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Dopo la caduta di Mugabe – Quale futuro per lo Zimbabwe?

Nota: questo articolo è stato scritto poco prima che Mugabe presentasse le proprie dimissioni, con effetto immediato, il 21 novembre scorso, ma conserva tutta la sua validità.

Lunedì mattina, lo Zimbabwe era sull’orlo del baratro dopo che Robert Mugabe non aveva ancora annunciato le sue dimissioni da Capo dello Stato la sera prima. Le sue dimissioni erano ampiamente attese dopo che aveva perso completamente il controllo del suo partito durante il fine settimana.

L’attesa ha raggiunto l’apice durante la notte di Domenica, quando è stato annunciato che Mugabe avrebbe fatto una dichiarazione durante una trasmissione televisiva in diretta. Ma nel suo discorso bizzarro e sconclusionato non c’era alcun accenno alla questione. Il discorso si è concluso nella massima confusione e ha lasciato più domande che risposte. Mugabe si è quindi scusato con i generali. Non era esattamente chiaro per cosa si stesse scusando, ma il 93enne è chiaramente affetto da demenza, armeggiava con le sue carte ed era molto incoerente. Alcuni hanno suggerito che abbia inspiegabilmente e involontariamente saltato due delle pagine che contenevano le sue dimissioni. L’altro motivo addotto è stato che lo ZANU-PF è intervenuto per impedire una situazione in cui Mugabe si sarebbe dimesso di fronte all’esercito, dando così l’impressione di starsi dimettendo sotto la minaccia dei militari.

In ogni caso, il clima a Harare è peggiorato subito dopo il suo discorso. I gruppi giovanili che hanno partecipato al blocco e allo sciopero generale dello scorso luglio hanno chiesto uno sciopero generale quando il Parlamento si riunirà mercoledì. L’influente Associazione dei veterani di guerra dello Zimbabwe, che ha rotto con Robert Mugabe dopo che sua moglie, Grace Mugabe, ha guidato l’epurazione contro il suo leader Chris Mutsvangwa, ha anche convocato proteste di massa per mercoledì. Questo è stato un chiaro tentativo di evitare lo sviluppo di un movimento di massa indipendente e di tenere sotto controllo la situazione. Quindi il capo dello ZANU-PF in parlamento, Lovemore Matuke, ha dato un ultimatum a Mugabe: dimissioni entro lunedì o affrontare l’impeachment martedì.

Domenica, Mugabe è stato dimesso dalla posizione di Presidente e Primo segretario dello ZANU-PF dopo una seduta speciale del Comitato Centrale. Questo ha seguito gli eventi di venerdì in cui tutte e 10 le strutture provinciali dello ZANU-PF hanno approvato risoluzioni per rimuovere Mugabe dalla carica di presidente del partito. Sua moglie, Grace, è stata rimossa dalla sua posizione di leader della Lega delle Donne di ZANU-PF. Anche lei e altri membri di spicco della fazione “G40” sono stati espulsi dal partito. La loro rimozione è una continuazione della purga dei membri della “G40”, che è stata avviata dai militari che hanno preso il potere mercoledì sera.

Manifestazioni di massa

Sabato ci sono state le più grandi manifestazioni da quando lo Zimbabwe ha ottenuto l’indipendenza formale dalla Gran Bretagna 37 anni fa. Decine di migliaia di persone sono scese in corteo per le strade di Harare, Bulawayo e diverse città in tutto il paese, per chiedere le dimissioni di Mugabe. Questa è stata come una grande festa di strada. C’era un’atmosfera carnevalesca e un diluvio di emozioni ovunque. I militari sono stati trattati come eroi mentre le persone facevano foto con i soldati nelle strade. Le masse scendevano in piazza per esprimere anni di rabbia repressa e frustrazione contro il regime di Mugabe.
Tuttavia, le proteste sono state convocate dai veterani di guerra che facevano parte della vecchia guardia del regime. I militari e la fazione loro vicine hanno “permesso” che queste proteste si svolgessero per usarle come un ariete contro la fazione “G40”, per legittimare il colpo di stato e fornire una giustificazione accettabile, per fornire una nuova legittimità allo ZANU-PF – la cui popolarità è precipitata insieme al tracollo economico, e per far sbollire le masse. I militari prendendo il potere hanno raggiunto il loro scopo principale, fermare la purga dei veterani dell’era della liberazione nazionale e sconfiggere la fazione opposta. Ma dopo aver fermato l’epurazione, hanno cercato di darsi una giustificazione legale e accettabile per il colpo di stato.

Il nuovo regime in nuce ha le sue ragioni per permettere le proteste, ma come le masse effettivamente vedano le cose è una questione diversa. Le proteste rappresentano una situazione molto contraddittoria. Le spaccature ai vertici del regime hanno portato a un colpo di stato militare. Ma l’imminente caduta di Mugabe, dopo 37 anni in carica, ha acceso le speranze delle masse. Ritengono che la rimozione di Mugabe porterà a migliori condizioni di vita. Le masse si aspettano che si produca un vero cambiamento da questo movimento, che possa alla fine mettere fine alla miseria e alla povertà che devono sopportare.

Dal punto di vista del regime, che ora sta camminando su un filo molto stretto, questa è una situazione pericolosa. Hanno fornito uno sbocco per le pressioni delle masse dal basso e hanno creato una situazione in cui queste ultime possono avere consapevolezza del loro potere collettivo. Questo non succedeva da decenni. Il pericolo per loro è che permettendo uno sbocco limitato per tutta la rabbia repressa e la frustrazione accumulata, potrebbero innescare un movimento indipendente delle masse: in particolare quando le masse stesse si renderanno conto che le loro reali condizioni materiali non cambieranno. Sotto l’incubo della crisi economica questo potrebbe accadere prima di quanto si possa pensare.

Il colpo di stato militare giovedì scorso ha ribaltato completamente la situazione. Per anni la vecchia guardia ha osservato l’ascesa della nuova “Generazione 40” attorno all’ambiziosa e caustica Grace Mugabe, che ha proceduto a eliminare i membri del partito uno dopo l’altro. Joice Mujuru è stata rimossa dalla posizione di vicepresidente. Prima di questo, il suo potente marito, il generale Solomon Mujuru, morì misteriosamente in un incendio. Successivamente è stato rimosso il capo della potente associazione dei veterani militari. Poi, in vista del congresso dello ZANU-PF di dicembre, la fazione di Mugabe ha intrapreso una purga su vasta scala di leader veterani nel partito, nello stato e nel servizio civile. Emmerson Mnangagwa, che è stato addestrato per decenni per subentrare a Mugabe, è stato scaricato senza tante cerimonie ed è fuggito dal paese. Giravano voci che la purga potesse estendersi agli alti comandi militari e che il generale Constantine Chiwenga, il capo delle Forze armate, sarebbe stato arrestato dopo il suo viaggio in Cina. Questa è stata la miccia del colpo di stato.

Mercoledì i carri armati sono entrati a Harare, hanno sigillato gli edifici governativi e l’emittente radiotelevisiva statale e hanno posto Mugabe agli arresti domiciliari. I principali membri della fazione di Mugabe sono stati arrestati. Questo, in effetti, segna il destino di Grace Mugabe e della fazione del ‘G40’. Ma essendo arrivati a questo punto, i generali dovevano affrontare il dilemma tra “legittimare” il colpo di stato, o tornare alla finzione del “governo civile” e tornare nelle caserme.

Non hanno optato per il governo militare diretto in gran parte perché avrebbero ereditato un’economia che è stata decimata. Non possono risolvere la crisi economica perché essi stessi sono i beneficiari delle politiche di Mugabe. Queste sono fondamentalmente le ragioni per cui hanno cercato di “negoziare” con Mugabe per 48 ore prima che le proteste di sabato si concludessero “volontariamente”. Se i generali, che fanno parte della classe dominante, si fossero fermati e avessero dichiarato una dittatura militare, si sarebbero posti su un terreno molto traballante. Avrebbero dovuto scontrarsi con le masse che sono sollevate e si aspettano un cambiamento. Ovviamente questa non è la preoccupazione principale dei generali dell’esercito. Agiscono esclusivamente per proteggere i propri interessi ristretti. Ma, se avessero preso il potere direttamente, la crisi profonda li avrebbe costretti a reprimere immediatamente con la forza le aspettative delle masse. Questo tradimento aperto avrebbe potuto innescare una rivoluzione o una guerra civile.

Imperialismo

Nel frattempo le diverse potenze mondiali girano come avvoltoi, cercando un modo per intervenire e perseguire i propri interessi. I media britannici come la BBC, il Telegraph e il Guardian stanno già scatenando la propaganda anti-cinese e insinuando che la Cina sia dietro il colpo di stato. È certamente vero che Pechino ha cercato di ottenere riforme economiche di apertura verso gli investimenti stranieri e stava diventando sempre più diffidente nei confronti di Mugabe. È certamente possibile che i cinesi abbiano dato la loro tacita approvazione ai piani di settori dell’esercito.

Ma l’imperialismo occidentale si è intromesso negli affari dello Zimbabwe per decenni, ultimamente con l’imposizione di brutali sanzioni, che hanno distrutto l’economia del paese lasciando la popolazione locale in una situazione disperata. Mentre punta il dito contro la Cina, l’Occidente sta manovrando e cercando un punto d’appoggio per usare questa crisi e recuperare terreno in Zimbabwe. In questa situazione le grandi potenze non esiteranno a usare lo Zimbabwe come pedina per promuovere i propri interessi.

Durante le proteste di sabato i manifestanti hanno anche espresso un a certa irritazione rispetto alle interferenze del governo sudafricano e l’organismo regionale, la SADC (Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, ndt), nella crisi. Una petizione avviata a Bulawayo per contrastare l’interferenza della SADC ha raggiunto decine di migliaia di firme in pochi giorni. Questo sentimento è corretto. Il SADC è un blocco capitalistico regionale sotto il dominio del capitale sudafricano. Non rappresenta gli interessi della gente comune dell’Africa meridionale.

I lavoratori e i poveri dello Zimbabwe si basano sull’esperienza delle interferenze della SADC in questo paese nel 2002 e nel 2008. Nelle elezioni del 2002, l’ex presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki, ha inviato due giudici a monitorare le elezioni presidenziali dello Zimbabwe. Le elezioni sono state caratterizzate da violenze e intimidazioni perpetrate dall’organizzazione giovanile dello ZANU-PF. Più di 100 persone sono state uccise in questi attacchi, per lo più sostenitori dell’opposizione. I giudici hanno concluso che le elezioni “non possono essere considerate libere ed eque”. Ma Mbeki non ha pubblicato la relazione dei giudici. I contenuti sono stati rivelati solo nel 2014 dopo che i giornali Mail e Guardian hanno vinto un processo, durato a lungo, per poterne rivelare il contenuto.

Nelle elezioni presidenziali del 2008, Tsvangirai dell’opposizione dell’MDC ha ricevuto il 48% contro il 43% di Mugabe. Il ballottaggio doveva svolgersi 21 giorni dopo, ma Mugabe scatenò i veterani di guerra per condurre una campagna estremamente violenta contro l’MDC. Più di 10.000 persone sono rimaste ferite nelle violenze che ne sono seguite, 86 sono state uccise e centinaia di migliaia sono state sfollate. Mugabe ordinò una spedizione di armi dalla Cina che Mbeki fu molto felice a far transitare attraverso la città portuale sudafricana di Durban. Ma la nave non potè essere scaricata a Durban perché i lavoratori portuali sudafricani attuarono uno sciopero selvaggio e si rifiutarono di gestire il carico. Alla fine la nave dovette tornare in Cina con le armi a bordo.

Mbeki ha poi negoziato un accordo con Tsvangirai e Mugabe per formare un governo di unità nazionale. L’esperienza di questo tradimento ha diviso l’MDC in tre diverse fazioni. Oggi è in una situazione ancora peggiore di quella dello ZANU-PF. Sono state le azioni di Mbeki a mantenere Mugabe al potere da allora. Il popolo dello Zimbabwe non lo ha dimenticato e dovrebbero resistere ai tentativi di Zuma e SADC di intromettersi nei loro affari.

Instabilità

Gli ultimi sviluppi rappresentano una svolta sorprendente per il 93enne Mugabe, che solamente la settimana prima sembrava avere la situazione completamente sotto controllo. Era così sicuro di sé che si era imbarcato in una purga dei suoi vecchi compagni per spianare la strada a sua moglie e alle nuove generazioni che dovevano prendere il suo posto. Ma ora, dopo 37 anni, il suo destino è segnato perché non rappresenta più gli interessi delle élite dominanti.
La caduta di Robert Mugabe è il più grande evento politico in Zimbabwe da quando il paese ha ottenuto l’indipendenza formale dalla Gran Bretagna nel 1980. Il regime è ora in profonda crisi: la confusione e l’incompetenza mostrate negli avvenimenti di domenica sera lo mostrano graficamente. Le spaccature ai vertici hanno fatto precipitare il regime in una crisi aperta e più si dimena per uscire dalle sabbie mobili e più affonda. Ciò riflette la crisi del sistema e l’incapacità del regime stesso di risolverla.

Il nuovo presidente dello ZANU-PF, Mnangagwa, che aveva combattuto il colonialismo rhodesiano e si era fatto strada partento dalla base del movimento, è un manovratore spietato e scaltro. È stato lui a guidare l’operazione che ha portato alla repressione brutale dell’insurrezione della minoranza Ndebele nel Matabeleland tra il 1983-84, nella quale furono uccise più di 20.000 persone. Questo ha lasciato profonde ferite nel Matabeleland, che non sono ancora dimenticate. Nelle circostanze attuali la questione della terra e la questione nazionale in queste aree potrebbero riaccendersi e assumere un carattere esplosivo.

L’élite al potere, sia il settore attorno a Mugabe che qualsiasi altro, è incapace di risolvere i problemi all’interno della società. Per gli operai, i contadini e i poveri dello Zimbabwe non c’è altra via da intraprendere che contare sulle proprie forze. Devono rimuovere Mugabe e il resto del regime con azioni di massa nelle strade. Abbiamo già visto elementi di questi sviluppi quando lunedì sono scoppiate le proteste all’Università di Harare. Allo stesso tempo, un movimento del genere deve essere diffuso in tutto il continente e in particolare in Sudafrica, dove le masse sono ugualmente stufe delle condizioni in cui versano e della classe dominante.

Il caos e la barbarie che hanno sconvolto la società dello Zimbabwe sono un risultato diretto del movimento di liberazione degli anni ’70, che ha combattuto con successo l’imperialismo britannico, ma si è fermato prima di rovesciare il capitalismo nello Zimbabwe. L’unica via per uscire da questa impasse è portare a termine questo compito e attuare un programma socialista per la collettivizzazione della terra sotto il controllo degli operai e dei contadini rurali e per espropriare le industrie nelle città. L’attuale caos e crisi è un riflesso dell’impasse del capitalismo. Solo una rivoluzione socialista guidata dalla classe operaia può portare a una via d’uscita dal caos e dalla miseria che le masse dello Zimbabwe sono costrette ad affrontare.

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