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Le “giornate di luglio”

Il punto critico nel quale le speranze suscitate dalla prima rivoluzione si rivelano illusorie giunge a fine giugno 1917. Il governo provvisorio disattende tutte le promesse, in particolare sulla guerra che non solo non cessa, ma viene rilanciata da Kerenskij, ministro della guerra, con l’offensiva di fine giugno.

Una consistente avanguardia, fra gli operai e la guarnigione di Pietrogrado, è pronta a passare all’azione.

Ma un’avanguardia, per quanto decisa, non rappresenta la massa. Per migliaia di operai e soldati pronti ad agire, ce ne sono milioni, soprattutto al fronte, che ancora vivono delle speranze della fase precedente. La posizione del partito bolscevico è di attendere che si manifestino pienamente le conseguenze nefaste dell’offensiva al fronte, prima di lanciare le masse in una nuova offensiva.

L’impazienza della base inizia quindi a investire lo stesso partito bolscevico, i suoi appelli alla calma non vengono compresi. Dopo giornate di fermento crescente, il 3 luglio il movimento esplode. Sotto la spinta di agitatori improvvisati, fra i quali alcuni anarchici, il 1° reggimento mitraglieri decide di scendere in piazza in armi. Trova facilmente alleati nella guarnigione e nelle fabbriche. Sono a decine di migliaia, ad assediare i dirigenti socialisti conciliatori asserragliati nel Palazzo di Tauride, sede del Comitato esecutivo dei soviet.

A notte fonda, trentamila operai delle officine Putilov convergono sulla piazza antistante al Palazzo, decisi ad ottenere i loro obiettivi.

Il partito bolscevico non ha promosso la manifestazione del 3 luglio, ma di fronte a questa esplosione la sera del 3 il Comitato centrale decide di aderire al movimento, facendo appello a operai e soldati a “far conoscere la loro volontà con una manifestazione pacifica e organizzata ai Comitati esecutivi”. L’obiettivo non è rovesciare il governo, ma impedire che il movimento vada a uno scontro decisivo privo di direzione e organizzazione.

Il 4 luglio è il culmine del movimento. Sono forse 500mila a scendere in piazza, fra i quali diecimila marinai armati e inquadrati giunti dalla fortezza di Kronstadt. Scaramucce e scontri a fuoco con ufficiali e cosacchi leali al governo.

Il movimento esige che i socialisti conciliatori (ancora maggioranza nei soviet, è bene ricordarlo) rompano con i loro alleati borghesi, prendano il potere e finalmente realizzino le promesse del febbraio, innanzitutto quella della pace.

I capi socialisti tergiversano e balbettano ai manifestanti che il loro comportamento è “controrivoluzionario”. Un operaio inveisce contro il ministro socialrivoluzionario Cernov: “Prendi il potere quando te lo danno, figlio di cagna!” I riformisti, rimasti di colpo senza una base, cercano ovunque truppe disposte a difenderli e a reprimere il movimento.

Ma il fronte e le province rimangono per lo più inerti. Il governo poteva essere facilmente rovesciato, ma Pietrogrado sarebbe finita come una nuova Comune di Parigi, o come, 18 mesi dopo, finì la Berlino dell’insurrezione spartachista.

La notte del 4 luglio il governo trova finalmente le “sue” truppe, radunate mostrando loro le “prove inconfutabili” che Lenin e i bolscevichi altro non sono che agenti pagati del governo tedesco. Il movimento rifluisce mentre dilaga la grande calunnia. Il partito bolscevico deve rifugiarsi in una semiclandestinità. Ma ha provato la sua lungimiranza e al tempo stesso la sua lealtà completa alle masse rivoluzionarie, anche quando queste si avventurano in azioni premature. Nella temporanea sconfitta che segue il luglio si compie così un altro passaggio fondamentale nell’educazione rivoluzionaria di quelle masse.

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