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Salvini a Napoli – Un bilancio della giornata dell’11 marzo

Matteo Salvini, nella sua discesa a Napoli, ha fallito nel suo intento. Il tentativo di rafforzare la sua presenza a Napoli e al Sud e racimolare un po’ di voti in vista delle prossime elezioni per la piena trasformazione della Lega in forza nazionale non ha funzionato.  Per garantire, infatti, un minimo di platea all’iniziativa i sostenitori di Noi con Salvini hanno dovuto organizzare la presenza da altre regioni. Lo svolgimento della convention, tenuta in una sala inaccessibile per chi non si fosse preventivamente registrato e all’interno di una zona rossa invalicabile, è stata possibile solo grazie alla protezione ricevuta da ben 1200 uomini delle forze dell’ordine.

Ma soprattutto contro il leader leghista sono scese in piazza migliaia di persone, un corteo partecipato e combattivo con una forte presenza giovanile, che ha legittimamente contrastato chi ha storicamente fatto dell’antimeridionalismo la propria bandiera.
In un tentativo maldestro, per lanciare la propria figura come leader nazionale della destra più reazionaria, Salvini deve superare i confini del suo insediamento tradizionale e propagandare al Nord come al Sud le sue idee razziste e xenofobe. Gli attacchi contro i meridionali nullafacenti e “senza cultura del lavoro”, per non parlare di quelli contro i giovani del Sud, sono messi in secondo piano per far leva sulla propaganda contro gli immigrati, sintetizzata nello slogan razzista “prima gli italiani”.

Il manifesto di Zerocalcare

Se la risposta napoletana è stata diversa da quella che avviene di solito nelle altre città, coinvolgendo non solo i settori militanti, lo si deve tanto alla tradizionale avversione alle politiche leghiste quanto alla vitalità politica di Napoli che in questi anni ha provato ad esprimere un’alternativa, seppur parziale, al quadro nazionale.
Il corteo contro Salvini a Napoli ha dato il via ad una serie di polemiche, dentro c’è finito di tutto: dal diritto democratico di manifestare idee razziste e xenofobe, allo scontro istituzionale tra Comune e Ministero degli Interni, fino alla sempreverde condanna della violenza.
Lo scontro tra Salvini e De Magistris ha amplificato la portata politica dell’iniziativa della Lega, tanto che oggi il sindaco di Napoli emerge come il principale oppositore di Salvini e della Lega non solo a livello napoletano ma nazionale. Riteniamo sacrosanta l’idea di denunciare che Salvini a Napoli non è il benvenuto e che non avrebbe dovuto godere del diritto a manifestare le sue idee razziste. Chi ha fatto appello alla democrazia, al libero e pacifico diritto di tutti di poter esprimere le proprie opinioni, coscientemente o meno, non fa altro che svelare tutta l’ipocrisia di un sistema in bancarotta. In un Paese in cui per chi lotta e aspira ad una società migliore vi è un continuo restringimento degli spazi democratici, dove difendere il proprio posto di lavoro, il proprio diritto ad avere una casa o una vita dignitosa è considerato un crimine, ci si ricorda della democrazia per difendere Salvini e le sue campagne volte a fomentare l’odio. Il Ministro dell’Interno Minniti è stato il campione di questa operazione. Com’è noto, il giorno prima dell’iniziativa di Salvini, gli attivisti della rete Mai con Salvini avevano occupato la sede della Mostra, riuscendo ad ottenere che il contratto per l’utilizzo della sala venisse rescisso, ma il Ministro “democratico” ha obbligato che l’iniziativa si facesse. L’ipocrisia, sua e dell’intero PD, è evidente se si considera che l’ente Mostra è stato nei fatti commissariato, imponendo la manifestazione di Salvini in quegli spazi, nonostante la contrarietà del Comune di Napoli e l’ostilità diffusa in città. Minniti quindi ha prima imposto la presenza di Salvini e poi l’ha utilizzata come elemento di battaglia politica contro De Magistris, attribuendogli la responsabilità degli scontri, che data la dinamica provocatoria degli eventi, erano facilmente prevedibili.

Il copione che ne è seguito poi è un classico: il circo mediatico su fantomatiche molotov, auto incendiate, un quartiere distrutto, la criminalizzazione vergognosa dei centri sociali e un coro di unità nazionale in difesa di Salvini. La questione non può essere posta sul terreno di cosa la Costituzione garantisce o meno a Salvini, è sul terreno politico che va contrastato e delegittimato. Il corteo di Napoli ha segnato una demarcazione evidente tra Pd, Lega e l’insieme delle forze politiche che compattamente difendono Salvini sulla base del legalitarismo, dandogli piena legittimità politica e democratica, e De Magistris, che è uscito da questa vicenda mantenendo la sua posizione. Come hanno fatto notare altri, lo scorso anno, la questura e lo stesso Pd a Bologna avevano ritenuto opportuno rifiutare la piazza a Salvini, la strumentalità è quindi evidente ed è ridicolo che avvenga mentre gli stesso plaudono alla decisione del governo olandese di vietare un comizio del ministro degli esteri turco a difesa della riforma costituzionale liberticida di Erdogan.
Intanto, per chi ha partecipato agli scontri a Napoli si ipotizza il reato di devastazione e saccheggio, mentre sono stati rilasciati, con l’obbligo di firma e in attesa del processo, i due attivisti fermati con l’accusa pretestuosa di resistenza a pubblico ufficiale.
Non siamo fra coloro che pensano che la radicalità di un corteo si misuri col numero di petardi, fermi e denunce, senza cui le manifestazioni sarebbero sempre e comunque passeggiate al sole, innocue e quindi inutili. E il corteo di sabato, con le iniziative messe in campo nelle settimane precedenti, il suo messaggio a Salvini l’avrebbe mandato comunque, facilitato da un tema su cui vi è un ampio consenso.
Di fronte ad una zona militarizzata, dove la polizia con blindati ed idranti ha rincorso l’intero corteo per chilometri al fine di disperderlo, non c’era nessuna possibilità di contrastare Salvini sul terreno della forza. È un dato che, per quanto banale, si scontra con l’idea di volersi porre sul terreno simbolico e mediatico, per cui la priorità è dimostrare, con gli scontri, la determinazione di un settore di attivisti, a prescindere dalla loro efficacia.
Esempi storici in cui la mobilitazione e lo scontro di piazza hanno sconfitto la destra reazionaria non mancano. Senza scomodare le quattro giornate di Napoli, che furono un’insurrezione popolare, basterebbe richiamare ai fatti di Genova nell’estate del ’60, quando la città medaglia d’oro per la resistenza, fece saltare il previsto congresso dei fascisti dell’MSI, dopo giornate di mobilitazioni e scontri, con uno sciopero generale e un corteo con centomila persone, la classe operaia e i giovani che si affacciavano per la prima volta alla politica in prima fila. Certo, in un contesto diverso e con organizzazioni di massa impegnate nella costruzione della mobilitazione.

Se il nostro obiettivo è quello di sconfiggere fino in fondo le idee reazionarie e fasciste dobbiamo lavorare quotidianamente affinché non solo una minoranza combattiva sia protagonista della lotta contro il sistema ma larghi strati della società. Solo se ci muoviamo in questa direzione la campagna mediatica, funzionale a creare ulteriori distanze tra pezzi già politicamente organizzati e giovani e lavoratori stanchi di questo sistema economico e politico, sarà inutilizzabile.
Al netto delle strumentalizzazioni dei media, del PD e della Lega, la mobilitazione contro Salvini ha suscitato il sostegno di tutti coloro i quali si oppongono alla sua deriva razzista, a Napoli come altrove. La mobilitazione napoletana ha visto, in piccolo e in fase embrionale, quello che domani può accadere su scala più ampia ed è questo che spaventa la classe dominante.

 

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