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La Lega – Da sempre forti con i deboli e deboli con i forti

In queste settimane preelettorali la Lega per raccattare voti si propone come paladina a difesa dei lavoratori e degli interessi del made in Italy nella lotta contro l’austerità imposta dall’Ue. Sotto la veste del severo padre di famiglia (o della patria, padana o italica essa sia) che lotta per il bene degli italiani (prima il bene era riservato solo ai padani…), il programma di Salvini è reazionario ed intriso di razzismo.

Per servire gli interessi della grande borghesia nazionale a dovere, Salvini ha la necessità di distogliere l’attenzione dei lavoratori, giovani e pensionati dalle responsabilità del capitalismo italiano riguardanti la crisi e puntare il dito oltreconfine, contro Bruxelles e contro i migranti.

La Lega rispolvera la solita ricetta contro i problemi del sistema capitalista in rovina:

– esiste un capitalismo responsabile ed un capitalismo che pensa solo al profitto (soprattutto quello che non veste il tricolore);

– appoggiarsi sulla piccola borghesia impoverita urlando contro le intromissioni del capitalismo europeo negli affari del paese ed appellandosi ad una riforma del sistema bancario maggiormente legato agli interessi del capitalismo nazionale e con una maggiore vigilanza da parte di Bankitalia sugli investimenti delle banche italiane;

– abbassare le tasse alle imprese perché altrimenti sono costrette a lavorare in nero;

– richiedere che l’Ue restituisca agli italiani i miliardi di euro versati per il fondo salvastati che è servito a salvare le banche straniere;

– far prevalere la costituzione italiana sul diritto comunitario;

– l’ennesimo condono fiscale alle imprese che non pagano i tributi;

– tagli agli sprechi della spesa pubblica, incentivando la competizione pubblico-privato;

– controllo dei confini nazionali;

– rimpatrio di tutti gli immigrati clandestini, compresi i cosiddetti immigrati economici;

– dividere i lavoratori su basi nazionali e religiose, come fanno i suoi amici di Casa Pound.

Sono molti gli approfondimenti che si potrebbero fare ma vogliamo concentrarci su alcuni punti forti della propaganda leghista per smascherare l’ipocrisia e le contraddizioni di questo partito, spiegando qual è il filo conduttore strategico storicamente portato avanti da Bossi, Maroni e Salvini.

Sulla “difesa delle pensioni”

Salvini oggi sventola la bandiera dell’abolizione della legge Fornero ma nell’accordo per il programma di governo firmato il 19 gennaio assieme a Berlusconi e a Meloni non cita la parte rimanente del punto, che prevede una “nuova riforma previdenziale economicamente e socialmente sostenibile”. Berlusconi, dopo aver firmato l’accordo di programma, ha affermato al Sole 24 ore il 27 gennaio che il limite per andare in pensione resterà quello dei 67 anni salvo alcune eccezioni e solo per un periodo limitato perché non si possono far saltare i conti dell’Inps. Salvini fa finta di non capire che una nuova riforma previdenziale economicamente e socialmente sostenibile e contemporaneamente compatibile con la crisi economica non significa altro che una falsa promessa ai lavoratori.

È utile anche ricordare un altro paio di esempi di politica sulle pensioni adottata dai leghisti quando erano al governo.

Nel 2004 durante il secondo governo Berlusconi l’allora ministro leghista Maroni fece approvare l’innalzamento dell’età pensionabile da 57 a 60 anni per gli uomini mentre per le donne rimanevano i 57 anni ma dovevano accettare in cambio un assegno pensionistico da fame. Non era ancora scoppiata la crisi ma la ricetta per tagliare la spesa pubblica era come al solito quella di colpire i lavoratori, specialmente se donne. I paladini dei lavoratori…

L’ultimo governo Berlusconi con le leggi n. 102/2009 e 122/2010 proseguì sulla scia della riduzione della spesa pubblica per gestire la crisi economica in corso. La prima legge prevedeva una cura particolare riservata alle sole lavoratrici del pubblico impiego: invocando la parità di genere, veniva alzata a 65 anni la quota per accedere alla pensione di vecchiaia. Con la seconda legge stabilì che per i lavoratori dipendenti che maturavano i requisiti per andare in pensione l’assegno sarebbe pervenuto soltanto un anno dopo: i lavoratori potevano anche starsene a casa per un anno ma senza una retribuzione e senza ricevere la pensione. Di cosa potevano vivere intanto? La Lega non poteva certo votare contro. Cosa non si fa per il rigore!

Sulla “tutela dei lavoratori”

Nell’estate del 2011, nel pieno della crisi economica il governo Berlusconi, ormai al crepuscolo e sotto il diretto controllo della Bce, di Bankitalia e su mandato di Germania e Francia, necessitava di regalare ai padroni altri strumenti normativi per sfondare le già deboli resistenze dei sindacati.

Il famigerato art. 8 del decreto legge 138/2011, voluto dal ministro del Pdl Sacconi ed emanato il 13 agosto in pieno periodo balneare, prevedeva la possibilità che a livello aziendale ciascun padrone potesse proporre (meglio dire Minacciare) alle organizzazioni sindacali deroghe in peggio ai ccnl (dall’orario di lavoro all’inquadramento professionale) e perfino alla legge. Senza lo scudo del ccnl ogni lavoratore è più debole e in una situazione di crisi economica profonda si apriva la porta a sempre maggiori ricatti, all’aumento dello sfruttamento e alla diminuzione dei salari.

E la Lega che fece? Essendo parte della maggioranza di governo non si tirò certo indietro. Dimenticatasi improvvisamente di essere da sempre contro l’Europa dei burocrati ecc…, consapevole di regalare ai padroni la possibilità di sfondare e spinti dalla fascinazione del ritorno alle gabbie salariali, votò a favore del provvedimento.

A quasi sette anni di distanza possiamo vedere che i loro obiettivi sono stati raggiunti: i Ccnl vengono sempre più spesso derogati e grandi aziende come Fiat si sono fatte il proprio contratto su misura; gli aumenti contrattuali sono irrisori e ci sono casi in cui i padroni pretendono di avere di ritorno dei soldi già erogati o elargiscono unilateralmente degli aumenti; crescono i licenziamenti disciplinari così come la precarietà del lavoro.

Potremmo aggiungere altre schifezze come l’approvazione del Collegato lavoro nel 2010; il blocco pluriennale delle assunzioni e degli aumenti contrattuali ai dipendenti pubblici; il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro di docenti e Ata nel settore dell’istruzione ma per brevità passiamo ad episodi più recenti.

Nel 2016 la Cgil presentò un referendum per abrogare l’utilizzo dei voucher. Questo avrebbe dovuto tenersi nel 2017. Il governo Pd, dopo la scoppola della sconfitta subita sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 e dopo le dimissioni di Renzi, preferì non rischiare una nuova batosta di massa ed emanò un decreto legge per abrogare i voucher. La Lega poi votò contro in Parlamento. Nonostante milioni di lavoratori li considerassero uno strumento vessatorio, la Lega non poteva permettersi di negare ai padroni (soprattutto del nord) la possibilità di utilizzare uno mezzo che era la bandiera della precarietà e del lavoro sottopagato. Contrariamente a quanto pensa Salvini, i voucher non sono una soluzione contro il lavoro nero ma una delle tante forme di sfruttamento che, combinate assieme al lavoro nero, sono necessarie nel sistema capitalista per comprimere i salari.

E cosa aggiungere alle dichiarazioni dicembrine di Salvini sul Job’s act, che secondo lui non va abrogato ma solo emendato perché i governi precedenti hanno fatto delle leggi che complicano la vita a chi vuole dare lavoro? I padroni ormai assumono nella stragrande maggioranza dei casi con contratti a termine e la tendenza è di assumere soprattutto nelle classi retributive basse; sono diminuite le accensioni di rapporto di lavoro a tempo indeterminato; sono esplose le assunzioni contratti di somministrazione; il lavoro a chiamata ha sostituito lo strumento dei voucher; aumentano i licenziamenti disciplinari; l’art. 18 è stato distrutto ed il Job’s act va cambiato perché complica la vita agli imprenditori? Non è un caso che nell’attuale programma di governo del centro-destra la questione lavoro sia elusa.

Ora è tutto più chiaro cosa intendono i leghisti quando urlano “Padroni a casa nostra”.

Sulle “crociate” contro l’Europa dell’austerità

La Lega ci ha abituato a lanciare strali contro l’Europa dell’austerità, dei burocrati, delle percentuali di deficit ecc… Il nemico non è in casa nostra secondo i leghisti ma sta solo fuori. Anche in questi giorni Salvini ricorda che gli interessi del capitalismo italiano devono prevalere sulle manovre di Bruxelles, proponendo inoltre la reintroduzione di dazi per difendere la produzione nazionale. Chissà cosa ne pensa Confindustria quando lo stesso Salvini aveva promesso loro pochi mesi fa a Cernobbio meno Stato possibile e rassicurato che non promuoverà il referendum sull’euro…

I fatti hanno la testa dura ed oltre agli esempi già citati è bene ricordarne altri, che confermano che questo partito è un partito borghese che non si fa scrupoli di far pagare la crisi ai più deboli, indipendentemente dal fatto che i mandanti siano i capitalisti internazionali o nazionali.

La Lega votò a favore della legge costituzionale sul pareggio di bilancio e sulla sua successiva legge di attuazione e lo fece a cavallo fra l’autunno del 2011 e la primavera del 2012 cioé quando era prima in maggioranza a governare con Berlusconi e quando al governo c’era poi il tecnocrate Monti. Anche in questo caso la richiesta di tenere sotto controllo la spesa pubblica, il debito pubblico ed il deficit di bilancio proveniva dalla Bce, Bankitalia, Germania e Francia. Se questa non è subordinazione all’ingerenza del grande capitale internazionale e italiano, in quale altro modo si può definire? Altro che sovranità degli stati! Gli enti locali inoltre, già depauperati da tagli di miliardi di euro di spesa pubblica, venivano costretti a partecipare al risanamento del debito pubblico e per sopravvivere dovevano alzare i tributi e rinunciare ad erogare servizi.

Meritano di essere ricordati ancora altri provvedimenti approvati dai leghisti durante la crisi economica quando erano nell’ultimo governo Berlusconi:

– la votazione del condono a favore di evasori fiscali (cosiddetto scudo fiscale);

– il finanziamento pubblico a banche private (i Tremonti Bond);

– i tagli ripetuti negli anni di miliardi di euro di spesa pubblica a discapito del funzionamento degli enti locali e dei servizi pubblici da erogare (istruzione, sanità, trasporti locali ecc…). Ma i leghisti non erano quelli che dicevano di essere legati al territorio?

– l’approvazione della riforma Gelmini sull’istruzione;

– la liberalizzazione selvaggia dei servizi pubblici locali, compresa la gestione del servizio idrico;

– la sottrazione di miliardi di euro dei fondi Fas destinati alle regioni meridionali e reinvestiti in parte nelle regioni settentrionali;

– il ripetuto finanziamento delle missioni militari all’estero in mezzo mondo.

Nonostante le politiche di mattanza, il debito pubblico del paese ha continuato e continua tuttora a crescere.

Giova inoltre ricordare che nell’aprile 2013 i gruppi parlamentari della Lega non ebbero il coraggio di votare contro l’insediamento del governo di unità nazionale di Letta. L’unità dei padroni prima di tutto!

La Lega a sostegno dell’imperialismo occidentale

Il capitalismo nazionale non si può sviluppare all’infinito all’interno dei propri confini statali e necessita di ulteriori spazi per nutrirsi.

Sotto la falsa veste di interventi definiti di cooperazione, umanitari, di stabilizzazione, per la pace, per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e dei rifugiati, di lotta al terrorismo, contro i dittatori ecc…, il sostegno leghista alle politiche imperialiste del capitalismo italiano ed internazionale non è mancato. Durante l’ultimo governo Berlusconi la Lega ha votato a favore di diverse campagne sotto la guida di Onu e Nato. Il finanziamento degli interventi e l’invio di militari e polizia in Afghanistan, Pakistan, Libia, Iraq, Libano, Sudan, Congo, Palestina, Yemen ecc… ha contribuito alla destabilizzazione di quelle aree, alla sofferenza di milioni di persone, alla migrazione di chi scappa da fame, guerre e persecuzioni ed a gonfiare le tasche dei padroni italiani ed occidentali attraverso la conquista delle risorse locali, di nuove commesse e la protezione di interessi acquisiti in passato.

Nonostante abbiano appoggiato questa politica predatoria e guerrafondaia, incentivato le guerre per procura e favorito la crescita del fondamentalismo religioso e del terrorismo, questi vigliacchi negano le loro responsabilità e si scagliano contro i milioni di migranti che cercano di fuggire per trovare un futuro migliore!

La suddivisione fra migranti economici, che fuggono dalla povertà e profughi o rifugiati che fuggono da guerre e persecuzioni è inoltre una vergogna che l’ideologia razzista leghista semina per giustificare la necessità dell’esistenza stessa del capitalismo: se sei un migrante economico sei fuori dal gioco ma queste sono le nostre regole; se sei un profugo o un rifugiato hai qualche speranza in più perché oggettivamente sei stato sfortunato. Negare che queste migrazioni siano causate dallo stesso sistema marcescente è il prezzo che questi signori sono disposti a far pagare a chi non ha nessuna colpa. Gli immigrati sono nostri fratelli di classe e con loro lotteremo contro la barbarie capitalista e contro l’ideologia razzista!

In conclusione, c’è bisogno di una rivoluzione!

Come abbiamo cercato di sintetizzare, se c’è da salvare il capitalismo la Lega si presenta in suo sostegno ed in sostegno delle sue istituzioni, indipendentemente dal fatto che sia in maggioranza o all’opposizione. A pagare non sono mai i padroni ma i lavoratori, i pensionati e si preclude un futuro dignitoso per le giovani generazioni. I migranti, l’Ue prepotente e le banche italiane che hanno fatto investimenti troppo allegri sono specchietti per le allodole: il problema non sta nel destino cinico e baro di un capitalismo sfortunatamente degenerato ma nel funzionamento del capitalismo stesso, sia esso italiano o internazionale.

Non ci sono alternative: la dittatura del capitale si combatte con un’alternativa rivoluzionaria socialista, in Italia come nel resto del mondo. E se la reazione va combattuta, dovremo lottare anche contro i programmi della sinistra riformista e sovranista. Nel programma politico della nostra lista “Per una sinistra rivoluzionaria” facciamo proposte chiare e spieghiamo che solo attraverso l’organizzazione della classe lavoratrice e dei giovani ed una direzione rivoluzionaria si possono mobilitare le forze necessarie per vincere contro un sistema che non può dare altro che miseria e sofferenza.

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