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Il “grande gioco” delle cooperative di distribuzione

Era facilmente prevedibile che la crisi economica e il conseguente calo di vendite, dovuto a disoccupazione e cassa integrazione, avrebbe avuto conseguenze importanti sulla grande distribuzione, privata e cooperativa. Che questo processo avrebbe inevitabilmente colpito le cooperative ex “rosse” poteva essere confermato da qualsiasi loro dipendente visto che, dietro la facciata solidaristica, da anni portavano avanti aumenti dei ritmi e dello sfruttamento, lavoro domenicale, disdette unilaterali dei contratti. Coop Estense inoltre è stata apripista con l’apertura del primo negozio dove la quasi totalità degli addetti non è dipendente Coop ma interinale.
Del resto, dai dati riportati dagli studi di settore, risulta che mentre le Coop ricavano 7.600 euro per metro quadro, Esselunga ne ricava più del doppio (16.200) e ciò, in un’ottica capitalista, non poteva che portare licenziamenti.
Infatti, a febbraio c’è stato il salto qualitativo e la rottura del tabù dei licenziamenti collettivi con l’annuncio da parte di Coop Estense della mobilità per 230 dipendenti nei punti vendita in Puglia, dove si cerca di tornare in pareggio esternalizzando i reparti coinvolti dal calo delle vendite.

Un mese dopo, esce la notizia della fusione delle tre grandi cooperative di distribuzione emiliane, Coop Estense, Coop Nord-Est di Reggio Emilia e Coop Adriatica di Bologna, che porterà ad un unico grande gruppo con 19.700 dipendenti, un fatturato di 4 miliardi di euro e circa 380 punti vendita distribuiti in tutta Italia.
Nonostante le smentite dei dirigenti Coop, questo grande accentramento di capitale è necessario per poter contrastare Esselunga, arrivando ad una quota di mercato del 15 per cento (Esselunga ha “solo” l’8 per cento), oltre che per poter contare su un grande settore finanziario grazie ai 4 miliardi di euro del prestito sociale e diventare di fatto il socio di riferimento di Unipol, una potenza quindi capace di influenzare gli equilibri politici ed economici in Italia, visti i suoi rapporti storici col Pd.

Tutto questo va contrastato perché se la direzione aziendale può festeggiare il risultato, a farne le spese saranno i dipendenti, i normali impiegati e gli addetti dei negozi.

È infatti evidente che mentre i dirigenti in esubero finiranno in qualche fondazione a fare i gruppi di pressione, i lavoratori rischieranno seriamente il posto di lavoro o, per quanto riguarda gli impiegati amministrativi, di essere spostati nelle altre sedi a molti chilometri di distanza.

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