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Embraco, l’unica soluzione è la nazionalizzazione

Dopo oltre tre mesi di trattative la multinazionale Embraco, che produce compressori per frigoriferi, del gruppo Whirlpool, getta la maschera e mette in atto il piano che da fine ottobre sta dichiarando di voler applicare. Chiusura dello stabilimento di Riva di Chieri (Torino) e licenziamento di 500 lavoratori entro il 25 marzo.

Embraco si trasferirà in Slovacchia dove gli operai costano molto meno e il governo spenderà fior di milioni per accontentare tutte le richieste dei manager.

Mentre cinquecento famiglie vengono buttate in mezzo alla strada, ecco che inizia il penoso teatrino istituzionale, il ministro dello sviluppo economico che fa la voce grossa e si appella all’Unione europea perché vengano riconosciute alla multinazionale in Italia le stesse condizioni fiscali che il governo slovacco gli riconosce. Il primo ministro Gentiloni chiede, sempre all’Unione europea, di aprire un’inchiesta su come utilizza i fondi europei per lo sviluppo industriale la Slovacchia, e i mass media gridano allo scandalo perché Embraco in questi 15 anni ha ricevuto palate di milioni a fondo perduto e ora se ne va senza neanche dire grazie.

Ovviamente nessuno si è permesso di far notare che Embraco, essendo del gruppo Whirlpool, riceve molti più soldi di quelli che sono ufficialmente rendicontati, visto che proprio in questi anni la multinazionale dell’elettrodomestico ha usufruito degli ammortizzatori sociali, della cassa integrazione, dei contratti di solidarietà, della mobilità, degli sconti fiscali e tanto altro ogni qual volta ha minacciato di licenziare.

L’ipocrisia dei padroni e del governo non conosce vergogna e giusto per evitare che i lavoratori, magari presi dalla disperazione, possano diventare un problema di ordine pubblico, ora iniziano a circolare voci su possibili nuovi acquirenti dello stabilimento. Un film già visto troppe volte e dove poi, se veramente un nuovo acquirente si fa avanti, impone condizioni ancora più pesanti.

Sono anni che i vari governi portano avanti una politica di bassi dei salari, abolizione degli ammortizzatori sociali, precarizzazione del lavoro. Tutto per essere “competitivi” sul mercato globale e per attirare investimenti.

Una logica assurda dove alla fine l’unico vero modo per attirare questi cosiddetti investimenti è solo quello di abolire qualsiasi diritto sindacale, compreso quello di sciopero, e avere salari da 300 euro, visto che nel mondo un paese che offre queste “opportunità” ci sarà sempre.

Embraco è solo l’ultima di una lunga lista di aziende che delocalizzano, lo fanno le multinazionali straniere ma anche quelle italiane, vedi la Fiat, Beneton, Piaggio e tante altre. Grandi o piccole aziende non importa, l’importante è poter avere carta bianca nello sfruttamento. Secondo un rapporto di Unicredit sono oltre settemila le aziende medie e piccole che in questi ultimi anni si sono trasferite nell’est Europa.

Non parliamo poi delle privatizzazioni di questi decenni e del disastro che hanno prodotto per tutti i lavoratori, vedi Alitalia e Ilva, solo per citare due esempi recenti.

Nelle prossime settimane si parlerà di nuovi acquirenti, di corsi della regione finanziati magari dall’Unione europea per riqualificare le maestranze espulse, e si parlerà perfino di ammortizzatori sociali straordinari per fare fronte all’emergenza. Discorsi già sentiti in questi dieci anni di crisi: sono il frutto di un capitalismo marcio che mette al primo posto gli interessi di ristretti gruppi economici, di cordate di azionisti e manager senza scrupoli.

Se i lavoratori rischiano di essere sbattuti in mezzo a una strada con un misero assegno di disoccupazione è anche perché con la Fornero si è alzata l’età pensionabile e deciso di abolire ammortizzatori come la mobilità. Hanno creato un sistema che permette ai padroni di spremere fino all’ultima goccia i lavoratori per poi buttarli come se fossero stracci vecchi. Se poi hai 50 anni sei troppo vecchio per trovare un nuovo lavoro ma troppo giovane per la pensione, una strada senza uscita.

La realtà è che le fabbriche possono funzionare senza padroni ma non possono funzionare senza gli operai, e da qui bisogna ripartire. Le fabbriche devono essere degli operai, dei tecnici e degli impiegati che ci lavorano ogni giorno, che hanno dato il sangue per farle funzionare e sanno come farle funzionare.

Oggi ai lavoratori dell’Embraco non rimane che una cosa da fare, occupare e rivendicare la nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori dello stabilimento. Per evitare che l’azienda venga smantellata, per riprendere la produzione e dimostrare che può funzionare anche senza il cosiddetto management, e che col controllo operaio e l’appoggio dello stato si può distribuire quello che si produce.

Il sindacato deve fare proprie queste parole d’ordine, le uniche che possono impedire la chiusura delle fabbriche e la disoccupazione di massa. Sostenere queste rivendicazioni per superare la paura delle denunce che inevitabilmente lo stato asservito alle multinazionali minaccerà di portare avanti e per sfatare il mito che l’unica soluzione è trovare un altro padrone di buon cuore che si prenda in carico i lavoratori.

Entro il 15 marzo a Torino ci sarà lo sciopero contro la crisi industriale, erano parecchi anni che non se ne convocava uno così e sicuramente sarà partecipato, ma a nessuno può sfuggire che scioperi di 4 o 8 ore una tantum non sono mai serviti e continuano a non servire a nulla se non c’è un piano più generale che dia risposte concrete e immediate ai lavoratori.

 

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