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Argentina – I lavoratori furiosi mettono in fuga i leader del sindacato

Abbiamo parlato in un precedente articolo del grande sciopero generale che abbiamo visto in Brasile il 28 aprile scorso, il primo dopo oltre venti anni. Ma prima di questo, ci sono stati in Argentina degli avvenimenti drammatici durante una manifestazione sindacale di massa, in cui i leader sindacali dopo essere stati fischiati e zittiti, sono dovuti fuggire davanti all’ira dei lavoratori, scortati dalla polizia privata un fatto “senza precedenti” per una manifestazione sindacale in Argentina. Il motivo di una tale rabbia è stato il rifiuto dei leader di fissare la data di uno sciopero generale. In Brasile e in Argentina la classe operaia è in lotta. Di seguito potete leggere un rapporto dei nostri compagni argentini.

La crisi del capitalismo mondiale continua ad approfondirsi e il suo impatto si può vedere ovunque: dai bombardamenti di Trump sulla Siria e Afghanistan, alle tensioni militari in Corea, dall’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona per avviare la Brexit, al fenomeno di Mélenchon in Francia.

In America Latina questo si è espresso nelle crisi politiche del Paraguay e del Venezuela, e in Argentina nelle massicce mobilitazioni operaie che si sono svolte da fine febbraio fino ad aprile.

Il capitalismo argentino – un capitalismo debole e arretrato, saldamente collegato al mercato mondiale – è stato colpito dalla crisi di sovrapproduzione globale, con un calo delle esportazioni, un aumento della disoccupazione, un aumento del deficit fiscale, una diminuzione dei consumi e un calo della produzione industriale.

La borghesia argentina è stata pertanto costretta a cercare di rimodellare lo stato secondo le proprie esigenze. L’attuale governo Macri rappresenta l’ala apertamente reazionaria della borghesia che ha governato il paese negli anni Novanta e che nel 1976 ha collaborato con la dittatura militare per smantellare l’apparato produttivo.

I lavoratori scendono in piazza

La risposta all’offensiva capitalista contro le condizioni di vita della classe lavoratrice si è espressa nell’ultimo periodo in una serie di mobilizzazioni di massa. Per vedere un tale livello di mobilitazioni si deve tornare al 2001 ai tempi dell’Argentinazo.

Abbiamo pertanto visto il 6 marzo una mobilitazione che ha coinvolto migliaia di insegnanti, 400.000 lavoratori che hanno inondato le strade di Buenos Aires il 7 marzo, rispondendo alla convocazione della principale confederazione sindacale e lo sciopero delle donne dell’8 Marzo con 300.000 persone che sono confluite in Plaza de Mayo.

E non è finita qui. Un paio di settimane dopo 400mila insegnanti sono scesi in piazza in tutto il paese contro i tagli alla scuola pubblica. La mobilitazione più grande è avvenuta il 24 Marzo, nell’anniversario del colpo di stato militare del 1976, con un milione di persone che hanno riempito le strade di Buenos Aires. Sempre a marzo abbiamo visto diverse mobilizzazioni e blocchi stradali di piqueteros e di altre organizzazioni sociali. Il punto più alto, è stato tuttavia il 6 aprile quando uno sciopero generale convocato dalla CGT ha visto un’adesione del 90%, paralizzando l’intero paese.

La burocrazia sindacale è stata sopraffatta

Il fatto è che la burocrazia sindacale aveva cercato di resistere alla pressione dal basso perchè venisse attuata una simile prova di forza. Si è poi avuto conferma che la rabbia dei lavoratori stava raggiungendo livelli senza precedenti. Il 7 Marzo, durante una mobilitazione sindacale, i leader della CGT sono dovuti fuggire davanti all’ira dei lavoratori  (guarda il video) che richiedevano a gran voce, urlando loro contro, uno sciopero generale che la burocrazia si rifiutava di proclamare.

Quando è stato chiaro che i leader sindacali non avrebbero fissato una data per lo sciopero generale, i lavoratori sono saliti sul palco, hanno afferrato lo storico leggio da cui una volta parlò Perón, l’hanno gettato a terra, interrompendo il comizio e chiedendo lo sciopero generale.

I leader sindacali sono stati rapidamente scortati dalla servizio d’ordine giù dal palco, dato che venivano insultati dagli operai, e tempestati di pugni e lancio di bottiglie, al punto che alcuni di loro si sono dovuti nascondere negli edifici vicini. Uno dei leader è stato tirato fuori dalla macchina in cui si era era rifugiato ed è stato malmenato lungo parecchi isolati con i lavoratori che gridavano “Convocate lo sciopero generale”, “Fissate la data”.

 Di fronte a una tale pressione, la burocrazia pochi giorni dopo ha dovuto convocare lo sciopero per il 6 Aprile.

Alcuni giorni prima dello sciopero, il segretario della CGT, Carlos Acuña, ha dichiarato che: “Lo sciopero nazionale non è contro nessuno, è solo una valvola di sfogo”. Questo chiarisce come la burocrazia sindacale stia permettendo al governo di sopravvivere, contenendo la rabbia dei lavoratori, cavalcando le loro lotte.

Tutto ciò mostra quale immensa pressione stia covando sotto la superficie, come i lavoratori vogliano lottare e mettere fine alle misure di austerità portate avanti dal governo Macri.

Ciò che si sta preparando è un possibile scontro aperto nelle piazze con i lavoratori e i poveri contro il governo macrista e l’imperialismo.

Il governo adotta misure repressive

Il Primo aprile abbiamo assistito a una manifestazione filo-governativa appoggiata dai settori piccolo-borghesi della società, che secondo la polizia ha visto la partecipazione di 25.000 persone. Questo ha incoraggiato il governo, grazie ai media che hanno enormemente esagerato le dimensioni di quella che in realtà era una partecipazione modesta, divenuta invece in Tv un’enorme corteo di massa attivamente il governo.

I lavoratori circondano l’auto di uno dei dirigenti della CGT

In questo ambiente, il governo ha deciso di passare alla repressione aperta.

Così abbiamo visto pochi giorni dopo la polizia che con manganelli e scudi, liberava l’autostrada Panamericana durante lo sciopero generale del 6 Aprile. Il giorno dopo, gli insegnanti che cercavano di accamparsi in Plaza del Congreso sono stati attaccati con spray al pepe e il 9 Aprile i lavoratori che occupavano l’AGR-Clarín sono stati sgomberati dalla polizia, munita di fucili e mitragliatrici.

Recentemente la polizia è entrata illegalmente nella Facoltà di Scienze Agrarie di Jujuy e ha allontanato gli attivisti studenteschi dalla loro sede. Nella città di Buenos Aires le autorità locali hanno denunciato l’irruzione della polizia armata nella scuola Mariano Acosta, per minacciare gli studenti che manifestavano in solidarietà con la lotta dei loro insegnanti per ottenere stipendi migliori.

Oltre a tutto questo, il governo sta acquistando apparecchiature più avanzate per affrontare le proteste di strada, come tasers (pistole a scossa elettrica) e “auto blindate anti-picchetto”. Tutto ciò indica che il governo si sta preparando per portare avanti l’austerità imposta dai padroni, non con la carota ma con il bastone. Le varie organizzazioni politiche e sociali che sono scese in piazza devono cominciare a discutere su come sviluppare misure di autodifesa per proteggere i manifestanti.

La crisi della direzione

Come abbiamo visto, il diffuso malcontento si è manifestato nell’enorme disponibilità delle masse a scendere in piazza e lottare. Ma il movimento sta affrontando una crisi di leadership.

Da una parte, i leader kirchneristi (neoperonisti) si sono inchinati davanti alle istituzioni della democrazia borghese, con la prospettiva di ottenere alcuni seggi in parlamento nelle prossime elezioni in ottobre e di moderare le loro posizioni in vista delle elezioni presidenziali del 2019.

Questa tattica ha prodotto la paralisi nelle organizzazioni di base del kirchnerismo che hanno abbandonato la lotta e sono oggi ad un bivio. O abbassano le loro bandiere antimperialiste “patria o avvoltoi” e fungono da garanti dell’austerità di Macri o rompono con la collaborazione di classe e danno battaglia nelle strade con una prospettiva di classe. Gli eventi metteranno queste organizzazioni alla prova in maniera spietata.

Dall’altra parte, i gruppi della sinistra svolgono un ruolo importante nell’organizzare i lavoratori contro i licenziamenti e aiutandoli a combattere e a dare visibilità alle lotte dei lavoratori. Ma sul fronte politico mantengono la loro posizione di autoproclamarsi come il partito della classe operaia, facendo della politica di indipendenza di classe un mero clichè.

Crediamo che questi compagni dovrebbero offrire un fronte unico a quegli strati di lavoratori e giovani che hanno ancora delle illusioni in una leadership politica estranea al movimento di massa e proporgli di lottare assieme per i propri interessi immediati e storici, con la prospettiva di costituire una forza politica di massa che serva a lottare contro i padroni e i capitalisti, cioè un Partito dei lavoratori.

Le cose si stanno muovendo velocemente in Argentina e la lotta di classe si sta intensificando. L’Argentina ha un passato di scioperi generali combattivi e audaci, che hanno forgiato la coscienza della classe operaia. È tempo di tornare a queste tradizioni di lotta e di scontrarsi apertamente con i capitalisti, identificandoli come i principali nemici dei lavoratori.

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