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Cgil, Cisl e Uil firmano con Confindustria un nuovo patto sulla testa dei lavoratori

Pochi giorni prima delle elezioni politiche Cgil, Cisl e Uil hanno firmato, il 28 febbraio, con Confindustria un nuovo pessimo accordo sulle relazioni industriali e sulla contrattazione collettiva.
L’intesa raggiunta, sulla quale non è prevista una consultazione dei lavoratori, conferma l’arrendevolezza dei vertici sindacali: in nome e per conto della governabilità della contrattazione collettiva e della bilateralità Cgil, Cisl e Uil promettono di farsi garanti della pacificazione sociale, sterilizzando il conflitto in cambio… di ulteriori arretramenti.
Si attesta che c’è una ripresa economica in atto e quindi ci si attenderebbe che il potere d’acquisto dei salari e la riconquista di diritti perduti siano rivendicazioni più che legittime da avanzare invece l’unica cosa riconosciuta espressamente come necessaria è la maggiore produttività del lavoro, che è dunque l’asse attorno cui girano tutti gli auspici del documento.
Il progetto Industria 4.0 pare essere la nuova stella polare con uno stato in bancarotta che a detta delle parti dovrebbe investire nell’ammodernamento delle infrastrutture e nella ripresa della domanda interna. Se i padroni sono sicuri di ricevere in dono paccate di miliardi di euro dai prossimi governi un po’ meno lo saranno i milioni di lavoratori sempre più dissanguati dall’austerità.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere pensando che i dati economici dimostrano una ripresa debole, instabile e legata a doppio filo alle dinamiche internazionali, un livello del potere d’acquisto che non ha raggiunto i livelli pre-crisi, un tasso di disoccupazione che supera l’11% ed una precarietà dei rapporti di lavoro dilagante con uno schiacciamento dei salari verso il basso.

Sulla rappresentanza sindacale

Il già negativo Testo unico sulla rappresentanza del gennaio 2014 viene rilanciato più per ricordare a Confindustria che è opportuno riconoscere il ruolo negoziale delle organizzazioni sindacali che per modificare le sue storture. Viene convintamente ribadita la volontà di giungere ad accordi senza farsi male; il conflitto è bandito e l’esigibilità degli accordi si blinda conferendo all’autonomia di ciascun contratto nazionale le modalità di certificazione dei voti degli accordi da parte dei lavoratori. Insomma una volta giunti all’ipotesi di accordo, ogni categoria faccia poi come crede.
Ma le promesse non finiscono qui. Le parti si sono accordate per mettere ordine tra chi è legittimato a firmare i contratti e chi no per evitare che chiunque possa firmare anche se non è rappresentativo. Se qualcuno pensasse che tutto questo serva a far tornare i vari Marchionne in Confindustria, si sbaglia. Come si sbaglia chi, nel sindacato, si illude che questo accordo sarà essere un argine al proliferare di contratti nazionali nel medesimo settore utilizzati dai padroni per tenere bassi i salari.

Sulla contrattazione collettiva e la moderazione salariale

Si conferma il doppio livello della contrattazione collettiva ma ci si sente presi in giro quando per l’ennesima volta i sindacati chiedono il rafforzamento dei contratti di secondo livello per aumentare i salari: posto che la maggioranza delle imprese (soprattutto del centro e sud del paese) non li stipula ma si arrangia con i sempre buoni metodi delle imposizioni unilaterali, è bene ricordare che dove sono stati applicati durante la crisi sono serviti prevalentemente a derogare in peggio ai contratti nazionali e alla legge e ad aumentare lo sfruttamento dei lavoratori.
L’intenzione di fare una ricognizione della corretta applicazione del contratto nazionale all’attività di ciascuna impresa sembra poi essere più che altro un’operazione estetica. Non c’è in tutta l’intesa una sola parola sul contrasto alle finte cooperative e i sub appalti, nonostante questo problema sia considerato a parole un’emergenza di prima grandezza per la Cgil.
Sulla moderazione salariale, gli aumenti contrattuali dei prossimi rinnovi nazionali saranno nuovamente penalizzati dall’indice Ipca e quindi non recupereranno mai l’inflazione, indice Ipca che la Cgil a parole aveva nel lontano 2009 bollato come inacettabile e intenzionata a contrastare. Contrasto che non ci fu, visto che poi lo accettò in tutti i rinnovi contrattuali e ora lo fa proprio.
Una parte degli aumenti nazionali sarà riservata al welfare e quindi al posto dei soldi i lavoratori riceveranno anche prestazioni per servizi che magari non utilizzeranno mai. Uno strumento nemmeno troppo complicato per sterilizzare l’incremento reale delle buste paga.
I contratti di secondo livello, sempreché esistano, saranno tutti orientati ad esaltare la produttività del lavoro e la redditività aziendale senza prevedere forme di redistribuzione certa del salario accessorio a tutti i lavoratori.

Lo smantellamento dello stato sociale e la bilateralità

Le parti si trovano d’accordo sul fatto che la spesa pubblica per lo stato sociale stia diminuendo e con essa le prestazioni universali garantite. Giurano di difendere lo stato sociale pubblico e come lo fanno? Attraverso accordi interconfederali per l’estensione del welfare integrativo, che è uno strumento presentato come aggiuntivo a quello pubblico ma che in realtà serve per affossarlo.
Le imprese si appropriano sempre più della vita delle persone, legando la possibilità di curare la salute dei lavoratori, dei loro famigliari e l’integrazione della pensione al mantenimento del posto di lavoro. Questo è il vero significato della prevenzione del conflitto fra le parti!
Sul fronte delle pensioni integrative, ritenute dai vertici sindacali ormai un pilastro irrinunciabile e da rendere ancora più conveniente con la defiscalizzazione, il patto prevede il rilancio della patrimonializzazione dei fondi pensione. I fallimenti dei fondi di investimento non hanno insegnato nulla a lor signori.
Per quanto riguarda la formazione dei lavoratori, viene riproposto lo strumento dei fondi interprofessionali cogestiti dalle parti, sostituendosi anche in questo caso al settore pubblico. Anche qui le parti chiedono al fisco uno sconto per rendere i fondi più appetibili. L’apprendimento permanente è considerato ingenuamente una vera e propria garanzia contro la disoccupazione: invece di preoccuparsi delle cause dei problemi, si interviene solo sugli effetti e lo si fa anche male perché si sa benissimo che nessun corso di formazione garantirà l’accesso al mondo del lavoro ed il ripristino del diritto ad avere un contratto a tempo indeterminato.
Sulla salute e la sicurezza nei posti di lavoro i sindacati chiedono un maggior coinvolgimento dei delegati alla sicurezza nell’informazione ai lavoratori. Giusto ma manca l’essenziale: per fare questo l’organizzazione del lavoro dovrebbe essere competenza esclusiva dei lavoratori; il Testo unico sulla sicurezza non dovrebbe basarsi su autodichiarazioni da parte del datore di lavoro; il responsabile del servizio prevenzione e protezione dell’azienda non dovrebbe essere nominato e pagato dal padrone; i corsi per l’utilizzo delle attrezzature sono un costo per le imprese così come lo sono i dispositivi di protezione individuale; i controlli da parte dell’ente pubblico sono scarsi. Non basta solo l’informazione, servono interventi concreti e questo accordo sicuramente non fa passi in avanti.

L’istruzione al servizio del profitto

E’ molto grave la valutazione che si fa del ruolo del sistema Istruzione: non si mette più al centro lo studente né come mente pensante, né come parte di una comunità, né come persona libera di poter sviluppare i propri interessi. Viene esaltata l’importanza della scuola come semplice fucina di nuovi lavoratori da sfruttare, l’alternanza scuola – lavoro non viene superata ma addolcita con la promessa di ricorrere anche a forme di apprendistato duale, sottopagate e super detassate. Con la giustificazione strumentale di inserire i giovani nel mondo del lavoro, si realizza una competizione salariale al ribasso a parità di mansione fra i lavoratori della stessa azienda.

 Ci vuole un sindacato di classe!

Nonostante i vertici sindacali tentino ancora una volta di imbrigliare il conflitto sociale e si aggrappino disperatamente alla controparte per legittimarsi ai tavoli di trattativa, non saranno in grado di tenere questa posizione a lungo. Anche il terremoto politico uscito dalle urne in questa tornata elettorale ci dice che i lavoratori sono stufi della compatibilità del sistema. I lavoratori hanno tanta pazienza ma da tempo hanno perso fiducia in questi apparati, che sentono essere molto lontani dai loro bisogni.
Noi lottiamo quotidianamente nei luoghi di lavoro proponendo un’alternativa che rompa con questa linea arrendevole perché senza la lotta non c’è alcun margine di progresso. Allo stesso tempo c’è la necessità di continuare la lotta contro la burocratizzazione di quello che è e continua ad essere il principale sindacato del paese. Una lotta affinché il sindacato torni ad essere uno strumento diretto democraticamente dai lavoratori nel proprio interesse.

 

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