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Argentina – Le masse assediano il governo Macri

Sembrava invincibile Macri, attuale presidente argentino, quando alle elezioni politiche di novembre 2017 incassava il 40% di consensi per il suo partito Cambiemos. La notte della vittoria affermava, con sicumera imbarazzante, che avrebbe realizzato “il sogno condiviso di togliere tutti gli Argentini dalla povertà”; dopo appena un mese lanciava una riforma delle pensioni all’insegna dei tagli. La Reforma Previsional era votata da un parlamento assediato dai manifestanti. La festa della campagna elettorale era già finita sotto le sferzate della lotta di classe: quel sostegno che sembrava solido si scioglie come neve al sole!

La promessa di ridare stabilità all’economia attraverso un piano di austerità e tagli alla spesa sociale si schianta sulle contraddizioni della crisi mondiale, lasciando scontente le masse senza conquistare la fiducia degli investitori: due disastri in un sol colpo. La liberalizzazione dei tassi di cambio e una maggiore indipendenza della banca centrale, i tagli ai sussidi, la riduzione della spesa pensionistica e la riforma fiscale a favore delle aziende, ben lungi dallo stabilizzare l’economia l’hanno posta in condizioni di maggiore precarietà, intaccando il potere di acquisto dei lavoratori, con aumenti esorbitanti per elettricità (+562%), acqua (+338%) e gas (+223%). A guadagnare da queste riforme è stata solo la grande finanza internazionale che assalta le risorse del paese aumentando la dipendenza dal capitale straniero, in particolare quello statunitense, mentre il piccolo commercio resta schiacciato dalla concorrenza mondiale.

Macri e la crisi del capitalismo

Un corteo degli insegnanti

Il “governo del cambiamento” ha esacerbato la natura della crisi, aumentato l’indebitamento (+36% in due anni), con licenziamenti di massa, smantellamento delle politiche pubbliche e di inclusione, e aggravando la precarietà nel settore privato. Il rialzo del dollaro Usa ha fatto crollare il peso (data la totale dipendenza dell’argentina dagli investimenti esteri) e i tassi di interesse sono schizzati a oltre il 60%, aprendo la strada a una situazione simile a quella del default del 2001, quando l’insurrezione rivoluzionaria dell’Argentinazo rovesciò cinque presidenti in tre settimane. Nè le politiche filo Usa del governo in carica né il tentativo del precedente governo a guida Kirchner di sviluppare un capitalismo nazionale indipendente potevano far uscire il paese dalla crisi. L’Argentina può liberarsi dalla stretta imperialista solo rompendo con il mercato capitalista.

Davanti a questa nuova preoccupante crisi (soprannominata la Macrisis) il governo, indebolito dai rimpasti, accelera le riforme strutturali, chiedendo al Fondo monetario internazionale di anticipare il prestito di 50 miliardi di dollari, già previsto con un pagamento rateizzato. Tentando di ottenere queste “concessioni” dal Fmim il ministro dell’interno Dujovne ha annunciato nuove misure per ridurre il deficit: eliminazione di una decina di ministeri, tasse su esportazioni e turismo, congelamento degli sgravi impositivi già approvati, altri tagli a sussidi sociali e opere pubbliche e riduzione di spesa per provincie e comuni. Comunque vada questa trattativa, un ulteriore indebitamento non farà che spostare in avanti il collasso finanziario, ingrossandone ancora di più le potenzialità esplosive:.

Mentre masse di disperati assaltano i supermercati il governo risponde con maggiore repressione, garantendo impunità a polizia e prefetti. Durante una di queste sommosse un giovane di 13 anni, Ismaele Ramìrez è stato ucciso.

Esplode la lotta di classe

Contro gli attacchi governativi negli ultimi mesi è aumentato il protagonismo dei lavoratori e degli studenti: scioperi, manifestazioni, cortei e occupazioni si sono susseguiti. Dopo l’assedio al parlamento di dicembre 2017 contro la riforma pensionistica, 500mila lavoratori sono scesi in piazza il 21 febbraio contro le “riforme di aggiustamento” e il 23 maggio ci sono state proteste di massa contro le ingerenze del Fondo Monetario, mentre il governo avviava le trattative che lo sottomettevano nuovamente ai capricci della finanza. L’8 marzo e il 3 giugno manifestazioni oceaniche protestavano contro i femminicidi, sotto le insegne di Ni una menos. Il 13 giugno il parlamento assediato vota la depenalizzazione dell’aborto, respingendo poi la legge successivamente nell’aula del senato, mentre per le strade adiacenti la rabbia si esprime nella guerriglia tra manifestanti e polizia. Il 25 giugno la Cgt (Confederacìon general del trabajo) il più grande sindacato argentino, deve abbandonare il suo moderatismo e convoca uno sciopero generale letteralmente costretta dalla propria base in rivolta. Ciò che la burocrazia sindacale vede come uno sfogatoio alla rabbia dei lavoratori, per loro è un punto di svolta nella lotta: un inizio, non una fine!

Le mobilitazioni si rilanciano. Protestano gli impiegati di Buenos Aires e si mobilita il settore dell’istruzione, con uno sciopero di 72 ore che coinvolge studenti e lavoratori con diverse scuole occupate.

Nel tentativo di contenere la lotta dilatandone i tempi le confederazioni sindacali (Cta e Cgt) hanno convocato due scioperi generali separati, per il 24 e per il 25 settembre. Uno dei limiti principali alle lotte è rappresentato dalla burocrazia sindacale e dai dirigenti riformisti, che cercano di disinnescare la rabbia rendendola innocua e piegandola ai loro interessi di bottega, senza darle una prospettiva e dividendo il fronte. Proprio per questo i marxisti argentini insistono affinché i lavoratori si organizzino in comitati di lotta sui luoghi di lavoro, per la convocazione di un’assemblea plenaria che rediga un piano di mobilitazione unitario, che punti alla caduta del governo.

Un cambiamento reale può venire solo con una lotta che rompa con le compatibilità di questo sistema economico, attuando un piano di nazionalizzazione e pianificazione dell’economia negli interessi delle masse, rompendo con la dipendenza dal capitale straniero, rifiutando lo strozzinaggio del debito estero denunciando la sua natura criminale. Come hanno dimostrato numerosi casi negli ultimi anni, a partire da quelli venezuelano e greco, non è possibile intraprendere una politica indipendente a favore della collettività senza iniziare uno scontro aperto con il capitale.

In Argentina, così come nel resto del mondo, l’unico governo del cambiamento è il governo dei lavoratori!

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