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Venezuela – Un ultimo avvertimento

Negli ultimi giorni e settimane negli editoriali e sulle prime pagine dei quotidiani spagnoli e statunitensi si è intensificato l’assalto contro la rivoluzione bolivariana. I problemi di scarsità delle merci in corso hanno portato a casi di saccheggio. L’opposizione di destra vuole arrivare a un referendum per la revoca del presidente, ma sta anche minacciando azioni violente facendo appello alle potenze straniere e chiedendo, in alcuni casi, l’intervento militare.

Che cosa sta realmente accadendo in Venezuela e come si può rispondere a queste minacce?

Venerdì 13 maggio, il presidente venezuelano Maduro ha esteso il “Decreto economico di emergenza”, che a gennaio gli aveva dato poteri speciali e ha decretato ulteriori 60 giorni di stato di emergenza che comprende ampi poteri per affrontare la minaccia militare straniera e i problemi di produzione e distribuzione del cibo.

abc.750Come c’era da aspettarsi, i media capitalisti mondiali si sono uniti in un coro di denuncia, gridando alla “dittatura”, mentre uno dei principali leader dell’opposizione di destra, Capriles Radonski, ha fatto un appello pubblico per disobbedire al decreto. Tuttavia, le minacce sono molto reali. Vale la pena di dare alcuni esempi. Un mese fa, un editoriale del Washington Post richiedeva apertamente un “intervento politico” dei paesi vicini al Venezuela. Durante il fine settimana, l’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, a Miami al “summit del Concordia”, ha fatto un appello aperto alle Forze Armate venezuelane per un colpo di stato o, se non fosse possibile, per un intervento militare straniero contro “la tirannia” ).

L’opposizione di destra venezuelana ha rivolto ripetuti appelli all’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ad usare la “Carta democratica” per intervenire contro il presidente Maduro (). Si sentono incoraggiati dalla rimozione riuscita di Dilma Rousseff in Brasile e vogliono percorrere la stessa strada nel più breve tempo possibile, con tutti i mezzi necessari, legali o illegali. L’influente giornalista venezuelano e blogger di destra Francisco Toro (redattore di Caracas Chronicles) ha da poco scritto un articolo che discute apertamente i pro e i contro di un colpo di stato, che dice, sarebbe all’interno della costituzione e “il contrario di un crimine” ().

Oggi, il governo venezuelano ha segnalato la violazione dello spazio aereo del paese da parte di aerei militari degli Stati Uniti.

Nel tentativo di sfruttare al meglio i gravi problemi economici che il paese si trova ad affrontare, l’opposizione reazionaria è impegnata nel cercare di creare una situazione di caos e di violenza tale da giustificare un colpo di stato o un intervento straniero per accelerare la rimozione del presidente Nicolas Maduro. Ci sono stati episodi di violenza in Zulia e Tachira. Ci sono voci costanti, ma il più delle volte false, di saccheggi e disordini.

Una crisi gravissima

Sono coinvolto nella difesa della rivoluzione bolivariana da più di 13 anni, ho spesso visitato e scritto sul paese regolarmente. Niente di quello che ho appena descritto è veramente nuovo. Fin dall’inizio, quando Chavez è stato eletto nel 1998, e in particolare dal momento che sono state promulgate le leggi del dicembre 2001, l’oligarchia venezuelana e l’imperialismo sono stati impegnati in una costante campagna di molestie, violenza, destabilizzazione, colpi di stato, menzogne e calunnie, pressioni diplomatiche, sabotaggio economico: le hanno provate tutte.

Tuttavia, questa volta, c’è qualcosa di diverso. In tutte le precedenti occasioni, la volontà rivoluzionaria delle masse bolivariane, i lavoratori, i contadini e i poveri, hanno sconfitto i tentativi controrivoluzionari di porre fine alla rivoluzione. Questo è successo anche contro il colpo di stato dell’aprile del 2002 e nella serrata e nel sabotaggio dell’industria petrolifera nel dicembre dello stesso anno, prima che la rivoluzione fosse in grado di concedere reali miglioramenti del tenore di vita, che si sono avuti principalmente dopo che il governo ha ottenuto il pieno controllo della società petrolifera nazionale nel 2003.

Per dieci anni la rivoluzione è riuscita a garantire riforme generalizzate e a migliorare enormemente il tenore di vita delle masse. Questo si è accompagnato a un processo di radicalizzazione politica in cui lo scomparso presidente Chavez e le masse rivoluzionarie si spingevano avanti reciprocamente. Il socialismo è stato dichiarato come l’obiettivo della rivoluzione bolivariana, ci sono state una vasta gamma di esperienze di controllo operaio, con fabbriche occupate ed espropriate, e con aziende che sono state ri-nazionalizzate. Milioni di persone sono diventati attive in politica a tutti i livelli, nel tentativo di prendere il futuro nelle proprie mani. La forza motrice della rivoluzione e la sua principale fonte di energia, che le ha permesso di contrastare tutti i tentativi dell’oligarchia e dell’imperialismo, sono state le masse rivoluzionarie, attive, politicamente consapevoli e impegnate a tutti i livelli.

Naturalmente, questo periodo è stato aiutato dagli alti prezzi del petrolio (che ha raggiunto un picco di oltre 140 dollari al barile nel 2008). Il governo aveva a disposizione una quantità enorme di denaro, proveniente del petrolio, per finanziare i programmi sociali che sono andati a vantaggio di milioni di persone (in materia di istruzione, sanità, cibo, alloggi, pensioni, ecc). La questione di prendere il controllo dei mezzi di produzione, non è stata posta immediatamente.

Il capitalismo non può essere regolato

Sono state adottate misure che hanno limitato il normale funzionamento del mercato capitalista per difendere la rivoluzione dal sabotaggio della classe dominante, incluso il controllo dei cambi (per evitare la fuga di capitali) e il controllo dei prezzi dei prodotti alimentari di base (per difendere il potere d’acquisto dei poveri).

Ben presto, i capitalisti hanno trovato un modo per aggirare queste misure. Il controllo dei cambi è diventato una truffa e il risultato è stato un massiccio trasferimento di valuta pregiata proveniente dal petrolio, direttamente nelle tasche di capitalisti senza scrupoli. Come è successo? Il governo ha istituito un cambio calmierato che doveva essere utilizzato per importare prodotti di base (cibo e medicinali) e i componenti per l’industria.

Invece, i capitalisti privati hanno richiesto dollari a tassi agevolati che sono poi stati immessi nel mercato nero (che si è inevitabilmente sviluppato come effetto collaterale dei controlli valutari) o nei conti bancari off-shore. Così abbiamo assistito all’incredibile situazione in cui le importazioni diminuivano in termini di volume, mentre aumentavano massicciamente come valore (in dollari). L’economista marxista Manuel Sutherland ha elaborato i dati dell’import di prodotti farmaceutici:

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(La barra blu rappresenta le importazioni farmaceutiche in milioni di Kg, quella rossa rappresenta il loro valore in milioni di dollari americani – fonte http://www.rebelion.org/noticia.php?id=202832)

Nel 2003, il Venezuela importava prodotti farmaceutici a 1,96 dollari americani al Kg. Nel 2014 il prezzo aveva raggiunto 86.80 dollari al Kg. Le importazioni erano crollate dell’87% di volume, ma erano aumentate di quasi 6 volte come prezzo! Si possono riportare cifre simili per quasi tutti i settori dell’economia in cui i capitalisti privati hanno ricevuto dollari a tasso agevolato per importare merci.

Una situazione simile si è sviluppata con il controllo sui prezzi. Il settore privato, che mantiene ancora il controllo quasi monopolistico della produzione e della distribuzione alimentare di molti beni primari, ha rifiutato di produrre qualunque merce a prezzo calmierato. Per fare un esempio, per aggirare la regolamentazione del prezzo del riso, hanno cominciato a produrne varietà aromatizzate o colorate che non sono regolamentate.

Questo sciopero della produzione da parte dei capitalisti privati, ha messo tutto il peso della produzione e della distribuzione dei prodotti alimentari di base sulle spalle dello stato. Il cibo è stato importato dall’estero e pagato, con i dollari ottenuti dal petrolio, ai prezzi del mercato mondiale, infine venduto a prezzi fortemente calmierati nei supermercati statali (PDVAL, Mercal, Bicentenario).

money-supply_credit-www_dot_tradingeconomics_comPer tutto un periodo, mentre i prezzi del petrolio erano alti, questa cosa ha, più o meno, funzionato. Una volta che i prezzi del petrolio sono andati in caduta libera e l’economia è entrata in una profonda recessione, l’intero edificio è crollato come un castello di carte. Nel 2014 il petrolio venezuelano era ancora venduto a 88 dollari al barile. Nel 2015 è dimezzato a 44. Nel gennaio del 2016 era a 24 dollari, il livello più basso da oltre 10 anni.

Per continuare a finanziare i programmi sociali (compresi i prodotti alimentari calmierati), lo Stato ha iniziato a stampare grandi quantità di denaro senza nessuna copertura. Tra il 1999 e il 2015, la massa monetaria M2 è aumentata di oltre il 15.000%!


La combinazione di una massiccia fuga di capitali, associata allo sviluppo di un enorme mercato nero di dollari con l’enorme espansione di offerta di moneta, in un momento di recessione economica (2014 -3.9; 2015 -5,7%) ha causato inevitabilmente l’iperinflazione. Nel 2014 il tasso di inflazione annuale ha raggiunto il 68%, ma nel 2015 è stato addirittura superiore al 180% secondo la Banca Centrale del Venezuela. Va sottolineato che per il cibo e le bevande analcoliche l’inflazione era persino superiore alla media.

Il tasso di cambio per il dollaro al mercato nero è balzato da 187 bolivar per dollaro a gennaio 2015 a oltre 1.000 bolivar per dollaro ad oggi (dopo aver raggiunto un picco di 1.200 nel febbraio di quest’anno). Questo è attualmente il tasso di cambio rispetto al quale vengono calcolati i prezzi della maggior parte dei prodotti.

Un altro effetto di questa massiccia distorsione economica è il rapido esaurimento delle riserve in valuta estera:

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Da 24 miliardi di dollari statunitensi all’inizio del 2015, queste riserve sono crollate agli attuali 12,7 miliardi di dollari, secondo i dati ufficiali della Banca Centrale del Venezuela.

Questa disastrosa situazione ha portato ad una forte diminuzione delle importazioni di cibo e di altri prodotti di base da parte del governo. Complessivamente le importazioni sono calate del 18,7% nel 2015. Ciò ha creato una penuria permanente di prodotti di base nelle catene di supermercati di proprietà statale che li vendono a prezzi calmierati. A sua volta questo crea un enorme mercato nero di questi prodotti. La causa principale del mercato nero è la scarsità, che viene poi aggravata dall’esistenza stessa del mercato nero. La grande differenza che si crea tra i prezzi calmierati (con merci sempre più scarseggianti) e il mercato nero, agisce quindi come una enorme calamita verso quest’ultimo.

Vediamo il confronto tra i prezzi di alcuni prodotti di base venduti a marzo dai bachaqueros (coloro che operano nel mercato nero) nel quartiere operaio e povero di Petare a Caracas:

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(Fonte http://www.telesurtv.net/english/analysis/Behind-the-Food-Lines-in-Venezuela-20160514-0035.html)

Nel corso degli ultimi due anni Il governo ha aumentato più volte il salario minimo, da circa 10.000 bolivar a novembre 2015 fino agli attuali 15.000 (a cui dobbiamo aggiungere 18.000 bolivar di cesta ticket, il sussidio per gli alimenti). Eppure, per acquistare la maggior parte dei prodotti della spesa settimanale al mercato nero, tale salario non è sufficiente. Dal momento che le importazioni statali di cibo sono bruscamente crollate, è aumentata la scarsità di prodotti calmierati e le persone sono costrette a spendere una quota maggiore delle loro entrate sul mercato libero e nero.

La scarsità ha condotto a una massiccia corruzione a tutti i livelli, deviando i prodotti dalla filiera ufficiale dello stato verso il mercato nero. Dalla famiglia che fa ore di coda per poi rivendere parte di quello che ha acquistato, al dirigente del supermercato statale che sposta sul mercato nero interi camion pieni di prodotti (con la complicità degli agenti della guardia nazionale che sorvegliano lo stabilimento), alle bande criminali che assumono persone per fare le ore di coda per comprare qualsiasi prodotto calmierato disponibile (minacciando e corrompendo i lavoratori del supermercato, le guardie nazionali, i direttori, ecc), al presidente nazionale del Bicentenario, la catena di supermercati di stato, che devia interi carichi navali di prodotti.

A questo dobbiamo aggiungere migliaia di modi diversi con i quali il settore privato spezza il regime di regolamentazione dei prezzi. C’è una continua penuria di farina di mais, ma le areperas (negozi doive si vendono arepas, il piatto tradizionale venezuelano, ndt) sono sempre ben disponibili. I polli sono quasi impossibili da acquistare a prezzi calmierati, ma le cosce di pollo arrosto non mancano mai. La farina di grano non può essere comprata al prezzo ufficiale e i panettieri non producono pane comune (il cui prezzo è regolato) giustificandosi con la mancanza di farina, ma sono misteriosamente in grado di produrre qualsiasi altra varietà di pane, torte e biscotti, che, supponiamo, siano fatti con la farina. Cosa c’è dietro a questo mistero? Il fatto che i produttori all’ingrosso privati riforniscono queste aziende, ma, naturalmente, non a prezzi regolamentati.

Qualsiasi tentativo per arginare questa situazione, utilizzando misure repressive contro il mercato nero, anche se necessario, è destinato a fallire. La causa principale non sono i bachaqueros grandi o piccoli, ma l’attuale incapacità del governo di finanziare la fornitura di una quantità sufficiente di prodotti per coprire l’intera domanda, unita alla riluttanza del settore privato a produrre e vendere i prodotti ai prezzi calmierati fissati dal governo.

Quindi, una delle principali ragioni di questa insostenibile distorsione economica è la “naturale” ribellione dei produttori capitalisti contro ogni tentativo di regolare i normali meccanismi del “libero mercato”. Questo è il vero significato della “guerra economica” che il governo bolivariano denuncia da molti anni. Sì, c’è senza dubbio un elemento di deliberato sabotaggio economico volto a colpire le masse lavoratrici per minare il loro sostegno alla rivoluzione. Ma allo stesso tempo è facile capire come, dal punto di vista dei capitalisti, non venderanno né produrranno prodotti a prezzo calmierato sui quali possono solo fare un guadagno molto modesto, o talvolta una perdita, quando possono invece ottenere nel mercato nero un margine di profitto del 100%, del 1000%, o addirittura superiore.

Ciò che è fallito in Venezuela non è il “socialismo” come piace far notare ai media capitalisti nella loro campagna di propaganda. È proprio l’opposto. Ciò che è chiaramente fallito è il tentativo di introdurre regolamentazioni per far funzionare, anche se solo parzialmente, il capitalismo nell’interesse dei lavoratori. La conclusione è chiara: il capitalismo non può essere regolamentato. Il tentativo ha condotto a distorsioni economiche su larga scala.

 

La risposta del governo: un appello al settore privato

La maggioranza dei venezuelani sono consapevoli, in un modo o nell’altro, del ruolo deplorevole giocato dalle imprese private, come il Gropo Polar, nell’aver creato questa situazione di accaparramento, dominio di un sistema malavitoso, mercato nero, speculazione, ecc. Nel mio ultimo viaggio in Venezuela sono stato testimone della seguente discussione in coda a un supermercato

“- Mujer A: “aquí tienen su patria bonita”
– Mujer B: “a ver si creen que es el gobierno que produce la Harina PAN””

[“Donna A (sprezzante) : “Ecco la tua Patria bonita” (vale a dire: questo è ciò che il chavismo ci ha dato, le code)
Donna B (dura) : “Forse pensano che sia il governo a produrre la farina PAN” (in realtà è il Grupo Polar che ha il monopolio sulla produzione della farina di mais)]

Il problema non è che la gente non si renda conto che il settore privato sta sabotando l’economia. Il problema è che non considerano il governo capace né disposto a prendere le misure necessarie per risolvere questa situazione.

Ai problemi di scarsità di generi alimentari e la criminalità dobbiamo aggiungere la grave siccità che ha colpito il Venezuela come un sottoprodotto di El Niño che ha comportato problemi alla produzione di energia alla diga idroelettrica El Guiri. Ciò ha portato a interruzioni di corrente regolari negli ultimi mesi. Nel mese di aprile, il governo ha ridotto per decreto la settimana lavorativa a 2 giorni nelle istituzioni pubbliche, provvedimento atto a ridurre il consumo di energia elettrica.

Anche su questa questione dobbiamo tenere conto di una deliberata campagna di sabotaggio della rete elettrica del paese. Sono stati effettuati, per tutta una serie di anni, attacchi dinamitardi continui contro centrali elettriche e centraline periferiche in diverse parti del paese. Di solito sono coincisi con le campagne elettorali e con i momenti di tensione politica crescente e hanno avuto lo scopo di provocare interruzioni di corrente al fine di diffondere una sensazione di crollo, di caos, di instabilità, …

Qual è stata la risposta del governo a questi problemi estremi? Almeno dal 2014 vi è stato un aperto riconoscimento del fallimento del modello precedente volto al tentativo di regolare il capitalismo e dell’uso del proventi del petrolio per finanziare programmi sociali. Si potrebbe dire che il punto di svolta è stata l’uscita dal governo dell’ex ministro delle Finanze Giordani nel mese di luglio del 2014.

Da allora, la linea dominante nella politica economica del governo è stato quella di fare ancor più concessioni ai capitalisti nella speranza di riconquistare la loro fiducia in modo che possano collaborare con il governo e capovolgere la situazione. Questa concezione è stata espressa in tutta una serie di misure concrete che sono state adottate: la parziale liberalizzazione della valuta estera, la revoca parziale della sovvenzione del prezzo dei carburanti, la creazione di zone economiche speciali, al fine di attrarre investimenti esteri diretti, nonché il ritorno in patria dei capitali detenuti all’estero dai capitalisti venezuelani, l’apertura del Arco Minero (111.000 kmq di terreni) per lo sfruttamento minerario, ecc

Niente di tutto questo ha funzionato. Il governo intrattiene colloqui regolari con i capitalisti in cui vengono concordate concessioni ai loro interessi e vengono rivolti appelli alle imprese perché investano. All’incontro successivo, le aziende richiedono ancora più concessioni, ma l’economia rimane in uno stato di profonda crisi.

Ad essere onesti, le concessioni del governo al settore privato sono a volte accompagnate da minacce di esproprio. Queste minacce non sono mai seguite da azioni concrete. Così lo scorso venerdì 13 maggio quando il presidente Maduro ha esteso lo Stato di Emergenza economica e decretato poteri di emergenza per 60 giorni, ha espressamente avvertito che “qualsiasi fabbrica che un capitalista tiene inoperosa sarà espropriata e consegnata al potere comunale”.

Meno di 48 ore più tardi, in un’intervista all’agenzia Reuters, il vice-presidente Perez Abad, responsabile di tutta il settore dell’economia del governo, ha rassicurato il capitale internazionale spiegando di “escludere l’esproprio di stabilimenti che siano fermi per mancanza di materie prime “. Nella stessa intervista, ha sottolineato l’intenzione del Venezuela di continuare a pagare le proprie scadenze rispetto al debito estero, religiosamente, per intero e in tempo. Ha aggiunto che ciò comporterà una ulteriore riduzione delle importazioni per il 2016.

Infatti, anche se le minacce di Maduro hanno avuto grande risalto nei media internazionali, la gente venezuelana non le prende molto sul serio. Ha fatto le stessa minacce di esproprio, specificamente al Grupo Polar, così tante volte, che appare come colui che grida sempre al lupo. Ogni volta che i lavoratori nel periodo recente hanno preso controllo le fabbriche che erano state abbandonate dai padroni, hanno dovuto affrontare una serie infinita di ostacoli burocratici o di repressione diretta da parte della polizia bolivariana. Nella maggior parte dei casi, anche se le leggi introdotte da Chavez sono dalla parte dei lavoratori e permettono espropri e controllo operaio, in realtà la maggior parte degli ispettori del lavoro sono sul libropaga dei padroni. Invece di procedere alle sanzioni, continuano a concedere proroghe agli imprenditori al fine di pagare gli stipendi e riavviare la produzione, che si traduce nella demoralizzazione dei lavoratori in lotta.

Perez Abad è il principale rappresentante di questa politica di concessioni alla classe capitalista. Egli stesso è un capitalista ed ex presidente di una delle associazioni di datori di lavoro del paese. È diventato ministro responsabile dell’area economica del governo a febbraio, quando ha sostituito Luis Salas, che era considerato dai capitalisti come un “radicale”. Poco prima Maduro ha decretato un ampliamento dei poteri di emergenza rispetto all’economia, Perez Abad aveva già annunciato un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti regolamentati, dopo averne discusso con i capitalisti colpiti da questi provvedimenti.

Più di recente, nel tentativo di affrontare la questione della scarsità di generi alimentari, il governo ha tentato di promuovere la formazione di Comitati di rifornimento e di produzione a livello locale. L’idea è che le comunità organizzate stesse potranno occuparsi direttamente della distribuzione di prodotti alimentari alle famiglie. Si tratta di un passo nella giusta direzione, che potrebbe rafforzare il ruolo delle organizzazioni di base. Tuttavia, il provvedimento ha avuto un impatto parziale finora. Inoltre, si occupa solo della questione della distribuzione finale, ma non della più importante questione della produzione e di trasformazione dei prodotti, dove risiede il nocciolo del problema.

 
Impatto sulla coscienza

Prima ho affermato che stavolta la situazione è diversa. Cosa è cambiato dai precedenti tentativi della controrivoluzione di sconfiggere il movimento bolivariano? Lo stress e la tensione continui di dover fare la fila per ore per ottenere prodotti di base, l’incertezza creata dalla scarsità di generi alimentari e dall’iperinflazione, il fatto che questa situazione sta andando avanti da oltre un anno e invece di migliorare sta peggiorando, la consapevolezza che mentre le masse stanno soffrendo ci sono quelli che si definiscono “bolivariani” in posizioni di potere che stanno approfittando in maniera massiccia dalla corruzione, la stanchezza accumulata per dover combattere contro la burocrazia all’interno del proprio movimento, ecc… Tutto questo ha avuto un impatto sulla la coscienza di un importante settore di quelle masse che in precedenza hanno sostenuto la rivoluzione.

Questa è la ragione fondamentale per la sconfitta nelle elezioni dell’Assemblea nazionale del 6 dicembre che sono state vinte dall’opposizione di destra per la prima volta in 18 anni. A dicembre, la rivoluzione bolivariana ha perso circa 2 milioni di voti, permettendo l’opposizione di conquistare una maggioranza schiacciante nell’Assemblea Nazionale.

Questa sconfitta ha creato una situazione di stallo istituzionale. La destra che domina l’Assemblea nazionale ha tentato di approvare alcune leggi reazionarie (una legge di amnistia scandalosa, la privatizzazione del sistema abitativo), ma questi sono stati bloccati sia dal presidente o dalla Corte Suprema. Le iniziative prese dal Presidente sono sistematicamente annullate da parte dell’Assemblea.
Attualmente l’opposizione sta tentando di ottenere un referendum revocatorio della carica di Presidente (una garanzia democratica introdotto dalla rivoluzione bolivariana in Hugo Chávez). Hanno bisogno di raccogliere un certo numero di firme per far partire il processo, e poi, con la supervisione del Consiglio elettorale, ottenere le firme del 20% dell’elettorato registrato per il referendum (3,9 milioni). Poi verrebbe convocato un referendum in cui l’opposizione dovrebbe ottenere più voti di quelli che Maduro ha ricevuto quando è stato eletto, per arrivare alla sua rimozione. Se Maduro decade entro l’anno 2016, allora il presidente di destra dell’Assemblea nazionale entra in carica fino allo svolgimento di nuove elezioni presidenziali. Ma Maduro tenterà con tutti i mezzi per ritardare il referendum revocatorio al 2017, perché nel caso di decadenza, sarebbe il vice presidente (bolivariano, ndt) ad entrare in carica per la restante durata (fino al 2019). Questo dimostra anche come la direzione del movimento bolivariano sembra vedere la lotta da un punto puramente giuridico-istituzionale.
L’oligarchia si sente anche incoraggiata dalle sconfitte elettorali in Argentina e in Bolivia e dall’impeachment di Dilma in Brasile. Si sentono vincitori e ora vogliono “rovesciare il regime” in Venezuela. Non possono aspettare che si concluda l’intero processo di un referendum revocatorio, e ancor meno fino al termine del mandato di Maduro.

La situazione ha raggiunto i suoi limiti dal punto di vista della pazienza delle masse. Una settimana fa un compagno da Catia, una roccaforte rivoluzionaria a Caracas, ha descritto la situazione così: “Fino a poche settimane fa si doveva fare la fila per 4, 6, 8 ore, ma si poteva fare la spesa per due o tre settimane. Ora, non c’è niente. Lunedì io e mia mamma abbiamo fatto la coda e c’erano solo riso e pasta. Il resto bisogna comprarlo nel mercato nero a prezzi da “bachaquero”. I salari non sono sufficienti per tirare avanti. La guardia nazionale con fucili d’assalto gestisce le code al di fuori del supermercato locale e ha respinto a centinaia di metri la gente per dissuaderla da azioni di saccheggio.” Ci sono già stati piccoli episodi di saccheggio ad Aragua e Guarenas.

In queste condizioni, c’è il pericolo che gli appelli alle masse a mobilitarsi contro la minaccia della controrivoluzione possano cadere nel vuoto. Le masse hanno dimostrato più volte la loro volontà di lottare e di portare fino in fondo la rivoluzione. Ma non capiscono dove vogliano arrivare i loro dirigenti, né sono sicure se questi ultimi sappiamo come arrivarci.

Un colpo di stato militare?

La combinazione di un situazione di stallo istituzionale, di una profonda crisi economica, e di una situazione di violenza nelle strade, che l’opposizione intende creare potrebbe anche spingere una settore dell’esercito di intervenire “al fine di ristabilire la legge e l’ordine”. Nelle ultime settimane ci sono state voci costanti di un colpo di stato in divenire. Martedì 17 maggio il leader dell’opposizione reazionaria Capriles, ha invitato l’esercito a ribellarsi contro il presidente, “al fine di sostenere la Costituzione”. Capriles, ovviamente, non è estraneo a colpi di stato, dato che ha giocato un ruolo nel colpo di stato reazionario, seppur di breve durata, di aprile 2002. Il Comando superiore dell’esercito ha ancora una volta dichiarato pubblicamente la sua fedeltà al movimento bolivariano. Ma tutto ha un limite.

Siamo a un crocevia molto pericoloso per la rivoluzione bolivariana. Un intervento militare, qualsiasi forma prendesse, sarebbe il preludio per una “transizione” verso la ripresa del controllo da parte dell’oligarchia del potere statale. Una settore della direzione bolivariana, alcuni degli elementi più corrotti, burocratici e riformisti si stanno già preparando ad abbandonare la nave e sarebbero del tutto pronti a partecipare ad una sorta di governo di transizione di unità nazionale, nella misura in cui venisse garantiti loro una sorta dell’immunità.

Allo stesso tempo, mentre un settore delle masse è stanco e logorato, vi è anche un altro settore di attivisti avanzati che sono molto arrabbiati e si sono radicalizzati come risultato della sconfitta elettorale di dicembre. Esiste un movimento dal basso che chiede la radicalizzazione della rivoluzione

Se la leadership bolivariana dovesse intraprendere un’azione chiara e decisa per affrontare il problema della scarsità dei generi alimentari, potrebbe riaccendere un’ondata di entusiasmo rivoluzionario. Tali misure potrebbero essere: il monopolio del commercio estero; l’espropriazione della produzione e della distribuzione di generi alimentari sotto il controllo democratico dei lavoratori, delle comunità e dei piccoli produttori contadini; il non pagamento del debito estero; l’espropriazione delle banche e delle grandi imprese; un piano nazionale democratico di produzione per soddisfare le esigenze della maggioranza della popolazione. Questo programma, se attuato, immediatamente provocherebbe uno scontro ancora più grande con l’oligarchia venezuelana e con i suoi padroni imperialisti, ma almeno avrebbe il vantaggio di rafforzarne ed estenderne l’appoggio tra le masse, che vedrebbero i loro problemi finalmente affrontati in modo serio.

Non abbiamo alcuna illusione. Se la destra raggiungesse i propri obiettivi di riacquisizione del pieno controllo del potere statale (con qualsiasi mezzo), il Venezuela non tornerebbe alla “normale” democrazia capitalista. No. Il programma della classe dominante in un paese colpito pesantemente da una massiccia crisi economica e sociale sarebbe quello della guerra ai lavoratori. Passerebbero all’offensiva contro tutte le conquiste sociali della rivoluzione. Affronterebbero allora una fiera resistenza da parte delle masse e dunque tenterebbero di schiacciare il movimento con la forza. In queste condizioni una nuova rivolta simile al Caracazo sarebbe del tutto possibile .

Toby Valderrama e Antonio Aponte lo hanno posto in maniera brusca in un recente articolo: “Il governo deve capire che la guerra economica, l’invasione straniera, gli attacchi da parte di portavoce stranieri, siano essi Almagro [segretario generale dell’Osa, ndt] , siano essi [l’ex presidente colombiano, ndt] Uribe, hanno tutti lo stesso nome: il capitalismo! E possono essere combattute solo con un’arma: il socialismo. Non è possibile combattere contro di loro all’interno del capitalismo, perché che non convince nessuno e non è possibile ottenere la vittoria. Questi sono tempi di decisioni, o si è rivoluzionari o si è capitalisti, le possibilità per la socialdemocrazia, di fare discorsi infuocati e poi agire come un pompiere, stanno giungendo al capolinea”

Il ragionamento è corretto. Come abbiamo spiegato, il tentativo di regolare il capitalismo è fallito. Ci sono solo due vie d’uscita: o tornare al capitalismo “normale” (cioè, per far pagare ai lavoratori il prezzo della crisi), o procedere verso il socialismo (cioè per far pagare ai capitalisti).

Non è troppo tardi. Il momento è di estremo pericolo. Tale pericolo può essere superato solo con fermezza e provvedimenti eccezionali. Basta con i tentennamenti. Portiamo la rivoluzione fino in fondo!

 

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