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Chi siamo e che cosa vogliamo

Il marxismo ha pienamente confermato la sua validità come unica teoria capace di spiegare la crisi del capitalismo nella quale siamo immersi. Nessuna delle teorie economiche provenienti dalla classe dominante ha saputo dare una analisi coerente delle cause della crisi, né tantomeno indicare una via d’uscita.

Le teorie neoliberali che hanno furoreggiato per oltre trent’anni oggi sono completamente screditate. Le teorie keynesiane, già abbandonate dopo la crisi degli anni ’70, si ripresentano con proposte di riforma parziale del sistema: far pagare più tasse ai ricchi, ridurre il potere delle grandi banche, annullare almeno parte dei debiti inesigibili, aumentare il tenore di vita delle classi popolari, ecc. Economisti come Piketty, Stigliz, Varoufakis, sono gli esponenti di questa tendenza e ispirano i programmi economici dei principali dirigenti dei movimenti di protesta di questi ultimi anni.

scr_grossetoMa non c’è riforma parziale che possa risolvere le contraddizioni basilari del capitalismo. Per noi marxisti questa crisi può essere intesa solo come crisi organica del sistema capitalista. Vale a dire che non si tratta solo del ciclo di boom e recessioni che da due secoli caratterizza l’economia capitalista. “L’epidemia della sovrapproduzione”, come la chiamarono Marx ed Engels nel Manifesto del partito comunista del 1848, oggi ha raggiunto dimensioni planetarie. Sulla base di questa crisi economica globale, l’intera sovrastruttura politica del capitalismo traballa. Sono in crisi i rapporti internazionali fra le potenze, il commercio mondiale, i partiti e le ideologie tradizionali, le organizzazioni internazionali…

La contraddizione fondamentale, storica, che dobbiamo risolvere è riconnettere il marxismo con il movimento di massa. “Le idee acquistano una forza materiale quando conquistano le masse”. Queste parole di Marx riassumono alla perfezione il compito della nostra epoca. Tutti coloro che si proclamano marxisti, rivoluzionari, di sinistra, ecc. e che non si pongono da questo punto di vista saranno condannati all’esistenza di piccole sette che commentano gli avvenimenti senza influire su di essi.

Questo è particolarmente evidente in Italia, dove il crollo delle forze politiche di sinistra ha lasciato sul campo una miriade di frammenti (piccole organizzazioni, “personalità” di sinistra, circoli e circolini di varia natura), che occupano la maggior parte del loro tempo lamentandosi dell’assenza di una sinistra e cercando ricette magiche per costruirla.

Nuovi movimenti politici

La situazione italiana ha le sue particolarità (e quale paese non ne ha?), ma non è separata dalla realtà economica, e quindi politica, della crisi globale del capitalismo. Da questa crisi continuano ad originarsi movimenti di protesta che in numerosi paesi hanno assunto dimensioni di massa. È il caso della Grecia, della Spagna, del Portogallo, della Gran Bretagna, degli Usa, solo per citarne alcuni.

In tutti questi casi la lotta contro le politiche di austerità condotta di ampi strati di lavoratori, di disoccupati, di giovani e anche di ceti medio-bassi rovinati dalla crisi, ha cercato di darsi una espressione politica, soprattutto sul piano elettorale. Da qui l’ascesa elettorale di Syriza, l’elezione di Jeremy Corbyn a capo del Partito laburista britannico, il voto per Podemos e i suoi alleati in Spagna e per le sinistre in Portogallo, o il successo della campagna di Bernie Sanders nelle primarie Usa contro Hillary Clinton. Il movimento di massa iniziato in Francia ad un certo punto darà luogo a sviluppi simili, anche se non è ancora possibile prevedere esattamente come e dove si manifesteranno.

Ogni volta che uno di questi personaggi appare sulla scena e viene proiettato a grande altezza e visibilità, gli sparsi frammenti della sinistra italiana si riuniscono in conclave e iniziano ad “analizzarli”, cercando di scoprire il segreto dei loro successi e di imitarli. Non capiscono che se Iglesias o Tsipras sono apparsi tutto a un tratto come dei veri e propri giganti, non è per la loro statura o per qualche dote nascosta dei loro partiti, ma perché vengono spinti in alto da un’onda gigantesca. Invece di guardare il fuscello che viene spinto in alto, dobbiamo capire l’onda che lo spinge (e che può poi abbandonarli, facendoli precipitare in basso con la stessa rapidità con cui li ha spinti in alto).

scr_modenaIn ognuno di questi casi, il movimento ha seguito percorsi diversi, sfruttando in modo empirico le possibilità che si aprivano. In Grecia ha trasformato un piccolo partito del 4 per cento (il Synaspismos) nel primo partito del paese; in Spagna ha creato un partito completamente nuovo (Podemos); in Gran Bretagna ha rivoluzionato un partito di massa esistente da oltre un secolo, il Labour Party, con l’afflusso di centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani, che hanno improvvisamente visto nelle primarie per l’elezione del nuovo segretario uno strumento per far sentire la loro voce.

In Italia è molto improbabile che un movimento possa aggregarsi direttamente sul piano elettorale, data la polarizzazione inevitabile tra Pd e 5 Stelle e considerato il profondo (e meritato) discredito che colpisce le forze politiche di sinistra attuali. Molto più probabile è che si sviluppi sul terreno sindacale, sia attraverso lotte disseminate in diverse aziende e categorie (vedi logistica, commercio, ecc.) sia attraverso nuovi movimenti generali come quelli del 2014-15 contro il Jobs Act e contro la Buona scuola.

L’illusione riformista e le sue basi

Ma il vero significato di questi fenomeni è soprattutto sintomatico e anticipatore. La Grecia ha già mostrato quanto care possano costare le illusioni di una soluzione negoziata, riformista, della crisi. La lezione greca deve quindi essere studiata da tutti noi con grande attenzione, ma anche con la consapevolezza che non bastano discussioni e articoli per “seminare coscienza” fra le masse. Una organizzazione, un settore di avanguardia se realmente è tale, può e deve apprendere da avvenimenti come quelli greci. Ma le masse, i milioni o le decine di milioni di lavoratori e di sfruttati che hanno la forza per cambiare la società, imparano solo dalla loro esperienza, dall’esperienza di grandi avvenimenti. Per questo non possiamo stupirci o disperarci se oggi Iglesias, Corbyn ripetono gli stessi identici errori di Tsipras.

Da un lato questo riflette le illusioni delle masse, che capiscono molto bene quello che non vogliono più (le disuguaglianze sociali, l’austerità, le politiche del capitale in generale) ma non sanno precisamente con che cosa sostituirlo. Dall’altro lato queste contraddizioni riflettono la pressione della classe dominante, che fa di tutto per condizionare questi movimenti e i loro dirigenti, sia ricattandoli in modo disgustoso e minacciandoli di conseguenze gravissime se non abbandonano la loro opposizione o semi opposizione alle politiche capitaliste (come avvenne con Tsipras lo scorso anno), sia cercando di illuderli che col tempo, con la ragionevolezza, con le “proposte realistiche” si possa gradualmente migliorare la situazione.

Queste idee non scaturiscono solo dalla ingenuità o dallo stato ancora incipiente del movimento, ma da una diretta pressione da parte della classe dominante. In particolare da quei settori della borghesia che stanno più perdendo nella crisi, che sono tagliati fuori dal dominio della “cupola” del capitale finanziario (il famoso “un per cento” dei super ricchi del pianeta), che non reggono la concorrenza internazionale, che non hanno grandi capitali per corrompere e controllare i politici. Da tutti questi settori scaturiscono parole d’ordine quali il “commercio regolato” (in contrapposizione all’apertura totale dei mercati perseguita dalle grandi multinazionali), lo sviluppo del mercato interno (e quindi una riduzione delle “eccessive” diseguaglianze sociali), la riduzione del potere delle grandi banche o la loro suddivisione in entità più piccole, la richiesta di una politica “onesta”, ecc. Lo sbocco politico di queste idee è la rivendicazione di una rinascita della democrazia borghese, nella quale il comune cittadino possa contare quanto i miliardari. La “Corbyn revolution”, la “rivoluzione politica contro la classe dei miliardari” di cui parla Sanders, la retorica iperdemocratica di Iglesias, cercano di disegnare una democrazia perfetta, una democrazia che sotto il capitalismo non è mai esistita e tantomeno può esistere oggi, ma che esercita grande attrattiva su milioni, anzi miliardi di persone che si sentono giustamente defraudate e derubate del loro diritto di decidere sul proprio futuro e su quello della società.

Tutto questo è della massima importanza perché dimostra che la classe dominante è divisa, che il sistema rende trova sempre più difficoltà a garantire un “interesse generale” dell’intera borghesia, che la coperta è sempre più corta. È alla base della crisi politica sia a destra che a sinistra, dell’emergere di nuovi partiti nel campo borghese e della crisi dei partiti tradizionali, dai repubblicani Usa ai conservatori britannici o della democrazia cristiana in Germania.

I compiti dei marxisti

Il compito dell’organizzazione marxista, in Italia come in tutto il mondo, è lavorare affinché questo processo di apprendimento, errori e anche sconfitte parziali sia il più breve e indolore possibile; dobbiamo attraversare questo processo assieme al movimento di massa, ma senza condividerne le illusioni, indicando tutti i pericoli che queste illusioni comportano e soprattutto di costruendo un punto di riferimento alternativo credibile e forte, che possa orientate il movimento verso lo sbocco rivoluzionario, quando se ne creano le condizioni. Quel punto di riferimento che la scorsa estate è risultato drammaticamente assente in Grecia quando Tsipras ha capitolato nel modo più vergognoso di fronte alla troika.

Per noi il marxismo non può essere solo uno strumento di analisi della crisi economica o della politica. Deve essere la lama affilata che usiamo per recidere uno dopo l’altro, quei fili politici e ideologici con i quali la classe dominante tenta continuamente di imbrigliare e deviare il movimento delle masse, facendo leva soprattutto sui settori più privilegiati e conservatori (le burocrazie sindacali, i parlamentari, i dirigenti che venendo spinti in alto, nella sfera della “politica nazionale”, tendono fatalmente a distaccarsi dalla loro base).

Verso il partito di classe

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Milano, dicembre 2014 – La prima Conferenza nazionale di Sinistra classe rivoluzione

Diversi compagni e simpatizzanti, soprattutto fra i giovani, ci hanno posto recentemente la seguente domanda: se Iglesias ha potuto fondare dal nulla un partito di massa, se Corbyn ha potuto in poche settimane mettersi a capo di un movimento che ha messo sottosopra un partito come il Labour, perché non possiamo fare noi lo stesso, alzare direttamente la bandiera di un nuovo partito e conquistare un seguito di massa?

È una domanda molto seria, alla quale dobbiamo rispondere.

Salvo eccezioni molto particolari, è di norma impossibile che le masse abbraccino in prima istanza un programma rivoluzionario compiuto. Anche quando sono disgustate dalla situazione in cui vivono, anche quando cominciano a mobilitarsi contro lo status quo, la prima conclusione a cui giungono non è che sia l’intero sistema socioeconomico da rovesciare fin dalle fondamenta. Cercano una soluzione più semplice: cambiare un governo, cambiare i dirigenti politici, fare leggi migliori, colpire questo o quel singolo aspetto particolarmente ripugnante del sistema, nella speranza che le cose migliorino.

La rivoluzione sociale non la prima opzione che viene abbracciata, ma quella alla quale si perviene quando tutte le altre hanno fallito.

Questo non vuole dire che le masse siano “moderate” o “riformiste”. Ma solo mettendo alla prova le diverse tendenze politiche possono giungere alla conclusione che il loro odio verso questo sistema può trovare una espressione compiuta solo nel programma del marxismo rivoluzionario. Questa è anche la lezione di tutte le grandi rivoluzioni, compresa la rivoluzione russa.

Le masse danno inizio a una rivoluzione non sulla base di un piano organico di trasformazione sociale, ma con la sensazione profonda di non poter sopportare più il vecchio regime (…) Il processo politico essenziale di una rivoluzione consiste esattamente nel fatto che la classe acquista coscienza dei problemi posti dalla crisi sociale e le masse si orientano attivamente secondo il metodo delle approssimazioni successive.” (L. Trotskij, prefazione alla Storia della rivoluzione russa).

In ultima analisi un partito di classe, un partito che davvero rifletta gli interessi storici dei lavoratori, dei giovani e degli sfruttati (e non solo le illusioni o le speranze di un dato momento), dovrà assumere un programma rivoluzionario di rovesciamento del capitalismo. Qualsiasi altro programma è destinato a tradursi in una sconfitta catastrofica. La nostra organizzazione è un embrione di tale partito, e ha oggi come compito di difendere e rendere distinguibile questo punto di vista in tutti gli ambiti nei quali si esprime la lotta di classe, quale che sia la forma che prende: dalla lotta sindacale, alla battaglia ideologica, a qualsiasi movimento di resistenza. Ma per tramutare questa nostra organizzazione in un partito di massa dobbiamo essere consapevoli che la strada non è diritta, non è un semplice accumulo di forze, ma si scontra inevitabilmente con altre tendenze e opzioni politiche e sarà tanto più così quanto più anche in Italia vedremo di nuovo svilupparsi dei movimenti di massa.

Il lavoro che oggi compiamo nel raggruppare un settore crescente di militanti, nel radicarci nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università, nell’affinare la nostra formazione politica, crea le condizioni affinché nei prossimi anni il marxismo rivoluzionario potrà integrarsi sempre più profondamente nelle lotte della classe operaia e, sulla base dell’esperienza, diventarne l’espressione più consapevole, organizzata e infine dirigente.

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