Brasile – Crisi di sistema e lotte di massa
Il Brasile è travolto da una profonda crisi sociale, economica e politica. Le mobilitazioni contro il governo sono in continua ascesa, dopo lo sciopero generale del 28 aprile (il più grande degli ultimi 20 anni), 150mila persone hanno invaso Brasilia lo scorso 24 maggio contro gli attacchi del governo Temer a pensioni, stato sociale e leggi del lavoro.
Negli ultimi tempi tuttavia Michel Temer non deve guardarsi solo dalle proteste di piazza, ma anche dalle inchieste della magistratura.
Dopo la defenestrazione da parte del parlamento di Dilma Rousseff per corruzione infatti, ora anche il nuovo presidente è al centro di uno scandalo, per aver ricevuto una maxitangente dai proprietari del gruppo Jbs, una delle principali multinazionali del paese, impegnata nel settore della lavorazione della carne. Temer ha ribadito che non si dimetterà, ma non la pensano così una parte dei partiti che lo sostengono in parlamento che, come il Psdb, hanno già annunciato che ritireranno il loro appoggio.
La borghesia nazionale e internazionale è divisa. Una parte crede che per continuare con successo la politica di controriforme (ricordiamo che il Senato ha congelato per vent’anni la spesa sociale) il “male minore” Temer sia necessario. Un’altra ritiene che se Temer continuasse a rimanere in carica l’ira nei suoi confronti potrebbe mettere a rischio l’intero edificio delle “riforme”, in quanto mancherebbe al presidente la credibilità necessaria a portarle avanti. D’altra parte, il Presidente è affondato nei sondaggi, con un misero 9% di popolarità (ed è in carica solo dal 31 agosto 2016!).
Come nel caso di Tangentopoli in Italia all’inizio degli anni Novanta, anche in Brasile la magistratura ha assunto un ruolo sempre più indipendente e procede a colpi di arresti verso il cambiamento del sistema politico di cui la classe dominante ha bisogno. “Negli anni i partiti politici sono diventati sclerotizzati, ora Lava jato apre nuove possibilità di aumentare il tasso di mortalità politica nel paese” spiega al Financial Times (26 maggio) Sergio Fausto della Fundação Fernando Henrique Cardoso, uno dei principali think tank dell’America latina.
Lava jato (l’inchiesta che ha portato all’impeachment di Dilma e all’incriminazione di Lula, ndr) è da un lato il prodotto della crisi di sistema in Brasile e dall’altro il tentativo di salvare il sistema stesso dalla rabbia delle masse, cercando di sviare la loro attenzione dagli attacchi del padronato e concentrandole sul problema della “corruzione”. L’offensiva della magistratura allo stesso tempo produce ancora più instabilità in un sistema già molto fragile.
L’economia brasiliana infatti è letteralmente crollata: tre anni consecutivi di recessione (nel 2016 il Pil è diminuito del 3,4%) con buona pace di chi considerava le economie emergenti dei Brics l’alternativa al declino degli Usa. Per il 2017 la Banca mondiale prevede una crescita solo dello 0,5% e per la borghesia sono i lavoratori che devono pagare la crisi: si aumenta dunque di nove anni l’età pensionabile e da 8 a 12 ore l’orario giornaliero di lavoro.
Lo scontro dunque è di classe, e non riguarda la difesa di una democrazia astratta. Quale democrazia, poi, visto che in quella concreta, vale a dire il parlamento brasiliano, è bastato pagare meno di un milione di euro a deputato per far approvare l’impeachment di Dilma? La posizione della direzione del Pt, che propone nuove elezioni presidenziali e non per il parlamento, forse confidando in un nuova affermazione di Lula che si ricandiderà a Capo dello stato, mira alla ricerca (disperata) di assicurare la sopravvivenza del sistema.
Un sistema che ha rivelato tutta la sua brutalità, con le cariche, le decine di feriti e gli arresti durante la manifestazione già citata di Brasilia. In questa occasione Temer è ricorso alla decretazione d’urgenza volta all’utilizzo dell’esercito nelle strade, una misura che non veniva adottata dai tempi della dittatura militare, terminata nel 1985. Le proteste e la debolezza dell’esecutivo hanno fatto sì che il decreto venisse ritirato il giorno dopo, ma rappresenta un avvertimento: la borghesia è disposta a utilizzare qualunque mezzo per non perdere il potere.
Per questo l’unica strada per la vittoria per il movimento di massa è lo sciopero generale fino al ritiro di tutte le controriforme e alla caduta del governo Temer, come spiega Esquerda Marxista, la sezione brasiliana della Tendenza marxista internazionale.
Per arrivare a ciò la classe operaia brasiliana deve organizzarsi in maniera autonoma ed indipendente dalla borghesia, per un governo dei lavoratori ed un’Assemblea popolare nazionale costituente. Nel capitalismo, non solo l’economia è marcia, ma anche le sue istituzioni e l’apparato dello stato. Dobbiamo rovesciarli e costruirne di nuove, rappresentative delle istanze e degli interessi della classe lavoratrice.
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