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L’eterno ritorno dell’“europeismo di sinistra”

Come è giusto, la questione dell’Europa assume un’importanza centrale anche in questa campagna elettorale.

Dal trattato di Maastricht al Patto di stabilità e crescita fino al Fiscal compact, l’Ue è stato il cane da guardia del grande capitale finanziario e in particolare del capitale tedesco per imporre la distruzione dei servizi pubblici (scuola, sanità, trasporti…), delle pensioni, dei diritti sul lavoro, per imporre privatizzazioni a tappeto, precarizzazione dilagante e la demolizione dei diritti nei luoghi di lavoro.

Per anni a sinistra si è parlato di modificare questi trattati e di lottare per una “Europa dei popoli”. Crediamo che sia una posizione utopistica e velleitaria e lo ha dimostrato il caso della Grecia: un governo appena eletto, spalleggiato da un referendum popolare che gli aveva conferito a larga maggioranza il netto mandato di rifiutare gli accordi capestro imposti dalla Troika (Bce, Ue, Fondo monetario), ha capitolato nel giro di una settimana. Non solo non c’è stata nessuna modifica, ma neanche una trattativa, come ha ammesso l’allora ministro Varoufakis.

Tutti quelli che tre anni fa dicevano “costruiamo la Syriza italiana” oggi dove sono? Che bilancio hanno tratto? Nessuno, ripropongono la stessa posizione.

Poiché oggi Syriza e Tsipras non sono più tanto popolari, ci parlano di Podemos o di Melenchon. Anziché guardare in faccia la realtà si cerca una nuova icona da sbandierare.

Peraltro la posizione di “modificare i trattati” oggi è un terreno di discussione e possibile incontro in Europa tra il Partito socialista europeo, che continua a prendere legnate in ogni elezione, e la Sinistra europea (quella di cui fanno parte tra gli altri Syriza, Izquierda Unida, Rifondazione, ecc.).

Non a caso il leader di Podemos, Pablo Iglesias ha dato il suo appoggio esplicito alla lista di Liberi e Uguali mentre i suoi alleati di Izquierda Unida hanno dichiarato nell’assemblea romana del 17 dicembre all’Ambra Jovinelli che ci vuole “qualcosa di più ampio della stessa Sinistra europea”.

Anche in queste elezioni il grosso della sinistra rimane quindi collocato nel campo dell’europeismo di sinistra.

Non c’è riforma possibile dell’Unione europea, che è una struttura nata e cresciuta con l’unico esplicito fine di concentrare la forza economica e politica del capitale nel nostro continente. Le sue istituzioni servono a questo e non c’è riforma possibile che possa cambiarne la natura di classe.

Noi non siamo nazionalisti, non vogliamo il ritorno alle piccole patrie e a una sovranità nazionale ormai puramente nominale. Ma i popoli del nostro continente, e non solo, potranno unirsi solo dopo avere demolito l’Unione europea capitalista.

Una federazione volontaria, democratica e socialista: questa è l’unica vera alternativa progressista all’Unione europea e a tutte le istituzioni del capitale.

Quanto all’unità, questa è giusta e necessaria anche tra forze politiche con programmi diversi, ogni volta che si può condurre una lotta comune per un obiettivo chiaro. Ma le “unità” che servono a nascondere le contraddizioni tra posizioni profondamente diverse su questioni importanti finiscono sempre in cocci, come dovremmo avere ormai imparato.

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