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Innamoramenti populisti della sinistra radicale

A quanto pare il trio Bersani-Fratoianni-Civati non riesce a tenere il punto per più di cinque minuti. La sbandierata “rottura” col Pd di cui sono pieni i titoli dei giornali è, per esplicita dichiarazione dei leader, solo temporanea. Alle elezioni andranno divisi (ma solo perché la legge elettorale li obbliga!), ma il giorno dopo la sinistra riformista tratterà col Pd per ricostruire il centrosinistra. Ritengono di potersi riproporre come l’opzione di governo più affidabile per la classe dominante, evitando le incertezze di un governo della destra o dei 5 Stelle: non a caso sono stati, fino all’ultimo minuto possibile, i più convinti sostenitori del governo Gentiloni.

Poiché la curva era un po’ stretta, dal carro della “sinistra unita” sono caduti Rifondazione comunista e il “duo Brancaccio” Falcone-Montanari. Questa rottura ha causato grandi fibrillazioni nell’arcipelago della sinistra “radicale”: appelli, assemblee e nuovi raggruppamenti.

Ma proprio perché il problema dei rapporti col Pd è temporaneamente accantonato, emergono più chiaramente i punti critici, teorici e politici.

Le illusioni nei 5 Stelle

La crisi verticale della sinistra riformista in Italia e i successi dei 5 Stelle hanno infatti convinto buona parte dei dirigenti di questa sinistra che sia meglio nascondere, rinnegare o denigrare l’idea stessa dell’organizzazione politica e parlare in nome appunto del “popolo”, dei “movimenti”, ecc. In molti casi si tratta una manovra consapevole che serve a mascherare nomi e volti che hanno perso ogni credibilità, e questo certo vale per il gruppo dirigente del Prc, che da anni ormai ha assunto la ferma decisione di non presentarsi mai con il proprio volto in una competizione elettorale: nel 2008 era l’Arcobaleno, nel 2013 Rivoluzione civile (Ingroia), questa volta pare sarà Potere al popolo, assieme al centro sociale napoletano “Je so’ pazzo” – ex Opg.

C’è chi va oltre. La Rete dei comunisti (piattaforma Eurostop) pubblica sul suo sito un appello a… Alessandro Di Battista, capetto grillino che di recente ha annunciato che non si candiderà per le elezioni politiche. Prendiamo coraggio e leggiamo: “Da questo punto di vista era lui (Di Battista – ndr) il vero leader di un Movimento che sin dall’origine si professava cambiamento.”

La decisione di non candidarsi lascia quindi “un’autostrada a chi ha deciso di trasformare il partito in una brutta copia del PD.”

Ma il problema è che il Cinque Stelle si gioca, nel bene o nel male, tutto nella prossima legislatura. Poi, semplicemente, non ci sarà più nulla da ricostruire.

C’è un mondo di lavoratori, precari, disoccupati, braccianti e migranti che si stanno organizzando per combattere. Il 2 dicembre ci sarà il prossimo appuntamento programmatico della Piattaforma Eurostop: perché Di Battista non partecipa all’Assemblea? Sarebbe l’unico modo per non rinnegare quei principi che nella prima legislatura aveva fatto intravvedere, per poi perdersi completamente nella “normalizzazione” recente. Un vero leader non si tira indietro.” (pubblicato a firma “Severino” su contropiano.org)

È un esempio estremo che ha però il pregio di mettere a nudo ciò che tanti pensavano senza dichiararlo, ossia che dal M5S potesse in qualche modo emergere un’alternativa di classe.

Antiliberismo o anticapitalismo?

La rumorosa retorica “populista” serve anche a non affrontare il nodo dei programmi, che sono inchiodati alla “lotta al neoliberismo”: redistribuzione fiscale, lotta alla precarietà, abrogazione delle controriforme degli ultimi decenni, intervento pubblico nell’economia… Ottime intenzioni, certo, ma è possibile che dieci anni di crisi del capitalismo non abbiano davvero insegnato nulla? L’antiliberismo in questa epoca non regge la prova dei fatti. Il programma antiliberista di Tsipras è stato ridotto in cenere nel giro di una settimana e il governo “antiliberista” è diventato il primo agente delle più feroci politiche di austerità.

L’antiliberismo di Podemos o di Ada Colau non ha retto alla prova del movimento di massa in Catalogna, spingendoli in una posizione di accettazione dell’offensiva “spagnolista” del governo reazionario di Rajoy e del Psoe.

E in fondo anche in Italia il Prc ha sbandierato per vent’anni programmi “antiliberisti” finendo per fare l’esatto contrario. L’alleanza fra Rifondazione e centri sociali in nome dell’antiliberismo fu già messa in campo nei primi anni Duemila sull’onda del movimento No Global: giova ricordare oggi che finì nelle paludi del più bieco istituzionalismo e riformismo con la partecipazione al secondo governo Prodi.

Parlare di antiliberismo e negare la necessità di rovesciare il capitalismo significa condannarsi a ripetere gli stessi disastri.

Tanta genericità serve ad assolversi reciprocamente per i passati errori, nonché a glissare sulle contraddizioni più stridenti. Quella, ad esempio, di tentare la sintesi fra chi propone la “riforma dei trattati europei” e un europeismo di sinistra (riformista) e chi invece ritiene che uscire dall’Ue su basi capitalistiche possa ripristinare la sovranità popolare e permettere una politica di riforme sociali. In nome del “popolo” forse la sintesi verrà fatta, ma dalla somma di due errori non nasce una politica corretta.

Aggiungere poi la “difesa e applicazione della Costituzione del 1948” non aggiunge esattamente il tocco dell’antagonismo a questi programmi…

Autorappresentazione?

“È una cosa da pazzi, però, visto che nessuno ci rappresenta, rappresentiamoci direttamente!” (dall’appello dell’ex Opg). Leggiamo qui l’illusione di parlare a nome tutti gli sfruttati, di potere autorappresentare il “popolo” anche in assenza di una organizzazione politica, in primo luogo di un forte partito della classe lavoratrice. Ma la vita ci insegna che senza organizzazione le classi subalterne non sono un popolo pronto ad “autorappresentarsi” rispondendo al primo appello di un’assemblea. Senza organizzazione siamo solo materia da sfruttare (e da ingannare).

Abbiamo scelto quindi una strada diversa, quella della costruzione di una lista chiaramente anticapitalista e classista, e pazienza se verremo tacciati di settarismo o di dottrinarismo: la chiarezza è il primo contributo che oggi si può dare alla costruzione di una forte opposizione alle politiche dominanti, di cui tutti sentiamo la necessità e l’urgenza. Saranno poi i fatti a dare le risposte.

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