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2015, la tempesta si prepara

Mentre salutavano ballando l’anno vecchio e accoglievano il nuovo, come al solito, con abbondanti quantità di ottimo champagne, i borghesi da New York a Londra devono aver sentito un bagliore soddisfacente di fiducia.

Sette anni dopo il crollo del 2008, non sono forse ancora saldamente al comando? I timori che avevano in precedenza che la crisi dovesse portare a una qualche terribile apocalisse sociale e politica si sono dissipati. Il capitalismo è vivo e vegeto. I profitti scorrono liberamente e i ricchi sono sempre più ricchi. In breve, tutto va per il meglio nel migliore dei mondi capitalisti.

Tutto questo ricorda l’ambiente di falsa fiducia che doveva esistere nella sala da ballo del Titanic giusto poco prima che qualcuno sul ponte notasse il profilo in lontananza di un iceberg. Alzando lo sguardo sopra questo allegro carnevale di arricchimento sfrenato, chi ha gli occhi per vedere può già scorgere addensarsi le nuvole della tempesta. Dodici mesi fa gli economisti avevano previsto che il 2014 sarebbe stato l’anno della ripresa. Un anno dopo nessuno sostiene seriamente questa vana illusione. L’economia mondiale è se va bene stagnante e sempre più economisti prevedono una nuova recessione.

Il marxismo spiega che in ultima analisi la vitalità di un sistema socio-economico è determinato a dalla sua capacità di sviluppare le forze produttive. Questa è la ragione principale di questa crisi. La società borghese si trova in un vicolo cieco dal quale non c’è via d’uscita. Gli economisti borghesi non capiscono la crisi e non hanno una soluzione. Si tratta di un caso in cui un cieco dovrebbe guidare un altro cieco.

La crisi del 2008 è stato un punto di svolta storico. Prima della crisi economisti e politici erano tutti d’accordo che lo stato non dovesse giocare nessun ruolo nell’economia. Ma da allora tutte le grandi banche hanno fatto affidamento allo stato per sopravvivere. La generosità dei governi verso le banche è coincisa con un’austerità feroce verso il resto della popolazione. Improvvisamente non ci sono soldi per le scuole, gli ospedali, i poveri, le pensioni, le borse di studio. Ma per i ricchi parassiti soldi a palate.

Questa generosità senza precedenti per i banchieri, avrebbe dovuto stimolare il credito e dunque la ripresa economica. Ma i miliardi di generosità pubblica non hanno portato ad alcuna inversione di rotta significativa. I banchieri hanno intascato il denaro e lo hanno utilizzato per speculare in borsa e fare profitti ancora maggiori. La disuguaglianza è cresciuta a livelli senza precedenti. Come un gigantesco branco di vermi parassiti che succhiano la linfa vitale della società, i ricchi diventano sempre più ricchi, mentre milioni affogano immersi nella povertà e nella disperazione.

Della situazione reale ha parlato lo scorso anno una relazione dell’OCSE che ha concluso che non ci sarà crescita dell’economia mondiale per i prossimi 50 anni. Che cosa significa? Decenni di austerità, tagli e attacchi al tenore di vita. Questa è la ricetta più sicura per una esplosione della lotta di classe in tutto il mondo. Il tentativo di battere la crisi con il quantitative easing negli Stati Uniti è stato dettato dalla disperazione. Ora sono stati costretti a tornare indietro. L’esempio del Giappone è ancora più eloquente. Il tentativo di Abe di fare la stessa cosa si è concluso in una ignominiosa disfatta. Intanto il malcontento cresce.

Questa crisi colpisce tutti i paesi del mondo. La globalizzazione si manifesta come una crisi globale del capitalismo. La Cina avrebbe dovuto agire come motore della ripresa ma la sua crescita sta rallentando. Tutti i cosiddetti BRIC sono in crisi. Il Brasile è in recessione, l’India è in crisi, come ha mostrato il forte calo del valore della rupia. L’economia russa è stata colpita dal calo dei prezzi del petrolio (a sua volta un riflesso della domanda stagnante), aggravato dalle sanzioni, ed è di fronte a una grave recessione.

Si sarebbe potuto pensare che i sauditi avrebbero diminuito la produzione di petrolio per sostenere il calo dei prezzi. Al contrario, continuano a incrementare la produzione di petrolio per distruggere il crescente settore della produzione di petrolio da fracking negli Stati Uniti. Ma il calo del prezzo del petrolio significa un disastro per le altre nazioni produttrici di petrolio come l’Iran, l’Iraq e il Venezuela.

 

La crisi dell’Europa

Due anni fa, Mario Draghi ha dichiarato che l’Unione europea avrebbe fatto tutto ciò che era necessario per difendere l’euro. Ma chi ha i soldi necessari? I tedeschi, e i tedeschi non hanno particolare desiderio di sottoscrivere i debiti dei paesi dell’Europa meridionale. La disoccupazione in Europa è ufficialmente a circa l’11%, una percentuale che sottovaluta la realtà. In Spagna è circa il 25% e in Grecia è ancora peggio. Due giovani greci su tre non hanno lavoro. Nulla è stato risolto in Grecia.

La crisi dell’euro è iniziata cinque anni fa in Grecia e ora è entrata in una nuova fase. Dopo cinque anni di tagli, austerità e sofferenze il debito pubblico è passato dal 125% al 175% del PIL. Tutte le sofferenze del popolo sono state vane. La Grecia è sull’orlo di una nuova e ancor più terribile crisi. Il crollo della coalizione borghese di destra guidata da Adonis Samaras ha aperto un periodo nuovo e tempestoso. Tutti i sondaggi indicano che Syriza vincerà le elezioni alla fine di gennaio.

crisis-euroSamaras pensava che Bruxelles gli avrebbe concesso un certo margine di manovra, ma non è andata così. La Merkel e gli altri padroni d’Europa sono stati implacabili chiedendo nuove tagli ancora più profondi alle pensioni e al tenore di vita. Il primo ministro greco ha quindi tentato una mossa disperata degna di un giocatore d’azzardo per l’elezione del nuovo presidente. Dal momento che è una carica dal carattere più o meno cerimoniale, la scelta sarebbe stata accolta in altri momenti nella completa indifferenza. Ma questa volta ha prodotto una crisi immediata. Forti cali alla borsa di Atene hanno rivelato l’estrema nervosismo della borghesia.

La borghesia è terrorizzata dalla prospettiva di un governo Syriza in Grecia. Ciò che li spaventa non sono tanto i leader di Syriza, che stanno ora cercando di rassicurare la troika che sono politici responsabili, ma le forze di classe che ci sono dietro. I lavoratori greci hanno mostrato una combattività incredibile. Hanno partecipato a più di trenta scioperi generali negli ultimi quattro anni. Ma questo attivismo ha i suoi limiti. In passato manifestazioni e scioperi potevano a volte costringere il governo a cambiare politica ma non è più così. La crisi è troppo profonda per fare vere concessioni. Dopo oltre trenta scioperi generali, l’arma dello sciopero di un giorno ha così perso tutta la forza che aveva. È diventato un rituale senza senso che la borghesia e il governo possono ignorare.
Bloccato sul fronte sindacale, il proletariato naturalmente cerca una soluzione ai suoi problemi più urgenti sul fronte politico. Voteranno per Syriza, ma l’esperienza recente li fa diffidare di tutti i politici. Tsipras promette riforme: l’aumento del salario minimo, cibo ed elettricità gratis per le famiglie povere, l’aumento dell’occupazione nel settore pubblico. Il problema è che su basi capitaliste queste misure non possono funzionare. Un governo Syriza si scontrerebbe immediatamente con il sabotaggio dei banchieri e dei capitalisti. Anche prima che fossero annunciate le elezioni, la stampa segnalava un deflusso massiccio di capitali. Questo è un primo avvertimento dello sciopero dei capitali che colpirebbe un governo di sinistra in Grecia.

 
Instabilità in tutto il mondo
Ovunque si guardi c’è instabilità: economica, finanziaria, sociale, politica e diplomatica. L’attuale situazione a livello mondiale non ha precedenti nella storia. In passato ci sono sempre state tre o quattro grandi potenze che si limitavano a vicenda. Ma dalla caduta dell’URSS c’è solo una superpotenza, Stati Uniti. Gli Stati Uniti ogni anno spendono 640 miliardi di dollari in armamenti. Nessun altro paese può confrontarsi con questa immensa forza militare. Eppure la forza dell’imperialismo statunitense ha dei limiti ben evidenziati in Iraq e in Afghanistan.
Come elefanti in un negozio di porcellane, i miopi imperialisti americani hanno destabilizzato l’intero Medio Oriente, il Nord Africa e il Pakistan. Ora sono obbligati a inviare l’aviazione per bombardare gli stessi miliziani jihadisti creati dai loro alleati Arabia e Qatar, che li hanno armati e finanziati in un fallito tentativo di rovesciare il regime di Assad in Siria. Questo improvviso sbandamento nella politica americana nella regione ha avuto conseguenze che non erano state previste né volute a Washington. Ha inclinato la bilancia nettamente a favore dell’Iran, che ora ha il controllo effettivo su gran parte dell’Iraq e un’influenza crescente in Siria e Libano.

Dato che ricorreva il 100° anniversario della prima guerra mondiale, molti hanno cercato analogie con la situazione attuale. Ma si tratta di analogie spurie. La situazione attuale è molto diversa da quella dell’agosto del 1914. L’assassinio di Francesco Ferdinando venne immediatamente seguito da un ultimatum degli austriaci. Ora, nel caso dell’intervento della Russia in Ucraina gli americani fanno molto chiasso ma in pratica non fanno nulla – almeno in termini militari. L’impotenza dell’Europa è emersa con la crisi ucraina ancora più crudamente. Hanno imposto sanzioni che si sono subito ritorte contro l’Europa, in particolare la Germania. Il crollo del rublo fa sì che le esportazioni tedesche verso la Russia siano bloccate.
La Russia stessa è ora in crisi. Questo segnerà una svolta nella situazione. I lavoratori russi erano pronti a tollerare Putin sinchè appariva garantire la stabilità e la crescita economica. Ma ora la situazione sta radicalmente cambiando. La crisi ucraina ha permesso a Putin di avvolgersi nella bandiera del nazionalismo russo, appellandosi all’istinto naturale dei lavoratori russi di esprimere vicinanza e solidarietà ai loro fratelli e sorelle ucraini. Ma le azioni di Putin stanno dimostrando il suo atteggiamento cinico verso il popolo ucraino. La sua retorica nazionalista può ingannare le masse per un certo tempo, ma prima o poi la nebbia nazionalista si alzerà e ci sarà una forte reazione contro il regime. Con un inevitabile ritardo i lavoratori russi trarranno le necessarie conclusioni e passeranno all’azione.

 
Prospettive rivoluzionarie
Lungi dall’essere stabilizzata, la situazione del capitalismo mondiale sta sprofondando sempre di più in crisi. Come abbiamo detto tempo fa, ogni tentativo della borghesia di ristabilire l’equilibrio economico porta unicamente a distruggere l’equilibrio sociale e politico. Ora lo si vede in un paese dopo l’altro. La cosiddetta ripresa è la più debole nella storia e l’unica soluzione che viene in mente alla classe dominante e ai suoi agenti sono tagli e austerità, anche se l’esperienza ha dimostrato che l’unico risultato che producono è quello di approfondire la crisi e aumentare il deficit, mentre provocano una polarizzazione sociale che rischia di andare oltre i limiti della legalità e minaccia di rovesciare l’ordine esistente.
La crescita senza precedenti della disuguaglianza sta lacerando il tessuto della coesione sociale. Marx aveva spiegato che il capitalismo conduce inevitabilmente alla concentrazione del capitale e alla polarizzazione tra ricchi e poveri. Oggi questa previsione di Marx, che ha provocato l’indignazione dei sociologi universitari borghesi, è dimostrata in modo inconfutabile dalle statistiche. C’è un diffuso e profondo odio per i banchieri e i ricchi e anche una sfiducia totale verso tutti i partiti politici esistenti, non solo verso i partiti borghesi, ma anche per i cosiddetti partiti di sinistra.

Ovunque vediamo un crescente disagio sociale, anche se non ha individuato ancora i giusti obiettivi, organizzazione e leadership. In Gran Bretagna tre anni fa ci furono rivolte dei giovani disoccupati, che colsero tutti di sorpresa. In Italia non molto fa è bastato che i dirigenti sindacali muovessero un dito e un milione di lavoratori hanno manifestato per le strade di Roma. In Grecia i lavoratori hanno organizzato oltre trenta scioperi generali. Abbiamo visto esplosioni sociali in Portogallo, Brasile, Turchia, e prima ancora in Tunisia e in Egitto. Di fronte a questi fatti, chi può osare dire che le masse sono passive e apatiche?

Più e più volte le masse hanno dimostrato la loro volontà di lottare. Ma quando si mobilitano per cercare di cambiare la società, non trovano l’organizzazione e la direzione che potrebbero fornire la necessaria coesione e chiarezza che sole possono garantire la vittoria. Al contrario, scoprono che le organizzazioni riformiste esistenti sono un freno al movimento e una barriera nel suo percorso.
I leader riformisti si considerano molto realisti, ma in realtà sono il peggior tipo di utopisti. Imbozzolati nei loro begli uffici e nelle atmosfere rarefatte dei dibattiti parlamentari, sono completamente fuori dalla realtà. Non vedono l’umore ribollente di rabbia che esiste nel profondo della società. Mancando di qualsiasi fiducia nella classe operaia, vedono tutto attraverso le lenti riformiste che travisano la realtà.
È la mancanza del fattore soggettivo, del partito e della direzione rivoluzionari, questo è il motivo principale per il carattere prolungato della crisi. Ed è sempre questo che gli conferisce un tale carattere convulso. La contraddizione principale dell’epoca è lo stridente contrasto tra la maturità della situazione oggettiva per la rivoluzione e il fallimento delle organizzazioni esistenti. Come disse Trotskij nel 1938, la crisi dell’umanità si può ridurre alla crisi della direzione della classe operaia. La domanda più importante è: come si può risolvere questa contraddizione?
Per i settari la questione è facilmente risolta. Dicono: i dirigenti riformisti hanno tradito e tradiranno sempre, unitevi a noi per la costruzione di un nuovo partito. Un appello che cade sempre nel vuoto perché i lavoratori non capiscono le piccole organizzazioni. La vita ha insegnato loro che per uscire vittoriosi anche solo da uno sciopero ci vuole un’organizzazione di massa. Quanto più ciò è vero quando si tratta di cambiare la società?
Tuttavia, è un grave errore fare un feticcio di qualsiasi organizzazione esistente. “Tutto ciò che esiste merita di morire” era una massima di Eraclito spesso citata da Marx. Il fatto che un partito (o anche un sindacato) fosse una volta una forza di massa non significa affatto che lo sarà per sempre. I partiti, come le persone, nascono, prosperano per un certo tempo, e poi scompaiono. Tali trasformazioni sono relativamente rare in periodi “normali”, ma non sono affatto rare durante i periodi di grandi sconvolgimenti sociali in cui, in realtà, sono molto comuni.

 
Degenerazione senza precedenti
Ci sono molti paralleli tra questa situazione e la situazione prima del 1914. All’epoca un lungo periodo di espansione capitalistica aveva portato alla degenerazione nazionale-riformista della socialdemocrazia. Il processo eruppe nel mese di agosto del 1914. Il lungo periodo di espansione capitalistica che seguì alla seconda guerra mondiale ha portato a una degenerazione senza precedenti di tutti i partiti della classe operaia – non solo i partiti socialdemocratici, ma anche gli ex partiti comunisti.

In un periodo rivoluzionario partiti e leader sono soggetti a stretta sorveglianza da parte delle masse che stanno cercando una via d’uscita dalla crisi. I lavoratori sviluppano una acuta sensibilità acuta e un atteggiamento critico prima assente o poco sviluppato. Nei periodi “normali”, le persone tendono a non fare politica, che appare loro come qualcosa di alieno, misterioso, incomprensibile. Dicono: “lascio la politica ai politici. Non capisco queste cose. “Allo stesso modo in ambito sindacale lasciano le cose ai funzionari.
Ma in un periodo rivoluzionario, questo atteggiamento comincia a cambiare. Aumenta l’interesse delle masse verso le questioni politiche che toccano molto direttamente la loro vita. Nella loro ricerca di soluzioni si rivolgono a un partito, poi ad un altro. Governi, programmi e dirigenti sono messi alla prova e, quando si dimostrano carenti, possono essere scartati mentre le masse guardano altrove. Partiti che sembravano indistruttibili e monolitici possono entrare in crisi e addirittura scomparire. In tali situazioni si producono ogni genere di crisi, spaccature e riunificazioni.
Possiamo vedere questi processi già in atto. Il PCI per decenni è stato il più forte partito comunista al di fuori del blocco sovietico. Ma la degenerazione senza precedenti della direzione lo ha portato al crollo e in precedenza abbiamo visto la scomparsa del PSI, che in passato aveva una base proletaria consistente. Ora nulla è rimasto di questi che una volta erano i partiti tradizionali della classe operaia italiana.
Ho sentito dire a volte che il Pasok era il partito tradizionale dei lavoratori greci, ma è falso, o comunque è un’affermazione che richiede alcune forti precisazioni. In realtà, il Pasok è un partito relativamente nuovo, sorto nel 1974. Prima, era il partito comunista (il KKE) il partito della classe operaia greca. Il Pasok è emerso proprio in una situazione rivoluzionaria seguita alla caduta della giunta militare. Il suo fondatore, Andreas Papandreou, figlio di George Papandreou, un borghese liberale che dopo la seconda guerra mondiale ha svolto un ruolo infido come fantoccio dell’imperialismo britannico, presentò un programma almeno a parole a sinistra del KKE.
sciopero greciaCome risultato il Pasok attrasse un gran numero di lavoratori e di giovani radicalizzati schifati dallo stalinismo burocratico del KKE. Per alcuni anni il Pasok poteva essere considerato il principale partito operaio greco, con forti legami con i sindacati. Ma il KKE ha mantenuto la fedeltà di molti lavoratori greci politicamente coscienti e ha un forte seguito nei sindacati. Nel frattempo, che cosa è accaduto al Pasok? La sua partecipazione al governo durante la crisi ha significato che la sua direzione ha assunto la piena responsabilità per i tagli e l’austerità che hanno devastato la società greca. Di conseguenza il suo sostegno è crollato e nelle prossime elezioni crollerà ancora. Infatti alcuni osservatori ipotizzano che potrebbe perdere tutta la rappresentanza in Parlamento e ridursi a una gruppo extraparlamentare. La rapida crescita di Syriza è un’indicazione di processi che possono avvenire ovunque.

L’emergere esplosivo di Podemos in Spagna rivela la portata e la profondità dello scontento popolare che esiste ovunque. In Spagna, come in Italia, il partito comunista era una forza di massa, ma come risultato di decenni di degenerazione e di tradimenti è stato ridotto a un’ombra flebile di se stesso. Per capire la velocità con cui gli eventi si muovono, dobbiamo ricordarci che solo un anno fa Podemos esisteva a malapena come forza politica e ora nei sondaggi è la prima scelta degli elettori, sopravanzando di molto sia il partito socialista sia il PP che sta andando verso una fortissima sconfitta.
In Gran Bretagna abbiamo visto lo straordinario successo del “sì” al referendum scozzese, che senza dubbio ha rappresentato un importante cambiamento della situazione. Non vi è alcun dubbio che è stato un voto di sinistra, contro i tory e i liberali (tratteremo in un altro articolo della vicenda), ma allo stesso tempo contro il partito laburista (che aveva una base molto forte in Scozia). Nel momento in cui scriviamo, anche se sembra incredibile, il leader laburista Miliband è meno popolare in Scozia del primo ministro tory David Cameron. Dopo anni di direzione blairista, il partito laburista è visto da molti come parte dell’establishment.
Naturalmente, non si deve cadere nell’impressionismo. Partiti come quello laburista hanno ancora grandi riserve di sostegno nelle masse. Ma è altrettanto vero che la scena politica è molto più volatile, turbolenta e imprevedibile di quanto non fosse in passato. Uno ad uno, tutti i partiti politici saranno messi alla prova ed entreranno in crisi. Ci saranno violente oscillazioni a sinistra e a destra. Cambiamenti improvvisi e repentino sono all’ordine del giorno. Dobbiamo essere preparati.
Va da sé che gli eventi non si svilupperanno in linea retta. È davvero sciocco immaginare che i lavoratori siano sempre pronti a salire sulle barricate. La storia stessa ci insegna che le rivoluzioni sono eventi rari. Come le guerre, non sono la solita situazione, ma rompono la “normalità”. C’è sempre la tendenza ad aggrapparsi allo stato di cose esistente. Questo è naturalmente il percorso più facile e più comodo per le masse. Ma in un periodo di sconvolgimenti violenti, le masse imparano a mettere in discussione questa “normalità” e a cercare una via d’uscita, esplorando una soluzione dopo l’altra.

 

La crisi si svolgerà in tutto il mondo, a velocità diverse e con differente intensità negli anni e nei decenni. Per un intero periodo il pendolo continuerà la sua corsa verso sinistra. Naturalmente, la rivoluzione non avanza in linea retta. Periodi di grande progresso si alterneranno a momenti di stanchezza, disillusione e disperazione; grandi progressi saranno seguiti da pause, sconfitte e anche dalla reazione. Questo ritardo inevitabile – espressione della debolezza del fattore soggettivo – non è una cosa negativa dal nostro punto di vista.
Ci sono molti paralleli tra la guerra e la lotta di classe. Una guerra non è una battaglia continua, ma una serie di scaramucce, in cui gli eserciti che si affrontano imparano a valutare la propria forza relativa; avanzate sono seguite da ritirate, periodi convulsi sono interrotti da lunghi periodi di inattività e attesa. Queste pause inevitabili tra le battaglie vengono utilizzate per scavare trincee, pulire gli armamenti e mobilitare e addestrare le reclute.

Per i marxisti lo studio delle prospettive non è un esercizio accademico, ma un modo di preparare i quadri per le prossime battaglie. Trotskij spiegò che la teoria è la superiorità della previsione sullo stupore. Chi ha un atteggiamento empirico e superficiale e pensa di essere saggio perché si limita a tenere conto dei “fatti immediati” rimane sempre stupito quando la marcia degli eventi segue un percorso ad egli imprevisto e non si sognava nemmeno fosse possibile. I marxisti al contrario, guardano al di là dei “fatti” e penetrano sotto la superficie per esporre il processo più profondo che va modificando la società.
Quest’anno è il centesimo anniversario della Conferenza di Zimmerwald, quando un piccolo pugno di rivoluzionari internazionalisti si raccolse in questo piccolo e sconosciuto paesino svizzero nel tentativo di organizzare e coordinare le forze che ancora lottavano per il socialismo internazionale. Quando Lenin si guardò intorno e vide quanti pochi fossero, osservò: “sembra che tutti gli internazionalisti del mondo si possono sistemare in due carrozze!”
Quando Lenin pronunciò quelle parole, il compito dei rivoluzionari sembrava quasi senza speranza. Erano piccoli gruppi, per lo più isolati dalle masse e dal proletariato in condizioni di difficoltà inimmaginabili. Eppure, solo due anni dopo scoppiò la rivoluzione russa, inizio di una colossale marea rivoluzionaria che condusse Lenin e i bolscevichi al potere. Sì, proprio cambiamenti improvvisi e repentini della situazione. E la storia ha l’abitudine di ripetersi.
Lasciamo il pessimismo ai borghesi e ai loro tirapiedi riformisti. Hanno tutte le ragioni per essere pessimisti! Noi invece, abbiamo tutto il diritto di essere ottimisti. Accogliamo con favore il nuovo anno con lo spirito che la nostra epoca richiede: uno spirito di entusiasmo per la battaglia che incombe, la battaglia tra un ordine consunto, decadente e degenerato che ha esaurito la sua funzione ed è maturo per essere rovesciato, la battaglia del futuro contro il passato, la battaglia per un mondo nuovo e migliore: la battaglia per il socialismo.
Londra, 5 Gennaio 2015

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