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5 Stelle a picco, Salvini cavalca l’onda

Le elezioni europee hanno rappresentato una disfatta clamorosa per il Movimento 5 Stelle, che ha perso oltre 6 milioni di voti rispetto alle elezioni politiche del 2018. La ragione di questo disastro è riassumibile in una sola parola: delusione. Un anno fa milioni di lavoratori, giovani, disoccupati e precari, soprattutto nel Sud Italia, avevano dato il loro voto ai 5 Stelle nella speranza di risolvere i loro problemi concreti con un cambiamento radicale rispetto alle politiche di Renzi.

Le aspettative erano enormi a livello di massa, ma proprio per questo la delusione è stata ancora più grande. Ai proclami sul “governo del cambiamento” e “l’abolizione della povertà”, è ben presto subentrata l’amara realtà di un governo egemonizzato in tutto e per tutto dalla Lega. Mentre le politiche repressive e anti-immigrati di Salvini venivano rapidamente messe in pratica, su tutto il resto – dalla vicenda Autostrade-Benetton, a quella delle domeniche di riposo per i lavoratori del commercio, fino ai temi ambientali – gli annunci roboanti dei 5 Stelle finivano in niente. Anche lo scarso successo del reddito di cittadinanza ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza nel risolvere, anche solo parzialmente, sia il problema della disoccupazione che quello dei bassi salari.

La delusione si misura anche nell’affluenza ferma al 56,1 per cento, ben al di sotto delle politiche (72,5 per cento) e anche delle europee del 2014, nonostante il traino del voto amministrativo.

Salvini in posizione di forza

La Lega ha invece fatto il pieno, raccogliendo quasi tre milioni e mezzo di voti in più rispetto alle politiche, e Salvini è uscito dalle urne come il vero trionfatore. La sua posizione di forza è ora tale che può dettare le condizioni ai suoi frastornati alleati di governo: flat tax, Tav, nuovi condoni fiscali e mano libera sugli appalti, decreto bis sulla sicurezza, autonomia differenziata… sono altrettanti schiaffi ai 5 Stelle, oltre alla probabile richiesta della testa di qualche ministro.

Forza Italia esce ancora più ridimensionata da queste europee, perdendo più di 2.200.000 voti rispetto all’anno scorso, e soprattutto è profondamente spaccata al suo interno, con buona parte del partito – il governatore della Liguria Toti in testa – pronta a passare sul carro leghista. La Lega ha peraltro risucchiato anche i (pochi) voti delle formazioni fasciste (Casa Pound prende lo 0,3% e Forza Nuova lo 0,1%), che non hanno niente da aggiungere all’armamentario reazionario del ministro degli Interni e sono anzi sempre più subalterne nei suoi confronti.

Sulla base di questi risultati, Salvini potrebbe persino puntare a vincere eventuali elezioni anticipate alleandosi solo con Fratelli d’Italia, senza nemmeno prendersi il disturbo di trattare con Berlusconi.

Il voto del Pd

Per quanto riguarda il Pd, Zingaretti può festeggiare per il sorpasso sui 5 Stelle, ma la ripresa del suo partito va posta nelle giuste proporzioni. Il Pd in termini assoluti non cresce, subisce anzi una leggera flessione perdendo circa 110.000 voti rispetto al 2018, nonostante in questa tornata potesse avvantaggiarsi dell’assenza di Liberi e Uguali. La sua percentuale tuttavia migliora dal 18 al 22, grazie all’astensione più alta rispetto alle politiche, e risalta soprattutto per il contestuale tracollo dei 5 Stelle. Questi risultati, accompagnati a quelli favorevoli nelle amministrative, dimostrano come il Pd abbia beneficiato – e beneficerà ulteriormente in futuro – del fatto di essere visto come la principale forza di opposizione a Salvini.

Se il Pd, nonostante l’eredità disastrosa di Renzi, può ancora giocare questo ruolo, è per la mancanza di alternative credibili alla sua sinistra. In questo campo si registra il puntuale fiasco annunciato dell’ennesima lista della cosiddetta “sinistra radicale” (ma che di “radicale” ha ben poco). “La Sinistra” di Fratoianni non raggiunge nemmeno la metà del quorum necessario, in buona sostanza perché presentava tutti i difetti dei vecchi esperimenti a sinistra e anche qualcuno in più: riciclo del vecchio personale politico, reduce di mille sconfitte e privo di qualsiasi credibilità; “europeismo” di sinistra fuori tempo massimo; incapacità organica di connettersi ai processi reali di mobilitazione, dal movimento per il clima alle manifestazioni anti-Salvini…

I problemi cominciano ora

Il successo di Salvini deve però essere interpretato tenendo conto degli avvenimenti politici degli ultimi anni, se non vogliamo cadere nelle litanie della sinistra lamentosa sul prossimo “ventennio salviniano”. Alle europee del 2014 Renzi aveva ottenuto una vittoria ancora più netta superando il 40%. Renzi appariva invincibile; eppure solo due anni dopo prendeva una batosta irreparabile nel referendum costituzionale del 2016. Di Maio ha dilapidato i suoi consensi in un lasso di tempo ancora più breve.

Colpite da una crisi sociale crescente e di cui non si vede la fine, le masse esasperate mettono alla prova leader e partiti uno dopo l’altro. Tanto rapidamente li portano in alto e altrettanto rapidamente se ne sbarazzano.

Questo accadrà anche a Salvini. La sua demagogia razzista, se pure ha indubbiamente attecchito in vasti settori popolari, non può comunque funzionare all’infinito. I lavoratori che tirano avanti con salari sempre più magri, i giovani che non hanno alcuna prospettiva per il futuro, tutti quelli che hanno perso il posto di lavoro, a lungo andare non possono certo accontentarsi di veder chiudere i porti e basta.

Da questo punto di vista i problemi per Salvini cominciano proprio adesso, a partire dall’Unione Europea. Nonostante tutte le sue sparate sulla “nuova Europa”, la verità è che, dopo queste elezioni, le istituzioni europee rimarranno saldamente nelle mani dei suoi principali avversari politici, che non gli faranno la benché minima concessione né sul piano del debito né su quello dell’immigrazione.

Il principale risultato delle elezioni non consiste quindi nel temporaneo trionfo di Salvini, ma nella ben più profonda crisi delle illusioni elettoralistiche che avevano prodotto il risultato delle scorse elezioni politiche. La vittoria oggi di un leader reazionario in marcato delirio di onnipotenza che pensa di risolvere tutti i problemi con il manganello, che dovrà dare risposte in un contesto di crisi economica, di conflitti internazionali e profonda delusione delle masse: non è la ricetta per la pace sociale, ma per il rapido sviluppo movimenti esplosivi da parte delle masse, che cambieranno completamente lo scenario politico esistente.

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