Classe operaia e Green pass – Una lezione pratica sull’avventurismo di certa sinistra

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Classe operaia e Green pass – Una lezione pratica sull’avventurismo di certa sinistra

Per tutti coloro che nella sinistra “antagonista” in questi mesi hanno sostenuto e praticato la strategia di intervenire nelle manifestazioni contro il Green pass, gli avvenimenti delle ultime settimane hanno costituito un perfetto banco di prova.

Se infatti la sinistra riformista ha abbracciato in pieno la linea confindustriale, settori della sinistra “antagonista” hanno invece teorizzato di poter indirizzare le manifestazioni contro il Green pass su una linea di classe se non addirittura “rivoluzionaria”. Un errore a dir poco clamoroso contro il quale dobbiamo lottare tanto quanto lottiamo contro l’opportunismo e l’adattamento dei riformisti.

Le manifestazioni contro il Green pass hanno avuto per una prima fase un carattere socialmente e politicamente confuso che ha generato in alcuni l’illusione di poterle indirizzare su una linea di opposizione di classe al governo e alla borghesia. In diverse città elementi della sinistra “antagonista” si sono buttati a corpo morto nelle manifestazioni settimanali contro il Green pass, illudendosi di poterne contendere la direzione politica.

Ma ogni movimento di massa (e questo lo è, seppure minoritario) è composito. Il compito di qualsiasi militante consapevole non si può limitare a segnalare una contraddizione. È necessario anche indicare quale elemento predomina: se quello progressivo o quello reazionario.

La prova di Trieste

Gli eventi del 9 ottobre a Roma, con l’assalto alla Cgil guidato da Forza nuova avrebbero dovuto essere sufficienti per dimostrare che se c’erano forze politiche capaci di egemonizzare il movimento non erano certo a sinistra. Tuttavia, incredibilmente, anche nei giorni successivi si sono sentite posizioni apologetiche a sinistra che sostenevano che “non dappertutto era come a Roma”.

I fatti di Trieste hanno però dato la prova più chiara del reale stato di cose. Come è noto, con l’avvicinarsi della scadenza del 15 ottobre, un settore dei lavoratori portuali organizzato nel Comitato lavoratori portuali di Trieste (Clpt) aveva dichiarato la propria intenzione di scioperare e bloccare il porto. A Trieste le manifestazioni delle settimane precedenti contro il Green pass erano state, proporzionalmente, le più grandi d’Italia, con migliaia di persone in piazza. Alle manifestazioni partecipavano convintamente vari elementi di sinistra (area autonoma, disobbediente, anarchica, maoista e settori dei sindacati di base).

Sulla carta, l’entrata in scena di un settore della classe operaia forniva l’occasione perfetta per spostare il movimento su basi chiaramente di classe.

Cosa è successo in realtà? 1) Il Clpt entrando in campo ha completamente esautorato gli elementi di sinistra, diventando di fatto la direzione della piazza. 2) Di questa egemonia il primo frutto è stato quello di rompere con i sindacati di base che l’11 ottobre avevano convocato uno sciopero “generale”, disertandone la piazza e partecipando invece a quella No Green pass del pomeriggio. 3) Il venerdì 15 il preannunciato blocco del porto diventava quindi la barricata principale del movimento. Il blocco vedeva la presenza di migliaia di manifestanti, ma lo sciopero non fermava le operazioni, incidendo in misura solo marginale. La presenza di lavoratori portuali non andava oltre i 150 su circa 1.200.

Era chiaro a quel punto che i lavoratori disposti a scioperare erano una minoranza in porto e che l’elemento di classe veniva ad essere completamente sommerso nel marasma interclassista e reazionario della piazza No Green pass. Nessun settore significativo di lavoratori di altre categorie si univa alla mobilitazione in forma organizzata. Predominavano i vari Montesano, Paragone e i capi locali della lista del Movimento 3V (che a Trieste ha eletto un consigliere).

Su queste basi la mobilitazione era già su una china discendente 48 ore dopo, quando il Governo ha volutamente radicalizzato la situazione ordinando lo sgombero violento del Varco 4. Il disgusto e la rabbia per la violenza usata dalla polizia ha ridato fiato alla mobilitazione che si è spostata nella piazza principale. Tuttavia proprio questo passaggio ha visto la definitiva uscita di scena dei portuali. Il Clpt ha di fatto sconfessato il portavoce dimissionario Puzzer, dissociandosi dal nuovo comitato (Comitato 15 ottobre) che ha preso il controllo del movimento, dichiarando che avrebbe continuato la mobilitazione in modo indipendente per la sacrosanta rivendicazione dei tamponi gratuiti.

A Genova la controprova

A Genova l’11 ottobre i sindacati di base e le forze di sinistra che li appoggiano hanno tentato di fare una sorta di fronte unico con il movimento No Green pass. Genova è stata la città dove lo sciopero ha avuto probabilmente il maggiore successo anche in termini di piazza (3-4.000 manifestanti). Tuttavia l’esito di questa strategia è stato analogo: anziché influenzare il movimento da posizioni di classe, sono stati i sindacati di base a dividersi, con alcune sigle che si sono unite ai No Green pass mentre altre hanno condotto una manifestazione distinta. Il blocco di un varco del porto condotto dal Calp (Comitato autonomo dei portuali, legato all’Usbe minoritario fra i portuali) è stato di breve durata ed è poi proseguito in forma simbolica.

Il caso di Genova è tanto più significativo in quanto, a differenza di Trieste dove il Clpt ha una matrice politica di destra, in parte legata all’autonomismo triestino, a Genova gli attivisti sono indubbiamente di sinistra. Quindi anche sulla piazza più favorevole, per partecipazione e composizione politica, il fallimento di chi proclamava la necessità di entrare nel movimento No Green pass “per non lasciarlo alla destra” o addirittura per prenderne la guida, è stato completo.

Quei lavoratori che onestamente hanno sperato che questa fosse una strada per reagire ai provvedimenti arbitrari del governo Draghi sono stati buttati allo sbaraglio da attivisti che non hanno ancora imparato a distinguere la rivoluzione dalla controrivoluzione.

La classe lavoratrice è divisa sulla questione dei vaccini, bisogna partire da questo dato di fatto. Il governo ha agito coscientemente per cristallizzare questa divisione, favorito anche dalla politica dello struzzo del gruppo dirigente della Cgil. Il compito di una avanguardia, se è realmente tale, è quello di lavorare sistematicamente per l’unità dei lavoratori, di mantenere una chiara posizione di principio, lottando ovunque possibile contro gli effetti discriminatori del decreto nei luoghi di lavoro (e non solo).
Ogni ricerca di scorciatoie porta nel precipizio, come dimostrano i fatti di ottobre.

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