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Se si pensa che il problema siano i francesi… Sui reietti di Ventimiglia

400 profughi fermi a Ventimiglia. Vogliono attraversare la frontiera francese e recarsi lì dove hanno un famigliare, una promessa di lavoro, o semplicemente una lingua conosciuta con la quale ricominciare a costruirsi una vita.
Alcuni di loro molto probabilmente non vorranno neppure fermarsi in Francia, ma vorranno proseguire e tentare l’attraversamento di un’ulteriore frontiera, quella di Calais, da dove ogni giorno decide di profughi e richiedenti asilo tentano di eludere i controlli di polizia, rischiando anche la morte, per giungere in Gran Bretagna. Molti di noi in questi giorni hanno scoperto che la fortezza Europa non ha un unica sola barriera, quella del mar Mediterraneo, ma innumerevoli barriere, almeno tante quanti sono gli Stati che compongono l’Unione Europea. Frontiere che, attenzione, a Ventimiglia non sono state improvvisamente chiuse, come ipocritamente hanno affermato Renzi ed Alfano e come ingenuamente qualcuno ha ripreso pure a sinistra, imputando il vergognoso e disumano trattamento a cui sono stati sottoposti i profughi alla mancanza di solidarietà del governo francese, che per la verità in quanto a politiche razziste ed anti-operaie non è né peggiore né migliore del governo Renzi.
La Francia, in realtà, non ha sospeso gli Accordi di Schengen sulla libera circolazione. Ha continuato a rispettarli, come d’altra parte ha continuato a rispettare, nello stesso tempo, gli Accordi di Dublino. Infatti, se i primi stabiliscono e regolamentano la libera circolazione dei cittadini europei, così come quella dei migranti “regolari” fra gli Stati dell’Ue (con alcune sospensioni temporanee che i governi hanno deciso, molte volte per impedire l’afflusso di manifestanti in occasione di cortei internazionali), gli Accordi di Dublino regolamentano invece il diritto di asilo in Europa. Questi ultimi sono stati ratificati in due successive versioni, nel 2003 e nel 2008 e stabiliscono che lo Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo sia lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto per primo ingresso in Europa.  Singolare il fatto che tra i firmatari a nome del governo italiano  risultino anche due ministri leghisti, oggi particolarmente aggressivi contro l’applicazione delle leggi sull’asilo: Roberto Castelli, ministro della Giustizia nel 2003, e Roberto Maroni, ministro degli Interni nel 2008.
Negli ultimi anni, è diventato praticamente impossibile entrare in Europa in modo regolare. Quasi tutti i governi europei, ad eccezione della Germania, hanno posto limitazioni severe agli ingressi dei migranti. In Italia non esiste un vero e proprio decreto flussi dal 2010. I flussi migratori sono stati ridotti enormemente, tant’è che a partire dal 2008, nei territori dell’Unione Europea, le migrazioni extra-UE scendono alla velocità di circa il 12% l’anno. La classica migrazione per motivi economici (il migrante in cerca di lavoro) è stata letteralmente azzerata. Parallelamente, la crisi economica che ha investito l’Europa, motivando i governi borghesi dell’Ue (nulla importa se di destra o socialdemocratici) ad una politica migratoria più restrittiva, si è accompagnata alle crisi politiche, sociali ed economiche dei paesi africani, arabi, asiatici. La guerra condotta dall’imperialismo in Libia e le varie guerre civili in Medio Oriente (Siria, Kurdistan, Iraq) e in Africa (Mali, Nigeria), provocate da forze oscurantiste come l’Isis o Boko Haram e  foraggiate dalle potenze occidentali, spesso in funzione contro-rivoluzionaria, hanno finito per sconvolgere completamente lo scenario delle migrazioni internazionali. Se classicamente i migranti forzati (richiedenti asilo e rifugiati politici) costituivano una minoranza nell’ambito degli spostamenti internazionali delle persone, mentre i migranti in cerca di lavoro erano la gran parte, oggi questa distinzione non ha più senso. Chi fugge dal proprio paese, o, come nel caso di molti immigrati non libici provenienti dalla Libia, da un altro paese in cui era immigrato, lo fa per salvare la propria vita dalla guerra e dai tagliagole e dalla povertà. In assenza, però di un canale “regolare” d’ingresso, cancellato dalle politiche di riduzione o azzeramento dei flussi migratori, non rimane altro che tentare la fortuna sui cosiddetti barconi.
In conseguenza di ciò, Italia e Grecia si trovano effettivamente a dover sopportare la pressione maggiore. La loro collocazione geografica li rende un “ponte naturale” verso l’Africa e il Mediterraneo e quindi, in base agli Accordi di Dublino, sono i paesi, che più di qualsiasi altro paese europeo, devono accogliere i richiedenti asilo e pronunciarsi riguardo alla richiesta di protezione internazionale. Eppure non stiamo parlando di una pressione insostenibile, come saremmo tentati a credere se ci dovessimo basare solo sul rumore della grancassa mediatica e dei deliri paranoici di Salvini. Alcuni dati. In Italia i rifugiati a cui è stata riconosciuta una protezione internazionale sono 64mila. In Germania sono 590mila; in Libano, al confine con la Siria, 1 milione e 200mila (un quarto della popolazione totale); in Pakistan, al confine con l’Afghanistan, 1milione e 600mila. In questo momento, il governo Renzi sta cercando di trovare un accordo con i 28 paesi dell’Unione Europea, la cui popolazione è pari a 500milioni di persone, per la redistribuzione dei 40mila richiedenti asilo; giunti quest’anno in Italia. Nel 2013 Pakistan, Iran, Libano, Kenya, Turchia, Giordania, Ciad, Etiopia, che assieme formano un quinto del PIL dell’Unione Europea, hanno accolto quasi 6 milioni di rifugiati.
La ragione per cui difficilmente i paesi dell’Unione Europea riusciranno a trovare un accordo non ha quindi una base politica razionale, ma è più probabilmente fondata sulla paura che induce i governi a rincorrere le posizioni più razziste e xenofobe all’interno del proprio paese. Se in Francia il premier  socialista Hollande vuole mostrarsi agli occhi dei suoi elettori più lepenista della Le Pen, in Danimarca il governo socialdemocratico uscente non ha potuto evitare la sconfitta alle elezioni politiche e la vittoria dell’estrema destra, nonostante nelle ultime settimane avesse lanciato una politica di totale chiusura all’ingresso di nuovi migranti e rifugiati. Laddove non si cristallizza un’alternativa di sinistra alle politiche di austerità, la propaganda xenofoba attecchisce con più facilità quale copertura ideologica che prova a spiegare il peggioramento delle condizioni di vita. Anche in Italia, per quanto questo non si traduca in una mobilitazione razzista di massa, ma solo in aumento di voti della Lega Nord (che comunque è un incremento di consensi ancora contenuto), Matteo Salvini prova a costruire paure e capri espiatori trasformando i rifugiati in untori di malattie “esotiche” quali scabbia e tubercolosi, quando invece i dati recenti dell’Istituto Superiore di Sanità parlano chiaro ed indicano la recrudescenza in Italia di nuovi focolai di malattie infettive che si ritenevano sconfitte e che invece tornano a ripresentarsi a causa del peggioramento delle condizioni di vita e dei tagli alle spese sanitarie. Insomma, nessuno parte gravemente ammalato dall’Africa. Con tutte le prove che deve affrontare, non potrebbe sopravvivere. Molti invece si ammalano in Italia.

Quindi, i rifugiati sono lontani dall’essere dei “carnefici”, mentre invece le politiche dell’Unione Europea li confermano nuovamente come “vittime” di questo sistema. Infatti, queste persone che arrivano in Europa sperando di poter finalmente trovare giustizia, si ritrovano spesso inserite in una nuovo meccanismo di sfruttamento. Una volta ottenuta la protezione internazionale in Italia, per i rifugiati è molto improbabile potersi fermare e vivere in un paese in piena crisi economica, dove i posti di lavoro persi ogni mese sono a decine di migliaia. La legislazione europea prevede però che chi è in possesso di protezione internazionale possa spostarsi dentro i confini dell’Unione Europea. Nessun rifugiato, potrà essere fermato a Ventimiglia con in tasca il documento di protezione internazionale. Peccato però che al diritto di libera circolazione non corrisponda la possibilità di poter svolgere un’attività lavorativa regolare in uno Stato diverso da quello in cui la protezione internazionale è stata riconosciuta. Il rifugiato in questo caso può fermarsi per un massimo di 30 giorni, per esempio in Francia, ma poi fare ritorno in Italia. La realtà è quindi fatta di decine di migliaia di rifugiati con protezione internazionale che, per poter lavorare e sopravvivere, non possono fare altro che lavorare in nero, sfruttati e sottopagati, a Parigi, Londra, Berlino, ricadendo nella “clandestinità”, dopo aver ottenuto la protezione internazionale in Italia, dove dovranno tornare ogni volta che dovranno rinnovare i documenti.  
 
A Ventimiglia, come a Calais, Lampedusa, Ceuta e Melilla, Malta, Kos e Patrasso, non è una questione di solidarietà o di umanità che viene a mancare. Il problema risiede nell’Europa capitalista e nelle sue leggi politiche ed economiche. Un sistema che va rovesciato e rivoluzionato.

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