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100mila morti, un anno di pandemia – Affossano la scuola, falliscono sui vaccini, salvano solo il profitto

L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

Sono bastate poche settimane e il “governo dei migliori” si è ritrovato esattamente allo stesso punto dove era arrivato Conte.

I ministri del nuovo governo erano partiti con frasi bellissime, a dire il vero: “La scuola deve essere l’ultima a chiudere” (Bianchi). “Piano per riaprire i musei il 27 marzo” (Franceschini). La terza ondata, ampiamente prevedibile e prevista, ha sgonfiato come un palloncino tutti i proclami di “ripartenza” e di “cambio di passo” e nel giro di pochi giorni l’Italia si trova quasi interamente rinchiusa. Non manca neppure il ritorno dell’immancabile Dpcm.

Draghi va anzi più in là di Conte e chiude anche le scuole dell’infanzia e persino i nidi. Il 90 per cento degli studenti italiani ripiomba in una dad fallimentare, esasperante e profondamente ingiusta, mentre i genitori hanno le mani nei capelli.

La soluzione della ministra Bonetti? Chi ha figli a casa ha “diritto” allo smartworking, dando così la sanzione ufficiale all’immagine del genitore (più spesso la madre) con un occhio sullo schermo del telelavoro e l’altro su un figlio che cerca di seguire la lezione a distanza. Se il telelavoro non è possibile, arriveranno (dopo) i congedi parentali retribuiti al 50 per cento. Se i figli hanno più di 14 anni il congedo non è retribuito.

Diciamolo chiaro: nelle condizioni attuali, dad più smartworking significa l’inferno per i genitori e la galera per i figli.

La scuola affossata, la libertà di movimento (anche quella più innocua) proibita, ma una cosa è sacra e intoccabile. Produzione e profitti non devono fermarsi a nessun costo. Si deve solo lavorare e tacere.

Avevano fatto da battistrada i governatori di Emilia Romagna e Lombardia, passati in pochi giorni dalle richieste di nuove riaperture (il turismo invernale, i ristoranti la sera…) a improvvisare dalla sera alla mattina nuovi blocchi e chiusure con la zona “arancione scuro”: a casa tutti, anche i bambini delle materne. Ci sono state famiglie che hanno saputo al pomeriggio tardi che la mattina seguente avrebbero avuto i figli chiusi in casa.

Ma nelle aziende non cambia nulla. Poco importa che in Emilia si segnalassero centinaia di focolai nelle fabbriche, magazzini e altri luoghi di lavoro. Come ha sfacciatamente scritto Repubblica, “a ben guardare il partito del Pil è riuscito a sconfiggere il lockdown, a differenza dei servizi duramente penalizzati dalle chiusure, per una serie di motivi contingenti e strutturali ce l’ha fatta.
Il partito del Pil, o più esattamente il partito del profitto.

Nonostante il crollo del 2020, infatti, molti settori industriali sono tornati a produrre, in alcuni casi freneticamente, per recuperare la produzione persa all’inizio della pandemia. A dicembre gli ordinativi del manifatturiero segnavano un +7 per cento.

Per non parlare di quei settori come il commercio online, letteralmente esploso.

E i media, pronti a parlare addirittura della “pista anarchica” (copyright del Corriere della sera) per qualche intemperanza dei giovani in un sabato pomeriggio di sole, non dicono una parola, non fanno inchieste sulle centinaia di focolai nel mondo del lavoro.
Del resto se, nonostante le varianti colpiscano maggiormente i giovani, ancora oggi le fasce di gran lunga più colpite sono quelle di adulti in età lavorativa, dove diavolo mai lo prenderanno questo virus?

Si sono viste, letteralmente, pattuglie di vigili intervenire per impedire a dei bambini di giocare ai giardinetti sotto casa. Ma nei capannoni, nelle officine, negli uffici, non si vede l’ombra di una divisa per verificare le condizioni reali di sicurezza sanitaria.

Anzi si vedono: quando ci sono scioperi e proteste, allora la mano pubblica interviene e spesso l’emergenza sanitaria è il pretesto per multe salate (è stato fatto contro i riders), quando non si passa direttamente alle manganellate e ai fermi, come accaduto ancora a Piacenza e Prato.

Come già Conte, anche Draghi parla dell’“ultimo sforzo”: chiudiamo fino a Pasqua, poi il vaccino ci tirerà tutti fuori dai guai.

Ma la campagna vaccinale è chiaramente imballata e non basta licenziare Arcuri e mettere un generale per cambiare le cose. Mentre scriviamo i dati sono i seguenti: 3,19% della popolazione vaccinato con due dosi; termine del piano, con l’attuale ritmo: maggio 2022. Per terminare entro settembre 2021 bisognerebbe più che raddoppiare il ritmo giornaliero: oltre alle parole del generale, che promette 500mila vaccinazioni al giorno, cosa pensano di mettere in campo?

Dobbiamo poi ribadire che il vaccino di per sé non necessariamente sarà risolutivo.
Per via delle varianti, il cui pericolo aumenta quanto più è lento il piano vaccinale; per il fatto che gli attuali vaccini non impediscono la reinfezione, sia pure in forme quasi sempre lievi; per il fatto che in una pandemia planetaria, il fatto che la maggior parte dei paesi del mondo non vedrà il vaccino per ancora un paio d’anni implica necessariamente una circolazione del virus anche nei paesi “immunizzati”, che saranno quindi costretti a mantenere misure restrittive di varia natura.

La pretesa di Confindustria di vaccinare prioritariamente nelle aziende, pretesa alla quale la Regione Lombardia ha già dato disponibilità e potrebbe farlo anche il governo nazionale, da un lato dimostra come per i padroni la salute sia solo una funzione del profitto e della produttività, dall’altro non farà che indebolire ancora di più il piano vaccinale, già oggi minato dalla confusione, abusi, contraddizioni, oltre che dal numero insufficiente di dosi.

Ma se questo è un incubo per le popolazioni, non lo è per le case farmaceutiche, che vedono aprirsi la prospettiva di un mercato permanente e sicuro, coperto da denaro pubblico.

Il segreto che copre non solo i brevetti, ma anche buona parte dei dati sull’effettiva efficacia e sicurezza dei vaccini, è la dimostrazione più lampante del marciume e del parassitismo di questo sistema economico, che neppure di fronte a un pericolo globale come il Covid è disposto a rinunciare al profitto. E se qualcuno ancora non l’avesse capito, ci ha pensato il Wto a ribadirlo proprio in questi giorni: i brevetti sui vaccini non si toccano, e tanto peggio per quei paesi che non hanno le risorse per comprare ai prezzi stabiliti dalle aziende: si mettano in coda e facciano il favore di crepare in silenzio.

È un sistema marcio, con alla testa un governo altrettanto marcio. Tutti i sacri pilastri del capitalismo si dimostrano non solo fallimentari, ma letteralmente disumani, di fronte alla pandemia. I confini nazionali, che non hanno certo fermato il contagio, ma impediscono una pianificazione internazionale della risposta, della ricerca medica, dei piani vaccinali e sanitari. La proprietà privata, che difende il profitto delle case farmaceutiche a scapito della vita e della salute di miliardi di persone. Il libero mercato, che fa sì che la produzione del vaccino sia misurata non sul bisogno, ma sulla profittabilità degli impianti. Il predominio del privato, che ha minato i sistemi sanitari pubblici indebolendo strumenti fondamentali per trattare una pandemia quali la medicina di base e territoriale, la prevenzione e il tracciamento sistematico, lo studio di cure che non fossero la sola ospedalizzazione dei casi gravi (che spesso lo diventano proprio perché non trattati tempestivamente).

È gravissimo che la Cgil, principale organizzazione sindacale, avalli tutto questo con un immobilismo indecoroso, aggrappandosi alla giacchetta di Draghi e dei suoi ministri e rinunciando a qualsiasi seria battaglia per la salute e i diritti dei lavoratori, e anzi subendo in silenzio le restrizioni aperte o striscianti all’attività sindacale (diritto di assemblea, agibilità dei delegati, ecc.) che molte aziende fanno passare con la scusa dell’emergenza.

È necessario invece mobilitare i lavoratori, pretendere un piano vaccinale credibile, un sostegno adeguato per i lavoratori, per le famiglie, e soprattutto bisogna rompere il tabù: di fronte ai focolai nelle aziende, vanno fermate le produzioni non essenziali. Laddove si manifesta il contagio si devono fermare i reparti e se necessario gli stabilimenti, testare il personale e non riaprire fintanto che il contagio non sia stato tracciato e circoscritto.
Se deve essere zona rossa, questa non può fermarsi ai cancelli delle fabbriche.

Che in mezzo a questa tempesta il Pd debba cercare un nuovo segretario, che Salvini si sia scoperto improvvisamente europeista, che Di Maio e Di Battista non siano più amici, che Conte studi da leader politico, sinceramente sono cose che contano giusto quel tanto.

L’unità nazionale delle forze politiche attorno al governo, l’assordante coro mediatico in sostegno di Draghi, la diserzione del gruppo dirigente della Cgil fanno sì che l’enorme rabbia accumulata nella società non trovi modo di esprimersi.

Ma niente va perso e nella coscienza di massa le lezioni di questo anno di pandemia e crisi sociale sono incise in modo indelebile. Milioni di lavoratori, di giovani, di donne, hanno visto con chiarezza senza precedenti il vero volto di questa società e di chi la governa. Hanno visto gli inganni, l’ipocrisia, l’avidità senza scrupoli, l’incompetenza, e non dimenticano niente. È solo questione di tempo perché la frustrazione e la rabbia che hanno accumulato emergano in modo esplosivo in grandi movimenti di lotta. Lavorare per questa prospettiva ed essere presenti in prima fila è l’unica scelta politica che oggi valga la pena di fare, ed è la nostra.

13 marzo 2021

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