto alcuni convegni e che Gualtieri per adesso ha sposato con un filo di voce, inserendo nel programma una frase sibillina dove si spiega che bisogna aumentare le sinergie tra AMA e ACEA.

Non abbiamo alcun dubbio che Gualtieri, ex ministro dell’Economia sotto il governo Conte, darà più retta ad ambienti padronali che ai veri interessi della collettività a Roma e, questo delle aziende dei servizi sarà il primo terreno per saggiarne le reali intenzioni.

Non è un caso che il primo nome fatto per la squadra del neo-sindaco sia quello di Marcella Panucci, ex direttrice generale di Confindustria che potrebbe essere la nuova city-manager.

Ci sono adesso fiumi di retorica sul nuovo centrosinistra, a partire dai risultati del ballottaggio di Roma dove Conte ha fatto un endorsment per Gualtieri e sicuramente chi ha votato Cinque Stelle al primo turno, al secondo ha sostenuto il candidato PD.

Ma questa non è altro che una somma di due debolezze (la lista dei Cinque Stelle è crollata da 420.435 voti nel 2016 a 111.668 oggi), chi potrà condizionare ancora più a destra la nuova giunta è sicuramente Calenda (un curriculum che è un distillato di competenze filo padronali, anche lui espressosi per Gualtieri al ballottaggio) coi suoi 219.878 voti.

Le prospettive per Roma

Roma, nei prossimi anni sarà invasa da fiumi di denaro.

500 milioni di euro arriveranno solo dal Piano dell’UE approvato con l’esplosione della pandemia, molti di più ne arriveranno tra la candidatura per l’Expo del 2030 e il giubileo del 2025.

Non nutriamo alcun dubbio che, a parte tanta retorica e qualche operazione ornamentale, neanche un euro finirà per migliorare i servizi della città o per migliorare le condizioni di vita in periferia.

Proprio com’è stato in occasione del giubileo del 2000 o i mondiali di nuoto del 2009, solo per citare due grandi avvenimenti che si sono tenuti a Roma negli ultimi vent’anni, che sono stati invece occasione per le peggiori scorribande di questo o quell’imprenditore con la complicità del governante di turno.

Spaventano, da questo punto di vista, e rappresentano un chiaro indirizzo, le prime dichiarazioni ossequiosi di Gualtieri verso il Vaticano, uno dei peggiori poteri forti della città.

E se la prospettiva è quella di un patto sociale per Roma, con la CGIL dentro fino al collo, per evitare di stare tanto a guardare ai diritti dei lavoratori, ai contratti e soprattutto lasciar stare in maniera imperativa gli scioperi, perché c’è da tirare a lustro la città per i pellegrini del giubileo e i visitatori dell’Expo, ci sarà sicuramente da ingegnarsi per provare a sottrarre il sindacato di Corso Italia dalla morsa in cui si proverà a schiacciare il movimento operaio romano.

Da dove può ripartire la sinistra?

La sinistra, la CGIL, i sindacati di base, a Roma hanno guardato in tutte le direzioni più sbagliate tranne che lì dove dovevano guardare: al malcontento che esiste e si allarga sempre di più tra centinaia di migliaia di giovani e lavoratori soprattutto delle periferie, furiosi contro la politica ufficiale dopo trent’anni in cui non s’è visto uno straccio di politica per la casa, per i trasporti, per le strade, per l’ambiente e hanno sentito solo parlare di riduzione del debito, un mantra in nome del quale si è tagliato ogni sorta di servizio pubblico e finanziato ogni genere di interesse privato. E a tutto questo si aggiunge la devastante crisi industriale di Roma che, ormai, cinema a parte, ha perso terreno in tutti i settori economici in cui era forte, dall’informatica al settore bancario, dalle televisioni per finire con la chiusura di Alitalia, sostituita da un vettore che avrà tratte regionali in cui, la prima cosa che si è detto ai lavoratori, è che si toglieva loro il contratto nazionale.

Solo voltando le spalle alle vecchie logiche di apparato e ai programmi nel segno delle compatibilità che si potrà ricostruire una sinistra di classe a Roma come a livello nazionale.

Come SCR siamo impegnati in questa battaglia.

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