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Biden, il centrista che scontenta tutti… tranne i padroni

Queste elezioni mostrano un’America spaccata. La pandemia ha dato il knock-out ad un impero ormai in decadenza. Negli USA i livelli di diseguaglianza salariale, razziale e di genere sono tra i più alti al mondo, la disoccupazione raggiunge il 15%, solo da marzo si sono verificati 20 milioni di sfratti. Senza contare l’assenza dei diritti più elementari (istruzione, sanità…), un crollo del PIL del 31.7% nel secondo semestre 2020, e un terremoto sociale di cui il movimento Black Lives Matter rappresenta solo la punta dell’iceberg.

In un contesto così greve ed esplosivo, i due partiti dell’establishment americano siedono sopra una pentola a pressione.

Con il senato in mano ai repubblicani, il trionfo di Biden si dimostra una vittoria zoppa. Durante l’amministrazione Obama, Biden ha scontentato gli elettori democratici assumendo un atteggiamento troppo generoso nei suoi negoziati con McConnell (alla guida del senato repubblicano), trattando sull’indennità di disoccupazione, accettando tagli alle tasse per le fasce di alto reddito, rendendosi disponibile a tagli a Medicare e previdenza sociale.

Storicamente, la sinistra europea ha il vizio di inneggiare al candidato democratico di turno, innalzandolo a garante della giustizia e dei diritti sociali. Giornali e media nazionali sono impegnati in una squallida campagna di ottimismo e rassicurazioni nei confronti del nuovo presidente. Dietro al fumo di una retorica a dir poco faziosa, si nascondono i biechi trascorsi di Biden, la cui carriera è tutt’altro che immacolata.

1) Istruzione e questione razziale

Nel 1975, favorendo i segregazionisti, Biden si è opposto al “busing”. Tale pratica cercava di favorire l’integrazione razziale attraverso il trasporto degli studenti in scuole al di fuori delle aree di residenza. Nove anni dopo il neopresidente ha gestito il passaggio dell’infausto e criticatissimo “Comprehensive Crime Control Act”, la legge responsabile dell’incarcerazione di migliaia di giovani, soprattutto afro-americani, per reati minori.

Sempre in quest’ambito, appare emblematica la scelta di Kamala Harris come vide-presidente. Da procuratore distrettuale di San Francisco la Harris ha innalzato il tasso di condanne dal 52% al 67% in 3 anni; ha difeso la legge californiana che imponeva l’ergastolo alla terza condanna per reati minori. Si è inoltre opposta all’istituzione delle body cam delle forze dell’ordine, e contro la legge che obbligava il suo ufficio a indagare sulle sparatorie mortali della polizia.

Difficile da dimenticare, infine, la grande gaffe di Biden durante le primarie democratiche del 2008, quando riferendosi a Obama aveva dichiarato: “Abbiamo il primo afro-americano che si esprime bene, che è intelligente e pulito e di bell’aspetto. Ragazzi, è da libro delle favole”

Con il movimento Black Lives Matter ancora in fermento nei quartieri e nelle piazze di decine di città americane, la coppia Biden-Harris promette giustizia e legalità in pieno stile far west. Non a caso, poco dopo l’omicidio di Floyd, Biden aveva consigliato ai poliziotti di limitarsi a “sparare alle gambe”.

2) LGBT e diritti delle donne

In un’intervista al “Washingtonian” del 1972, Biden ha spiegato di essere “liberal” in tema di libertà civili e conservatore quanto ad aborto ed esercito. Coerentemente a quanto dichiarato, si è espresso in favore del “Defense of Marriage Act”, che proibiva il riconoscimento federale per le coppie dello stesso sesso.

Kamala Harris e Sheryl Sandberg, direttrice operativa di Facebook

Nel 1973 affermava pubblicamente che i dipendenti federali gay rappresentassero un “rischio per la sicurezza”. Vent’anni dopo (1993), ha votato per bloccare l’immigrazione di persone sieropositive negli Stati Uniti, e a favore del disegno di legge “Don’t Ask Don’t Tell”, (“Non chiedere, non dire”) su cui si basava la politica discriminatoria degli Stati Uniti d’America (tra il 1994 e il 2011) in merito alla questione dell’orientamento sessuale dei membri dell’esercito.

Nel 1994, Biden ha votato per tagliare i finanziamenti federali alle scuole che insegnavano “l’accettazione dell’omosessualità come stile di vita”.

Più recentemente, dopo la nomina a vicepresidente di Obama (2008), ha dichiarato pubblicamente di essere contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Come se non bastasse, nel corso della recente campagna elettorale è stato accusato di violenza sessuale da Tara Reade, un ex membro del suo staff.

3) Politica estera

In quanto a politica estera i trascorsi di Biden sono a dir poco inquietanti. La retorica trumpiana del disimpegno potrebbe addirittura trasformarsi nel suo opposto. Biden incarna l’ideale interventista dell’America come “sceriffo del mondo”. Non stupisce, quindi, la sua dichiarazione di non voler imporre tagli alla spesa militare (750 miliardi di dollari – la più alta del pianeta).

Nel 2001 Biden ha votato a favore della guerra in Afghanistan, affermando: “tutto ciò di cui c’è bisogno, dobbiamo farlo”.

Si è in seguito speso molto nel definire Saddam Hussein una minaccia alla sicurezza nazionale, e nel 2002 ha appoggiato senza esitazioni l’invasione dell’Iraq.

Quando Reagan invase Grenada nel 1983, bombardando un ospedale, Biden disse he ‘did the right thing.’ (ha fatto la cisa guista) Quando poi bombardò la Libia tre anni dopo, uccidendo 36 civili e la figlia quindicenne del dittatore Moammar Gheddafi, Biden disse: “Non c’è alcun dubbio che Gheddafi si dovesse aspettare e si meritasse una risposta forte come questa”

Ancora, quando George H. W. Bush invase Panama nel 1989, per deporre Noriega, il presidente a servizio della CIA poi divenuto troppo indipendente: ci furono migliaia di civili morti e ‘sepolti come cani’ e Biden definì l’azione come “appropriata e necessaria”.

4) Lobbying

Proprio quest’anno Biden, da grande lobbysta delle case farmaceutiche americane, ha votato con i Repubblicani contro l’emendamento di legge che avrebbe permesso di regolamentare negli U.S. la vendita di vaccini e farmaci da parte delle case farmaceutiche in caso di emergenza o pubblica necessità. L’emendamento nasceva con l’intento di rendere un futuro vaccino anti-CoVID economicamente accessibile anche ai Paesi meno sviluppati.

Il presidente della sua campagna alle primarie democratiche, nonché aiutante di punta, Steve Richetti, è un lobbista di lunga data. Questo individuo ha rappresentato personalmente Novartis, Pfizer, Eli Lilly e Sanofi (grandi aziende del farmaco statunitensi), sulle questioni relative ai prezzi e ai brevetti.

Biden ha ricevuto da Big Pharma 5,9 milioni di dollari per la sua campagna elettorale, mentre Trump ne ha raccolti “solo” 1,9 milioni. (fonte: opensecrets.org)

I suoi comitati di raccolta fondi hanno beneficiato di un’ondata di grandi contributi in denaro da parte delle grandi aziende americane (Corporate America) durante il terzo trimestre, raccogliendo 383 milioni di dollari solo a settembre. Secondo il Center for Responsive Politics, l’industria finanziaria ha largamente favorito Biden, spendendo più di 74 milioni di dollari per sostenere la sua candidatura rispetto ai 13 milioni di dollari per Trump.

Nel 2008 il disastro della bolla immobiliare ha colpito la California con particolare violenza. La Harris é stata criticata per non aver perseguito un singolo dirigente di banca, e per aver stipulato un accordo imperfetto e garantista con i gestori di mutui (fraudolenti), lasciando i proprietari delle case in balia dei pignoramenti. La Harris ha perseguito meno casi di frode di pignoramento rispetto ai procuratori di stati più piccoli e con meno vittime.

Nello stesso anno la Harris ha evitato di indagare sulla presunta cattiva condotta della banca nazionale OneWest Best, per poi ricevere (per puro caso) una donazione da Mnuchin, ex CEO di One West. Dal canto suo, anche Biden ha lungamente sponsorizzato una legge che tutela gli interessi di banche e istituti di credito in tema di bancarotta (duramente contestata dalle associazioni dei consumatori).

Sempre la vice-presidentessa, invece che lottare, dall’alto della sua carica, contro i monopoli del Tech, ha deciso di corteggiarli; ricevendo in cambio ingenti finanziamenti da parte della Silicon Valley.

Big Pharma, Silicon Valley, le grandi banche: ecco che in Joe Biden, il capitale a stelle e strisce “has found its guy” (“ha trovato il suo uomo”)

La crisi americana non è frutto del virus SARS-CoV2 né delle politiche trumpiane. Da tempo si preannunciava un imminente collasso economico. L’inversione del tasso di interesse dei titoli USA, il livello di indebitamento da capogiro della Corporate America (10mila miliardi nel 2019, Sole 24 Ore), un indice manifatturiero ai minimi storici già nel 2019 (indice Ism – 09.2019): gli indici economici parlano chiaro. Anche lo spauracchio della Cina e le politiche protezioniste rispecchiano la debolezza dell’economia a stelle e strisce, di cui il predominio tecnologico cinese (5G) è sentore ulteriore.

Gli sconquassi del tessuto sociale statunitense (scioperi selvaggi, cortei chilometrici, rivendicazioni salariali, disprezzo della polizia) sono diretta espressione di un sistema capitalista agonizzante, ormai incapace di garantire diritti e benessere alla maggioranza della popolazione.

La profonda radicalizzazione delle masse rende impensabile una condotta centrista di qualsivoglia natura. Non stupiscono l’entusiasmo e il seguito di cui hanno goduto recentemente la coppia Sanders/Ocasio-Cortez. I sondaggi di quest’anno mostrano che il 77% dei giovani voterebbe per un presidente socialista. Ancora più sorprendente è il fatto che il 30% degli over 65 farebbe lo stesso. Purtroppo la natura anti-democratica del sistema elettorale americano non ha concesso loro questa opportunità.

La nomina a presidente di Biden, vecchio senatore prudente e moderato, garante dello status quo, avrà l’effetto di scontentare tutti. La sua presidenza, oltre a non risolvere alcunché, spianerà la strada al prossimo esecutivo repubblicano (Trump 2.0?).

I lavoratori americani devono al più presto prendere le distanze da questo esecutivo, e lottare in modo indipendente per i propri diritti e per una società più equa. Solo l’abbattimento dell’apparato capitalista americano, le cui contraddizioni interne si fanno più evidenti anno dopo anno e crisi dopo crisi, potrà cambiare realmente le sorti di milioni di lavoratori sfruttati, sfrattati e ridotti sotto la soglia di povertà.

 

 

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