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Lenin, Trotskij e i bolscevichi nel 1917

Luglio 1917: Lev Trotskij aderisce al Partito bolscevico assieme ai mezrajontsi, gli “interdistrettuali”. Un gruppo di circa 4mila membri, forte soprattutto fra il proletariato di Pietrogrado comprendente figure del calibro di Urickij, Joffe, Lunačarskij, Riazanov e Volodarskij, che giocheranno un ruolo centrale nell’Ottobre e, in seguito, nel gruppo dirigente del partito. L’adesione di Trotskij al bolscevismo rappresenta l’espressione, dal punto di vista organizzativo, di un accordo politico sostanziale tra quest’ultimo e la linea di Lenin.

La propaganda di matrice stalinista, con il contributo di alcuni storici scarsamente documentati, ama ritrarre un Trotskij “menscevico” fino al 1917, protagonista di furibondi scontri quotidiani con Lenin. In realtà, Trotskij rompe con i menscevichi già nel 1904, l’anno successivo al famoso II congresso del Posdr, che sancisce la spaccatura fra le due correnti della socialdemocrazia russa.

Il dissenso fondamentale con Lenin si incentra sulle possibilità di riconciliazione fra queste due correnti. Trotskij credeva, sulle basi dell’esperienza del 1905, che una nuova ondata rivoluzionaria in Russia avrebbe spinto a sinistra i migliori elementi del menscevismo (tra cui Martov) e portato a una unificazione delle forze del marxismo russo. Vuole evitare una divisione definitiva della socialdemocrazia che avrebbe prodotto un effetto demoralizzante. Ricordiamo che lo scontro del II congresso giunse come uno shock per tantissimi militanti all’interno della Russia e che l’effettiva costituzione di due partiti separati non avvenne che nel 1912.

Tuttavia, Trotskij si sbagliava. A differenza di Lenin non comprendeva che l’unità poteva essere raggiunta solo dopo una rottura con tutte le correnti opportuniste e sulla base della costruzione di un “partito marxista disciplinato e centralizzato”, l’unica struttura che potesse formare un’avanguardia immune dal pessimismo tipico degli opportunisti. Trotskij in seguito ammise in più occasioni che Lenin aveva ragione sulla questione del partito.

Nel corso dei 14 anni che intercorrono tra il II congresso e la rivoluzione d’Ottobre, Lenin e Trotskij condividono una posizione comune su due fra le questioni decisive per ogni marxista: l’atteggiamento verso la borghesia liberale e verso la guerra imperialista.

 

La natura della borghesia russa

L’unità di vedute rispetto ad una presunta natura progressista della borghesia era visibile già durante il 1905, ma viene confermata da un dibattito avvenuto nel congresso di Londra del 1907, dove Lenin appoggiò un emendamento proposto da Trotskij per un blocco contro la borghesia liberale.

“Questi fatti – commentò Lenin – sono per me sufficienti per riconoscere che Trotskij si è avvicinato alle nostre opinioni. Lasciando da parte la questione della ‘rivoluzione ininterrotta’, abbiamo una visione comune nei punti fondamentali rispetto all’atteggiamento verso i partiti borghesi.” E ancora: “L’emendamento di Trotskij non è menscevico, ma esprime la stessa identica idea, vale a dire quella bolscevica.” (V.I. Lenin, Collected works, vol. 12, pag. 470).

Tutte le tendenze all’interno della socialdemocrazia russa concordavano che la prossima rivoluzione sarebbe stata una rivoluzione democratico-borghese, i pareri discordavano su quale sarebbe stata la classe che avrebbe guidato tale rivoluzione contro l’autocrazia zarista. L’errore teorico fondamentale dei menscevichi era pensare che la lotta rivoluzionaria sarebbe stata guidata dalla borghesia russa, come già era successo in altri paesi nel passato, e che il compito del proletariato sarebbe stato quello di appoggiare la suddetta borghesia.

Lenin e Trotskij invece concordavano sul fatto che la classe capitalista russa non avrebbe giocato alcun ruolo rivoluzionario e che nel momento dello scontro rivoluzionario, si sarebbe schierata inevitabilmente dalla parte della controrivoluzione. L’indipendenza del movimento operaio nei confronti della borghesia “liberale” era dunque una questione di principio per i due marxisti.

Lo slogan di Lenin, “dittatura democratica del proletariato e dei contadini” era criticato da Trotskij per la sua vaghezza, dato che non specificava quale delle due classi avrebbe esercitato la dittatura. Nell’opinione di Lenin, tale vaghezza non era casuale. Prima del 1917 non escludeva la possibilità che la classe contadina avrebbe avuto il predominio nella coalizione fra le due classi, ossia che la rivoluzione russa non avrebbe oltrepassato i compiti classici di una rivoluzione borghese, a partire dalla riforma agraria.

Trotskij ribatteva che in tutto il corso della storia i contadini non avevano mai giocato un ruolo indipendente. Il destino della rivoluzione russa sarebbe stato stabilito da chi, tra la borghesia e il proletariato, avrebbe avuto la direzione delle masse contadine. Una dittatura del proletariato, in alleanza con i contadini poveri, non si sarebbe fermata a metà strada limitandosi a realizzare i compiti della rivoluzione democratico-borghese, ma sarebbe inevitabilmente passata a quelli socialisti. L’abbattimento del capitalismo avrebbe rappresentato un esempio colossale da seguire per i lavoratori di tutto il mondo. Ed era solo tramite la vittoria della rivoluzione socialista internazionale (su questa c’era completa identità di vedute tra i due marxisti) che una Russia rivoluzionaria avrebbe potuto sopravvivere.

Questa è l’essenza della teoria della rivoluzione permanente. Come più volte accaduto nella storia del marxismo, è nel fuoco degli avvenimenti che le teorie verificano la loro validità e la prova decisiva è rappresentata dalla rivoluzione, un passaggio storico in cui il movimento rivoluzionario viene sottoposto a formidabili pressioni contrapposte, da una parte della propria classe, dall’altra dalle classi avverse. Lenin e Trotskij superarono la prova. Buona parte della “vecchia guardia” bolscevica, no.

 

Dopo la rivoluzione di febbraio

Nell’aprile del 1917 Lenin si esprime con estrema chiarezza riguardo allo slogan adottato dal Partito fino a quel momento: “Chiunque parli oggi di una ‘dittatura democratica-rivoluzionaria del proletariato e dei contadini’ è rimasto indietro nel tempo ed è di conseguenza passato dalla parte della piccola borghesia, contro la lotta della classe proletaria. Merita di essere consegnato agli archivi delle antichità pre-rivoluzionarie ‘bolsceviche’ (che si potrebbe chiamare l’archivio dei vecchi bolscevichi).”

E poi, criticando Kamenev, che dichiarava come la rivoluzione democratico borghese non fosse completata, risponde: “No, questa formula è antiquata. È priva di senso. È morta. E tutti i tentativi di farla rivivere saranno vani”. (Lenin, Letter on tactics. Selected works, vol. 6, pagg 34-35).

L’esperienza della rivoluzione di Febbraio aveva risolto ogni dubbio teorico. Quella rivoluzione che aveva abbattuto lo zarismo aveva dimostrato che non c’era alcuna ragione oggettiva per la quale la classe operaia non potesse prendere il potere. Gli impedimenti erano di natura puramente soggettiva, la mancanza di preparazione, la mancanza di organizzazione e, soprattutto, la debolezza del partito rivoluzionario.

Infatti, mentre nelle settimane successive al febbraio gli articoli scritti da Trotskij in America seguivano la stessa linea di pensiero delle Lettere da lontano di Lenin, la direzione bolscevica all’interno del paese, guidata da Kamenev e da Stalin, balbettava, incapace di adottare una linea indipendente. Tutta la confusione dei “vecchi bolscevichi” fu riassunta nella parola d’ordine di appoggio critico al governo provvisorio, sostenuta nelle pagine della Pravda.

Negli anni precedenti, difficili, della Prima guerra mondiale, Lenin e Trotskij avevano portato avanti una posizione internazionalista che aveva ampi tratti comuni, espressa nelle conferenze di Zimmerwald (1915) e Kienthal (1916), all’insegna dell’intransigenza rivoluzionaria. Tanto che Lenin, dopo l’Ottobre poteva affermare: “Sulla questione della guerra i mezrajontsi assunsero una posizione internazionalista e la loro tattica era vicina a quella bolscevica.” (V. I. Lenin, Opere complete, vol. 14, pag 358)

Dopo la rivoluzione di febbraio i dirigenti bolscevichi capovolgono la posizione di Lenin, ancora in esilio in Svizzera, come si può leggere in un editoriale della Pravda: “Il nostro slogan non è quello, privo di significato, di ‘Abbasso la guerra’. Il nostro slogan è quello di operare una pressione sul Governo provvisorio con l’obiettivo di costringerlo ad indurre tutti i paesi in guerra ad aprire negoziati immediati (…) Fino ad allora tutti gli uomini devono rimanere ai loro posti di combattimento.” (M. Liebman, Leninism under Lenin, Londra 1975, pag. 123).

Solo dopo l’arrivo di Lenin, attraverso le famose tesi di aprile (di cui abbiamo trattato in precedenti articoli) ed attraverso una dura battaglia all’interno del Partito, fu possibile riarmare dal punto di vista teorico i bolscevichi e condurli alla conquista della maggioranza del proletariato russo. In quest’opera il ruolo di Trotskij, tornato in Russia circa un mese dopo Vladimir Ilic, fu senza dubbio rilevante.

Come spiega il bolscevico Raskolnikov nel 1923: “Lev Davidovic [Trotskij] non era all’epoca formalmente un membro del nostro partito, ma in realtà ha lavorato al suo interno in maniera continuativa dal giorno del suo arrivo dall’America. In ogni istante, subito dopo il suo primo discorso al Soviet, lo consideravamo tutti come uno dei nostri dirigenti del partito.” (citato in A. Woods e T. Grant, Lenin and Trotsky, What they really stood for, Wellred books, pag 58).

Nel luglio, avvicinandosi il congresso bolscevico, Trotskij scrive sulla Pravda: “È mia opinione che non ci sia attualmente alcuna differenza di principio tra le organizzazioni degli interdistrettuali e dei bolscevichi. Dunque non ci sono motivi che giustifichino l’esistenza separata delle due organizzazioni.” (E. H. Carr, La rivoluzione bolscevica, citato in A. Woods e T. Grant, op. cit, pag 58).

Uno dei motivi che porta Trotskij ad aspettare il congresso di luglio e non entrare subito nel partito di Lenin fu proprio quello di portare tutta l’organizzazione degli interdistrettuali ad aderire ai bolscevichi.

Tale era la convergenza fra le due organizzazioni che, prima della fusione non fu necessario alcun periodo di prova per chi proveniva dai mezrajontsi (contrariamente alla prassi normale) e che l’anzianità di militanza nel loro gruppo valse anche per il partito bolscevico.

Trotskij in quello stesso congresso viene eletto nel Comitato centrale del partito ed è uno dei quattro candidati (insieme a Lenin, Zinov’ev e Kamenev) a ricevere il maggior numero di voti, 131 su 134.

L’adesione di Trotskij al partito bolscevico non avviene sulla cresta dell’onda dell’avanzata della lotta di classe, ma bensì nel periodo più duro della repressione borghese che, dopo le giornate di luglio, costringe Lenin a fuggire in Finlandia, mentre lo stesso Trotskij ed altri dirigenti bolscevichi
vengono arrestati.

Il fallito colpo di Stato di Kornilov, sconfitto grazie alla corretta tattica di fronte unico utilizzata dai bolscevichi e non certo per la pavidità di Kerenskij, che intanto era stato nominato capo del governo provvisorio, ribalta completamente i rapporti di forza e conferisce una grande autorevolezza ai bolscevichi, che nel mese di settembre conquistano la maggioranza dei soviet, non solo nelle grandi città, ma anche al fronte. Come risultato, nel settembre Trotskij viene eletto Presidente del Soviet di Pietrogrado.

È in questo momento che Lenin spinge per organizzare concretamente l’insurrezione che avrebbe dovuto rovesciare il governo provvisorio e conferire tutto il potere nelle mani dei soviet.

 

Alla vigilia dell’Ottobre

E proprio in questo momento decisivo che alcuni vecchi bolscevichi, come Zinov’ev e Kamenev, si oppongono all’insurrezione armata. Il partito vacilla più volte ed è solo per l’estrema determinazione di Lenin (che come atto estremo minaccia di dimettersi dal Comitato centrale e di rivolgersi direttamente ai marinai e ai soldati del Baltico per rovesciare Kerenskij), che alla fine il Cc bolscevico si esprime a favore dell’insurrezione. Trotskij in questa fase condivide la linea di Lenin e svolge un ruolo indispensabile nella preparazione dell’insurrezione come presidente del Soviet di Pietrogrado ed organizzatore del Comitato militare rivoluzionario.

Pochi giorni dopo la vittoria della rivoluzione, Lenin è costretto ad intervenire nuovamente, avvertendo il pericolo rappresentato dalle tendenze conciliazioniste anche dopo la presa del potere. Il 14 novembre tre membri del Comitato centrale (Kamenev, Zinov’ev, Nogin) rassegnano le dimissioni in dissenso con la politica del partito e pubblicano una sorta di ultimatum chiedendo la formazione di un governo di coalizione con i menscevichi e i socialrivoluzionari.

I due partiti riformisti, tra le condizioni per un accordo, propongono precisamente l’eliminazione dal governo di Lenin e Trotskij, condizione che i bolscevichi conciliazionisti sono disposti a discutere. Lenin si pronuncia risolutamente contro l’accordo, in un discorso che termina con le parole “nessun compromesso”, e in cui pronuncerà le seguenti parole: “Per ciò che riguarda una coalizione, non posso parlarne seriamente. Trotskij tempo fa disse che un’unione era impossibile. Trotskij lo ha compreso, e da quel momento non c’è stato bolscevico migliore”. (A. Woods e T. Grant, op. cit., pag. 61).

Questo passaggio, come molti altri presenti nella prima edizione delle opere compete di Lenin, è stato rimosso dagli “storici” staliniani nelle edizioni successive.

La rivoluzione d’Ottobre, il più grande evento della storia dell’umanità chiude un cerchio e salda di nuovo, e in maniera definitiva, il percorso politico di Lenin e Trotskij.

Non a caso Lenin nel 1919 poteva affermare che “il bolscevismo ha attirato a se tutti i migliori elementi delle correnti del pensiero socialista che erano più vicine ad esso”.

Non dubitiamo neppure per un attino che se la direzione del partito fosse stata nelle mani di Stalin, Kamenev o Zinov’ev invece che in quelle di Lenin e Trotskij la rivoluzione russa sarebbe stata destinata alla sconfitta.

In seguito ricadrà sulle spalle di Trotskij e di chi lo seguirà nell’Opposizione di sinistra e poi nella Quarta internazionale l’onere e l’onore di mantenere vivo e di sviluppare il pensiero bolscevico leninista contro la degenerazione stalinista.

Ed oggi tocca a noi, nel centenario del 1917, ristabilire la verità storica sul percorso di lotta e di dibattito teorico dei due più grandi rivoluzionari del ventesimo secolo: Vladimir Lenin e Lev Trotskij.

 

(7 – continua)

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