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Francia: il movimento al bivio decisivo!

Più di un milione di lavoratori e studenti sono scesi in piazza il 31 marzo in circa 200 cortei svoltisi in ogni angolo del paese contro il “Jobs act” alla francese promosso dal governo socialista. In testa alla battaglia, le città industriali della Normandia (Le Havre, Rouen e Dieppe) sono state attraversate da scioperi imponenti organizzati dalla CGT locale, con la confluenza di importanti cortei giovanili; i sindacati contrari alla riforma – CGT, Force Ouvrière, Sud e gli insegnanti della FSU – hanno dichiarato 120mila persone in piazza a Marsiglia e 100mila a Tolosa, dove il polo umanistico dell’università era completamente bloccato. A Parigi la mobilitazione è stata relativamente meno estesa (160mila). La sera stessa, comunque, diverse migliaia di persone hanno iniziato un’occupazione di piazza della Repubblica che si sta ripetendo ogni giorno, finora con puntuali sgomberi della polizia attorno alle 6 di mattina.

La lotta è in marcia

 París-17marçIn questa seconda giornata nazionale d’azione i manifestanti sono più che raddoppiati rispetto alla prima data ma la portata dello sciopero è risultata ancora decisamente parziale. Da parte sua, il governo usa bastone e carota – più il primo della seconda. Si sono così moltiplicati gli arresti di studenti, circa un centinaio il 31, e gli attacchi con gas lacrimogeni e manganelli agli spezzoni giovanili dei cortei; nelle università, a Strasburgo ad esempio, è frequente che azioni od occupazioni minoritarie siano immediatamente attaccate da celerini e altre forze speciali. I sindacati non stanno mettendo i loro servizi d’ordine a difesa degli spezzoni giovanili evocando la presenza di anarchici e sfasciavetrine; tale posizione favorisce la repressione e, soprattutto a Parigi, il discorso anti-CGT settario e superficiale di quei settori giovanili devoti dell’azione diretta. La carota governativa,  è semplicemente un’apertura del primo ministro Valls a “discutere” di amendamenti al testo della riforma col principale sindacato studentesco di sinistra, l’UNEF. Per tagliare la strada ad ogni possibile oscillazione del segretario nazionale dell’UNEF, il coordinamento nazionale delle università in lotta, riunitosi il 2-3 aprile a Rennes, ha precisato che non c’è nessun negoziato possibile e la legge deve essere semplicemente ritirata. Oltre a ciò, il Coordinamento ha correttamente fatto appello ai lavoratori ed ai sindacati per preparare uno sciopero generale riconvocabile giorno dopo giorno. In linea generale, il governo ha comunque mostrato di voler tenere duro. Non è sorprendente. Questa proposta di legge corrisponde infatti agli interessi dei capitalisti: se passerà, i padroni potranno aumentare lo sfruttamento dei lavoratori per mezzo di diminuzioni salariali, aumenti spropositati della settimana lavorativa (fino a 60 ore) e licenziamenti più facili.

Il ruolo della CGT

La votazione finale della legge El Khomri in parlamento è prevista a fine maggio. Tuttavia, è probabile che il braccio di ferro tra governo e lavoratori si decida prima. La mobilitazione, infatti, ha bisogno di concentrare le sue forze e sferrare un colpo decisivo ad un governo già indebolito – si pensi soltanto che oggi più del 70% dei francesi sono contrari alla riforma. Le condizioni per una vittoria esistono. Da molti anni, ad esempio, un grande gruppo come Peugeot-Citroen non ricorreva alla serrata, come accaduto il 31 marzo nello stabilimento di Poissy, per evitare che gli operai in sciopero potessero raggrupparsi a partire dalla fabbrica; la stessa energia dei giovani è contagiosa: attorno alla mobilitazione dell’università di Parigi-8 si sta creando nella città proletaria di Saint-Denis, nella cintura parigina, un embrione di coordinamento studenti-lavoratori. Purtroppo, però, le direzioni dei sindacati stanno consumando le forze dei lavoratori in tante “giornate d’azione nazionale” distanti tra loro, incapaci di paralizzare il paese e, dunque, di far cedere governo e padronato. Nel suo comunicato del 31 marzo, la CGT consiglia al governo di “non intestardirsi per tante settimane” sulla legge El Khomri e ritirarla al più presto, ricordando a Valls, Hollande e soci che la loro politica “favorisce un aumento della disoccupazione e la crescita dei dividendi per gli azionisti“. Non è chiaro chi stia cercando di convincere il gruppo dirigente della CGT. Ci sembra altresì chiaro che la legge sul lavoro non nasce da un capriccio del governo, intestarditosi irrazionalmente proprio su quel punto, ma da una politica cosciente elaborata su misura degli interessi della classe dominante. Ed è proprio per questo che il governo resiste. Ma la CGT conclude il suo comunicato evitando anche solo di evocare la prospettiva di uno sciopero generale e rilanciando due giornate d’azione nazionale: la prima, il 5, ha avuto come obiettivo il fare pressione sui parlamentari – non ci stupiamo che pochi lavoratori abbiano partecipato. La pressione dal basso, tuttavia, sta crescendo e si diffondono assemblee generali nelle università e coordinamenti interprofessionali locali tra lavoratori sindacalizzati. Quella forza può arrivare ad imporre lo sciopero generale anche alle direzioni sindacali esitanti della CGT e di FO.

Perché le direzioni sindacali, inclusa la CGT, sono così spaventate dalla prospettiva di uno sciopero generale? Lo sono poiché un movimento di scioperi riconvocabili giorno dopo giorno può rapidamente acquisire una dinamica propria, sfuggire al controllo dei dirigenti sindacali e sfociare – come nel Maggio 68 – in uno sciopero generale a oltranza dalla portata rivoluzionaria. È però soltanto un’azione di questo tipo che farebbe cedere il governo e questo è ancor più vero in epoca di crisi economica.

Nell’attuale ricerca di una strategia alternativa, dobbiamo registrare il tentativo delle “Notti in piedi”, partito dall’occupazione di piazza della Repubblica a Parigi e diffusosi su scala molto minore altrove. Quell’iniziativa, cercando di imitare gli Indignados spagnoli del 2011, può sprigionare una serie di energie ora compresse e funzionare da innesco per una radicalizzazione del movimento. Anche in questo caso, comunque, la responsabilità principale nel proporre programma e obiettivi – per evitare che l’occupazione delle piazze diventi un fine in sé – è sulle spalle della CGT. Diversi animatori di quella piazza, peraltro, sono precari del mondo dello spettacolo che hanno di recente risposto in più di 1200 all’assemblea contro la legge sul lavoro convocata proprio dalla CGT. La sera del 5, una delegazione è partita da piazza della Repubblica per unirsi a 500 studenti medi che erano in presidio a oltranza davanti al commissariato del quinto municipio per chiedere la liberazione di 20 loro compagni arrestati. Non si sono mossi finché tutti sono stati liberati. La classe dominante, fortunatamente, ha di che preoccuparsi.

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