Algeria: L’ «Hirak» rifiuta la farsa elettorale
Da quasi dieci mesi, la mobilitazione rivoluzionaria del popolo algerino, l’Hirak (il movimento), non arretra di un passo. Ne è la prova il massiccio boicottaggio di massa delle elezioni presidenziali del 12 dicembre scorso.
Una democrazia di facciata
Queste elezioni avevano lo scopo di dare una parvenza di legittimità “democratica” al governo dei generali che si è instaurato nel paese dopo il rovesciamento del regime ventennale dell’ex presidente Bouteflika. I militari speravano che le elezioni aprissero una fase di riflusso della mobilitazione popolare che aveva abbattuto il vecchio governo. Il 12 dicembre rappresentava un momento importante per lo stesso Hirak. Dopo dieci mesi di lotte e repressione, non c’era alcuna garanzia di una partecipazione alle mobilitazioni numerosa al pari degli appuntamenti precedenti. Ma fin dall’inizio, lo sciopero generale iniziato l’8 dicembre ha ricordato a tutti la potenza del movimento. Diverse città della Kabylia sono state completamente bloccate, cosi come molte fabbriche e negozi. Ci sono state grandi manifestazioni ad Orano, Costantina e, naturalmente ad Algeri. Gli studenti universitari e quelli delle scuole superiori hanno svolto un ruolo fondamentale in queste manifestazioni. In alcune città il movimento è stato così forte che i comitati di sciopero hanno potuto stabilire una sorta di “servizio minimo”, per consentire l’approvvigionamento di beni primari da parte della popolazione, ad esempio consentendo la vendita di prodotti alimentari a determinate condizioni.
Le elezioni stesse sono state una farsa fin dall’inizio. Il governo aveva cercato di organizzarle già questa estate, ma aveva dovuto rinunciare vista la ferma opposizione delle masse. Dopo la caduta del presidente Bouteflika, le elezioni dovevano essere la prova della “democratizzazione” del paese. Ma la selezione dei candidati da parte dei vertici militari ha mostrato esattamente il contrario. Coloro che erano ammessi a presentarsi alle elezioni erano tutti quadri di alto rango del governo antidemocratico di Bouteflika, molti dei quali ex ministri e, tra questi, uno dei protagonisti della dura repressione delle masse algerine nel 2001. Lungi dal segnare qualsiasi tipo di rinnovamento, essi incarnavano tutto ciò che il popolo odiava del regime. La Piattaforma di Azione Democratica (PAD) – una coalizione di partiti di sinistra e liberali – ha emesso un comunicato l’8 dicembre denunciando la «farsa elettorale», ma senza proporre altre forme di azione o di rivendicazione rispetto a quelle già proposte dalla base del movimento. Questa coalizione, che comprende i due partiti “trotskisti” algerini (il PT e il PST), non guida il movimento. Al contrario, ci sembra si adatti al movimento in modo molto opportunistico. I leader della sinistra ripetono frasi vuote sullo «Stato di diritto» e sulla «indipendenza della magistratura», ma senza sviluppare sistematicamente un programma rivoluzionario – cioè di rottura con il capitalismo – sulle questioni economiche e sociali.
Un boicottaggio di massa
Il 12 dicembre non c’è stato solo un boicottaggio di massa delle elezioni, ma anche una serie di grandi manifestazioni, nonostante il divieto ufficiale di scendere in strada durante il periodo previsto per il voto. A Tizi Ouzou, i dimostranti hanno guidato un vero e proprio blocco dei seggi elettorali. Ad Algeri le manifestazioni sono state così grandi che in diversi luoghi i dimostranti sono riusciti a rompere i cordoni di polizia che volevano impedire il ricongiungimento di diversi cortei che stavano bloccando la città. Per tutto il giorno, la propaganda ufficiale ha cercato di far credere alla popolazione che le elezioni si stavano svolgendo normalmente. Ad esempio, è stato denunciato come fossero stati inviati soldati vestiti in abiti civili per allestire false code davanti ai seggi elettorali. Ma la realtà era talmente evidente che il regime stesso ha dovuto rendere pubblica una cifra di affluenza cosi bassa da costituire un record storico: il 39,3%. Questo numero rappresenta il 10% in meno di affluenza rispetto alle ultime elezioni del 2014. E ancora una volta, si tratta di cifre ufficiali. Viste le macchinazioni del governo si può legittimamente sospettare che l’affluenza effettiva sia stata molto più bassa, per non parlare di tutti coloro che sono stati costretti a recarsi alle urne contro la loro volontà dai militari.
E adesso?
Il 12 dicembre, l’Hirak ha dato una grande dimostrazione di forza. Il vincitore ufficiale delle elezioni, il vecchio politico Abdelmadjid Tebboune, più volte membro del governo ed anche primo ministro sotto il regime di Bouteflika, non ha alcuna legittimità agli occhi delle masse rivoluzionarie. Questa mobilitazione ha sollevato ancora una volta la questione del potere. La cricca di generali non può più guidare il Paese come prima, e si è addirittura trovata priva della sua leadership storica con la morte del vecchio capo di stato maggiore Gaïd Salah alla fine di dicembre. Tuttavia, i militari controllano ancora tutte le leve del potere statale. Da parte sua, l’Hirak è sostenuto dalla maggioranza della popolazione, ma per il momento non è riuscito a rovesciare il regime. Inizialmente il movimento si basava semplicemente sulla spontaneità delle masse, ma nelle ultime settimane ha dimostrato la tendenza ad organizzarsi in maniera sempre più strutturata. In particolare, si sono formati dei comitati con lo scopo di organizzare le mobilitazioni in diverse fabbriche, università e quartieri. È necessario continuare su questa strada per cacciare i generali. I comitati devono coordinarsi a livello locale, regionale e, infine, a livello nazionale, con l’elezione di delegati che sostengano le istanze dei loro comitati e che siano revocabili in ogni momento. Combinando questa forma di organizzazione con un nuovo sciopero generale, il movimento non solo potrebbe paralizzare il paese, ma potrebbe anche opporre il proprio potere al regime dei generali, sostenuto dall’appoggio dei lavoratori e dei poveri. Solo tale potere può soddisfare le rivendicazioni democratiche del movimento, ma anche porre fine alla crescente povertà e al saccheggio del paese da parte delle potenze imperialiste.
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