A cinquant’anni dalla morte di Che Guevara
Cinquant’anni fa, il 9 ottobre 1967, Ernesto “Che” Guevara veniva giustiziato sommariamente con un colpo al cuore a La Higueras, in Bolivia, da un capitano dell’unità di Rangers dell’esercito che lo aveva catturato il giorno prima.
In questi giorni assistiamo a un diluvio di servizi televisivi e giornalistici, mostre e rassegne sulla sua figura. In alcuni casi sono organizzate da militanti e da giovani che in maniera sincera e onesta vogliono ricordare il Che come quello che veramente era, un rivoluzionario.
Il ricordo di Guevara su Tv, siti web e quotidiani della grande borghesia è invece quasi sempre intriso intriso di ipocrisia e di una retorica nauseante. Piace, a questi giornalisti prezzolati dalle classi dominanti, dipingere il Che come un eroe romantico, un Don Chisciotte del Ventesimo secolo che inseguiva un sogno utopico. É giusto inseguire i propri sogni quando si è giovani, ci raccontano, e quindi è naturale che un ragazzo indossi una maglietta con l’immagine del Che. Poi si diventa grandi e dunque pragmatici. Il mondo si sa, non si può mica rivoltare come un calzino…
Per noi invece l’obiettivo primario di Guevara, quello di lottare per un mondo più giusto, per un mondo socialista, non ha perso nulla della sua validità. È oggi più attuale che mai.
In America latina e in Africa, i due continenti dove il Che sviluppò il suo impegno rivoluzionario possiamo vedere attualmente, nel realismo del sistema capitalista, disuguaglianze e sfruttamento infinitamente maggiori rispetto a cinquant’anni fa.
I tentativi delle socialdemocrazie e degli stalinisti di ieri e di oggi di riformare il capitalismo si sono infranti, infatti, contro l’indisponibilità di questo sistema di essere “riformato”.
Nel primo decennio di questo secolo, sulla base di imponenti mobilitazioni rivoluzionarie di massa, governi progressisti e di sinistra sono arrivati al governo in diversi paesi dell’America latina, dalla Bolivia all’Ecuador passando per l’Argentina e il Brasile fino all’esperienza della rivoluzione bolivariana in Venezuela. In misura minore o maggiore, tutti questi governi hanno cercato di individuare una borghesia nazionale anti-imperialista assieme alla quale “modernizzare” l’economia dei loro rispettivi paesi. Tutti hanno fallito e in alcuni casi hanno aperto la strada a governi di destra, seminando disillusione e scoramento tra le masse di giovani e lavoratori che avevano dato loro fiducia. Non hanno mai letto, o se le hanno fatto non le hanno comprese, le parole del Che, quando spiegava che “le borghesie nazionali hanno perso ogni capacità di opporsi all’imperialismo”. E che non potevano esistere tappe intermedie verso l’emancipazione delle classi oppresse, ma che l’alternativa ormai era tra “rivoluzione socialista o caricatura di rivoluzione”. E’ un monito valido anche per coloro che cercano a tutt’oggi “campi” alternativi all’imperialismo di Washington…
Il Che inoltre era un sincero internazionalista e il suo internazionalismo non aveva nulla di romantico. Gli ultimi anni della sua vita furono dedicati all’esportazione della rivoluzione cubana, alla creazione di quei “due, tre, cento Vietnam” che avrebbero fatto uscire l’isola caraibica dall’accerchiamento prodotto dagli Stati uniti. Il Che cercò di accendere quella scintilla che avrebbe potuto infiammare tutto il continente. Commise alcuni errori sul “come” accendere tale scintilla, come spieghiamo nell’articolo “Note sul pensiero del Che” , ma nessuno può mettere in dubbio che il suo intento era totalmente corretto. L’unico modo per salvare la rivoluzione cubana era estenderla al continente latinoamericano.
Non dimentichiamoci che il pensiero del Che si sviluppò in un periodo, quello degli anni cinquanta e sessanta, in cui le idee del vero marxismo era molto deboli e l’influenza dello stalinismo a livello mondiale era enorme. Guevara prima cercò di applicare i dettami provenienti dalla burocrazia dell’Unione sovietica e, in seguito, sperimentata la loro inefficacia, cercò altre strade, criticando apertamente l’operato della burocrazia stalinista.
In questa lotta irreconciliabile per l’abbattimento del capitalismo Che Guevara sacrificò la sua vita. Questo suo sacrificio è un esempio per tutti noi.
Non è dunque difficile comprendere perchè il pensiero del Che sia scomodo, non solo per la borghesia, ma anche per i dirigenti riformisti e stalinisti di ieri e di oggi. Ed è per questo che cercano di renderlo innocuo di deriderlo o di mummificarlo, confinandolo sulle tazze da te e sui cappellini.
Riteniamo dunque del tutto appropriate per Ernesto Che Guevara le parole che Lenin scrisse a a proposito di Marx, in Stato e rivoluzione: “Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con incessanti persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a “consolazione” e mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce.”
Il pensiero e la vita di Che Guevara e la storia della rivoluzione cubana devono essere studiati. Per essere ispirati dal suo esempio, ma anche per imparare dai suoi errori e per non ripeterli. È la ragione per cui in questo anniversario invitiamo alla lettura di alcuni nostri articoli, pubblicati nel passato:
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