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A Crotone, una strage di Stato

La strage di migranti avvenuta al largo delle coste crotonesi ricorda quella che si ebbe nel 2013 sulla costa di Lampedusa. Anche oggi, come allora, si temono oltre 100 morti, mentre ancora in questi giorni proseguono le operazioni di recupero dei corpi in mare e sulle spiagge.

Ma c’è un altro motivo che lega queste due tragedie: oggi come allora l’accadimento è il prodotto diretto di una legge dello Stato italiano. Se infatti nel 2013 il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina introdotto dal governo di destra nel 2009 e confermato dal governo di unità nazionale guidato dal Pd di Enrico Letta, scoraggiava i soccorsi in mare, così oggi le forti limitazioni imposte alle attività di soccorso delle ONG, che prevedono dalla multa e dal fermo amministrativo fino alla confisca dell’imbarcazione, hanno trasformato in un crimine un elementare gesto di umanità: soccorrere donne, bambini e uomini naufraghi.

La Meloni si dice “colpita nel profondo”. A noi colpisce la sua faccia di bronzo. La proposta lanciata a più riprese dalla Meloni dal 2017 al 2021 di affondare le navi dei migranti a cannonate, ha trovato una sua applicazione più moderata e pacificamente borghese, ma ugualmente efficace, nel lasciarle semplicemente colare a picco, senza operazioni di salvataggio. D’altro canto è già emerso come un aereo dell’agenzia europea Frontex avesse allertato la Guardia Costiera, di cui è competente il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini, della presenza del barcone a quaranta miglia dalla costa. In quel momento il mare era a forza 7, una condizione definita dai meteorologi come “burrasca”. Ma per la Guardia Costiera non si rilevava alcuna situazione di pericolo… Sono dunque stati negati soccorsi aerei e navali e Piantedosi, ministro dell’Interno, di concerto con tutto il Governo si è limitato ad approvare unicamente un operazione che prevedeva un pattugliamento di polizia. Repressione invece che soccorsi! Una circostanza che neppure i giornali borghesi sono riusciti ad occultare al punto che persino La Stampa ha titolato: “Una strage di Stato”.

Cambiano i governi, la politica è la stessa

Negli ultimi dieci anni, secondo stime probabilmente al ribasso, perché nessuno sa davvero con certezza quanti naufragi siano avvenuti nelle acque del Mediterraneo, sono morte circa ventiseimila persone provando ad attraversare il mare, dirette soprattutto verso le isole greche, l’Italia ed in parte la Spagna. Piantedosi, con cialtroneria e crudeltà, ha dichiarato che “la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”, indicando quindi una buona soluzione al problema nella possibilità di impedire a questi genitori di partire con i loro bambini dalle loro terre.

D’altra parte, tutti i governi italiani degli ultimi anni, che fossero di destra, del Partito democratico o dei Cinque Stelle hanno già provato a farlo in diversi modi. Nel 2017, ad esempio, il governo di centrosinistra di Gentiloni formalizzò un accordo tra Italia e Libia che, per arginare e bloccare le partenze, prevede attività di supporto tecnico alla Guardia Costiera libica e, soprattutto, lo stanziamento di un fondo per la costruzione e il mantenimento di centri in cui i migranti vengono arbitrariamente detenuti e sottoposti a stupri, torture e violenze. Accordi politici tra i due Stati peraltro già esistenti fin dai tempi dei buoni rapporti tra Berlusconi e il dittatore libico Gheddafi. Nonostante le denunce contenute in diversi rapporti di Amnesty International ed altre organizzazioni internazionali, lo scorso anno il governo Draghi ha prorogato tali accordi, senza minimamente rivedere neppure i dettagli più scabrosi di quella intesa. Secondo i dati forniti da Oxfam, dal 2017 80mila persone sono state rinchiuse in questi centri, di questi sono circa 20mila quelli di cui si sono perse le tracce, e quasi 1 miliardo di euro è stata la cifra chiesta ai lavoratori italiani per finanziare questi lager. Una cifra da tenere a mente insieme ai 6 miliardi di euro regalati dall’Unione Europea al tiranno turco Erdogan per le stesse motivazioni. Eppure, nonostante questi sforzi, i viaggi disperati non si arrestano, né diminuiscono.

Siria, Afghanistan, Iraq e Iran sono i paesi di provenienza dei naufraghi di Cutro, terre che nell’ultimo ventennio l’imperialismo, anche europeo, ha contribuito a far sprofondare nell’abisso della guerra, del fondamentalismo religioso e dei regimi dittatoriali. Pensare che le persone non siano disposte ad affrontare qualsiasi pericolo per fuggire da questi “inferni in terra” è indicatore di quale moralismo perbenista ed ipocrita siano capaci i politici borghesi.

Quale alternativa

L’unico modo per azzerare questi viaggi e stroncare la mafia degli scafisti sarebbe quello di aprire le frontiere e garantire corridoi umanitari e viaggi legali, possibilità di visto e di ingresso regolare per tutti. Una soluzione radicale che non è alla portata del sistema capitalista che necessita della figura del lavoratore migrante “irregolare” sul cui sfruttamento si fondano interi settori dell’economia italiana. In agricoltura la maggior parte delle stime parlano di circa 345mila migranti privi di documenti, schiavi del caporale per paghe che spesso non garantiscono neanche la più basilare sopravvivenza in ghetti dalle condizioni igieniche e sociali letteralmente bestiali, come a San Ferdinando in Calabria o nella Capitanata foggiana. Nel settore dei lavori domestici, sono invece circa 200mila i lavoratori senza regolare permesso di soggiorno. Stiamo quindi parlando di un “esercito di riserva” che serve alla borghesia italiana anche per continuare a giocare una concorrenza salariale spietata che spinge le retribuzioni dei lavoratori italiani, specie del settore più povero, sempre più in basso.

Per questo motivo, e non solo per le sacrosante ragioni umanitarie che hanno scosso le nostre coscienze in questi giorni, l’abolizione di tutte le leggi razziste sull’immigrazione e del reato di immigrazione clandestina, il ripristino della libertà di circolazione e il permesso di soggiorno per tutti sono battaglie che devono essere al centro delle lotte dei lavoratori e dei giovani.

 

 

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